LONDRA – Un resoconto sulla conferenza internazionale del mondo mussulmano che a fine luglio 2017 si è confrontato sulla libertà di coscienza e di espressione
Si è chiusa in modo leggero, con un’attività di bodypainting , il più grande raduno di ex-musulmani della storia: la Conferenza Internazionale sulla libertà di coscienza e di espressione, che si è tenuta a Londra dal 22 al 24 Luglio.
Per giorni centinaia di intellettuali, spesso giovani, che vivono nell’incubo di attentati, o rischiano severe condanne penali solo perché non credono più nella religione islamica, hanno discusso le migliori strategie da seguire. Sono arrivati da ogni parte del mondo e le misure di sicurezza sono impressionanti. Abbiamo appreso del luogo della Conferenza, un bell’albergo al Covent Garden, solo il giorno prima dell’apertura dei lavori, impegnandoci a non farne parola con nessuno.
L’aria che si respira nelle belle sale è straordinaria. Tutto si svolge in un clima di grande rispetto; solo qualche momento di tensione quando Inna Schevchenko, leader di Femen, argomenta polemicamente che le religioni tutte, e non solo quella islamica, sono dei virus mortali da cui liberarsi. O quando, sul fronte opposto, interviene Ani Zonneveld, nata in Malesia, che è imam e guida spirituale di una comunità islamica a Los Angeles e, fervida credente, si batte per riformare la religione di Maometto impregnandola di valori progressisti.
Ma l’anima di questa tre giorni è certamente l’iraniana Maryam Namazie. Si batte da anni perché siano riconosciuti i diritti di tutti, credenti e non. A molti invitati è stata impedita la partecipazione e Maryam sottolinea la necessità di lottare anche per loro. “Siamo lo tsunami che sta arrivando” così conclude il suo intervento.
Grandi emozioni quando sale sul palco la giovanissima Sadia Hameed, cittadina inglese di origini pakistane, che termina il suo intervento con gli occhi pieni di lacrime. Racconta di quando disse alla famiglia che aveva perso la fede e il commento del padre fu terribile: “Avrei dovuto strangolarti alla nascita.” Parla della lunga segregazione in casa, resa atroce dal dolore di essere rifiutata dai genitori e dal terribile suicidio del fratello. In molte enclave di immigrati di religione islamica delle nostre metropoli essere non- credenti è ancora un marchio d’infamia che distrugge l’onore dell’intero clan familiare.
L’acme della prima giornata si tocca con la proiezione di un documentario molto crudo. Testimonia l’uccisione a colpi di machete, per strada, di Avijiti Roy, ingegnere americano di origine bengalese, che aveva fondato un blog per la diffusione del libero pensiero. È il 26 Febbraio 2016 e Avijiti si trova a Dhaka, la capitale, per presentare un suo libro insieme alla moglie Bonya Ahmed. È lei a raccontarci dal palco quello che è successo. Lei, che nel video compare, ricoperta del sangue del marito, sgozzato al suo fianco. Ora si batte perché gli islamisti responsabili del delitto non restino impuniti. Ma la cosa che più colpisce, in questa donna dallo sguardo fiero e malinconico, è l’uso di un linguaggio pacato. Nessuna parola di odio o intolleranza da parte sua. “Occorre educare a una visione scientifica per evitare il diffondersi del fanatismo religioso, ma bisogna anche capire che la religione è parte della cultura e la maggior parte delle persone è credente. “
I temi al centro della seconda giornata -la resistenza delle donne, il velo, comunitarismo e multiculturalismo- lasciano intravedere che si parlerà di misoginia e di sessismo e si andrà a fondo sulla condizione delle donne. Zineb El Rhazoui è una giovane donna marocchina. Parla con veemenza e senza nulla concedere al politicamente corretto, della necessità di distruggere il fascismo islamico che avanza. “Quando ci sono attentati, stragi e decapitazioni; quando si documentano lapidazioni pubbliche in nome della religione islamica, subito si alzano le voci ‘Questo non è il vero Islam! ’ Il vero Islam è una religione di pace. Dov’è questo vero Islam? Non mi interessa discutere di un’astrazione. Io voglio fermare quei musulmani in carne e ossa che uccidono e massacrano in nome della religione”.
Dello stesso tenore è l’intervento di Gona Saed, co-fondatrice del Kurdistan Secular centre. Mette in guardia dal pericolo di sottovalutare il progetto politico dell’Islam radicale che si batte, ovunque, per l’applicazione della shaaria. In Occidente, per un malinteso senso di colpa per le politiche coloniali, si è concesso il lasciapassare a posizioni oltranziste e del tutto inconciliabili con i diritti umani universali.
Nella liberale Inghilterra si praticano mutilazioni genitali femminili, segregazione di donne, matrimoni forzati in nome del rispetto della diversità culturale. Qualunque critica a queste pratiche viene tacciata di islamofobia. Ma il non criticare pratiche sociali così dissonanti con i nostri valori è -come sostiene la regista tunisina Nadia El Fani- una forma di razzismo verso i musulmani, giudicati implicitamente non all’altezza dei valori fondanti delle democrazie occidentali.
Il multi-culturalismo si trasforma così in multi-ghettismo; una chiusura che opprime i più deboli, in primo luogo le donne e le bambine e schiaccia le minoranze, come gli omosessuali e i non-credenti. La discussione non finisce certo con la conferenza di Londra ma da questo angolo particolare di osservazione si sprigiona una grande forza e una speranza che nasce da un’umanità consapevole e attenta, e piena di spiritualità.