L’osceno paragone fra niqab e mascherine: una lettera aperta e una petizione su change.org
Lettera aperta ad Amnesty International
Il link per firmare la petizione:
https://www.change.org/niqabmascherine
Scriviamo dopo aver letto l’articolo pubblicato sul sito di Amnesty International il 4 giugno scorso a firma di Marco Perolini, ricercatore regionale sull’Europa di Amnesty International dal titolo Una mascherina contro il Covid-19 è davvero così diversa da un niqab?
L’articolo, ispirato forse da uno precedente apparso a maggio sul sito di Open Democracy, si pone la domanda auspicando che il fatto di essere obbligati, in questa drammatica pandemia per protezione propria e altrui, a portare sul viso una mascherina, aiuti ad accettare il niqab e le altre forme di copertura islamiche sul viso e sul corpo delle donne e invitando a riconsiderare i divieti di indossare burqa o niqab in pubblico, adottati da molti paesi occidentali, osservando che sarebbe ipocrita continuare con tali divieti visto che ora saremmo un po’ tutte e tutti per strada con una sorta di ‘velo’ a coprirci il volto.
Una domanda, questa volta a noi, viene spontanea da rivolgere al ricercatore e ad Amnesty: si tratta forse di uno scherzo?
Come è possibile paragonare un’indispensabile protezione sanitaria (momentanea, adottata in situazione d’eccezione e rivolta a tutta la popolazione) con un precetto religioso, peraltro destinato solo ad un sesso, il cui mancato o non adeguato uso fa rischiare alle donne addirittura il carcere se non la vita stessa in alcune dittature teocratiche? Una forma di controllo e di imposizione da parte di regimi fanatici e fondamentalisti, come i seguaci dello Stato islamico, dell’Isis e i talebani, compagini politiche distanti anni luce dai diritti umani? Un precetto che anche nei paesi “democratici” rappresenta per molte donne una imposizione – più o meno esplicita – della famiglia e della comunità e in ogni caso un visibile segno di segregazione dei sessi?
Vorremmo ricordare che la relatrice Onu
sui diritti culturali, Karima Bennoune, ha già stigmatizzato la leggerezza di questi paragoni, che
a suo dire sono pericolose delegittimazioni della lotta delle attiviste musulmane
contro l’obbligo del burqa, del niqab e del velo. Ricordiamo anche che Ghita Sahgal, attivista di Southall
Blask sister, del Wluml (Women under muslims
laws) nonché animatrice della Secular Conference, è stata licenziata nel
2010 da Amnesty (dove lavorava come capo della unità di genere a Londra) per
avere stigmatizzato la scelta dell’organizzazione per i diritti umani del detenuto
di Guantanamo Moazzam Beggcome testimonial nella campagna di Amnesty contro il reato
di tortura, definendo Begg “il più famoso sostenitore dei talebani in Gran Bretagna”.
Amnesty all’epoca rispose di averla sospesa “per non aver sollevato questi problemi
internamente”.
Sgomenta che chi per vocazione, come Amnesty International, si dovrebbe occupare di diritti umani fondamentali e universali, quali sono i diritti delle donne, esprima posizioni relativiste al punto da perdere di vista l’abissale differenza tra un simbolo religioso così profondamente intriso di significato e un dispositivo sanitario. Un argomento che trova l’autore del citato articolo in ottima compagnia degli ayatollah iraniani, che esattamente ricorrendo a questo perverso argomento hanno cercato di screditare la lotta che da anni ormai le donne iraniane conducono contro l’obbligo del velo nel loro paese.
Ci auguriamo che le idee espresse da Marco Perolini non rappresentino la posizione ufficiale di Amnesty International su questi temi e chiediamo all’organizzazione, in nome dei diritti delle donne, di prenderne ufficialmente le distanze.
Monica Lanfranco, giornalista
Cinzia Sciuto, giornalista
Giuliana Sgrena, giornalista
Tiziana Dal Pra, attivista per i diritti delle donne
Adele Orioli, responsabile iniziative legali e portavoce Uaar
Paola Concia, Coordinatrice Comitato Organizzatore Fiera Didacta Italia
Claudia Merighi, Comitato laici trentini per i diritti civili
Tina Fronte, sindacalista
Francesca Conti, militante per i diritti di genere
Marzia Montesano, dottoranda e attivista Università Bologna