“Lontano da Lei”, film sull’Alzehimer (e sull’amore) di Sarah Polley
Non solo di malattia (l’Alzheimer) e di dolore parla il film d’esordio alla regia della giovane attrice Sarah Polley. Il delicato ritratto di una coppia di anziani coniugi, dal titolo {“Away from Her – Lontano da lei”}, ci consegna soprattutto, a ben guardare sotto la superficie, {{una toccante e assai preziosa riflessione sull’amore, nelle sue multiformi accezioni}}. Il miracolo è l’aver scampato al rischio di incappare in banalità e luoghi comuni su un simile soggetto, particolarmente per un’autrice alle prime armi.
_ I film, lo sappiamo bene, generalmente non fanno altro che parlarci di relazioni sentimentali tra giovanissimi, magari alle prese con le piccole incomprensioni che costituiscono il condimento soprattutto dei rapporti adolescenziali. E, sempre di norma, ci viene mostrato per lo più lo sbocciare prima, e il traboccare poi, di un sentimento tanto appassionato. {{Come in ogni favola che si rispetti}}, la fine coglie protagonisti e spettatori trasognati in questa idilliaca fase iniziale e trasportati in un universo ovattato: non sappiamo, come si suole ripetere, che cosa ne sia stato della vita matrimoniale di Cenerentola o Biancaneve e dei loro principi, così come di tutte le altre soavi creature partorite dall’immaginario romantico di molti autori di fiabe. La gente questo ricerca soprattutto dal cinema: forme di evasione dalle mille asprezze della realtà.
_
Raramente un film sceglie di concentrarsi su {{soggetti tanto difficili come in questo cas}}o, in cui, invece, il sentimento amoroso viene colto nel momento di piena maturazione. A tal proposito, il ricordo indotto dalla visione riconduce ad un dettaglio che pare nient’affatto casuale: assai spesso, difatti, compare l’immagine del fiore. E si tratta di esemplari rari, colti nel pieno della loro radiosa maturazione.
_ Qui, con pudore singolare, la Polley ha il coraggio di accostarsi ad una coppia sposata da ben quarantacinque anni, nel momento in cui la vita propone per entrambi la sua prova più dura: la terribile malattia di lei, l’Alzheimer, rischia di cancellare, un giorno dopo l’altro, quanto è stato costruito in tanti anni, spesso a costo di mille sforzi e sofferenze.
_ Pur se la regia non appare particolarmente ispirata (più che dignitosa sì, ma non molto più di questo) la pellicola è sostenuta vigorosamente dalla magnetica presenza dei due attori protagonisti. I loro volti segnati, quello indurito e spesso distante, distratto del marito ({{Gordon Pinsent}}) e, soprattutto, di un’intensa {{Julie Christie in odore di Oscar}}. La nuova nomination per lei appare come un riconoscimento sacrosanto all’arte di un’interprete che ricorda da vicino, oramai sempre di più, un’altra diva luminosa e dal talento traboccante come Ingrid Bergman. Di quella di {“Anastasia”}, in particolare. Come la diva svedese, anche l’inglese, qui, attraversa una gamma stupefacente di emozioni e sentimenti contrastanti. A volte spaventata, altre teneramente sollecita verso gli altri, altre ancora profondamente sofferente. La Christie si carica silenziosamente e generosamente sulle spalle il film e lo eleva parecchio in virtù della sua bravura. Regala tutta se stessa a questo carattere complesso e le aderisce con eccezionale intensità.
_ La sua prova è strepitosa, il suo volto solcato di rughe è ancora incredibilmente bello. {{La regista ama questo espressivo viso di sessantaseienne}}, cui regala molti intensi primi piani. Dono pienamente ripagato dal magnetismo che promana dal fascino e dalla bravura dell’attrice.
_ Gli anni sono passati, per lei. Il biondo chiaro dei capelli della Lara de {“Il Dottor Zivago”} si è ingrigito, ma lei possiede una grazia e una regalità immutate. Probabilmente, anzi, accresciute dagli anni e dalla compostezza dell’età.
_ A ricordare quanto conti una performance attoriale a risollevare le sorti di un’opera cinematografica discreta, ma sicuramente non eccelsa, e a far soprassedere sui suoi piccoli difetti.
Lascia un commento