Discesa alla Gaiola – performance – 1978

Sappiamo amare la vita, la natura che ci circonda e ci regala infinita bellezza giorno dopo giorno? No? Forse!? Ci hanno inchiodato in casa tempestandoci di notizie, vere o false, di morte, di necessità di isolarsi, di rinchiudersi per superare una “pandemia” che ci toglieva il respiro. Il tempo si è fermato? O piuttosto si è dilatato? Comunque non è infinito e tutta l’esperienza nel frattempo accumulata in dimensioni insolite e lunghe pause di attesa e riflessione, nel corso di questo evento mondiale, che infatti l’intero mondo ha sconvolto, devono ora darci la forza, la capacità di riappropriarci della libertà sottratta, dell’amore racchiuso in ognuna di noi per incidere significativamente su nuove scelte politiche e morali.

Nei primi giorni di chiusura in casa il senso di incredulità si alternava al rifiuto dell’inaccettabile per noi: il pesante condizionamento della libertà personale. Gli affetti, le amicizie, i progetti… tutto negato! Diventava così sempre più irritante persino quel martellare di “andrà tutto bene”! Andrà tutto bene??? Di lì a poco tuttavia il senso di responsabilità verso se stesse e le/gli altri iniziò a prevalere, attenuando l’insofferenza e la rabbia. Qui finisce nel confronto l’esperienza emozionale comune e risultano diversificate le sensazioni e le emozioni perché molto diversi i casi. Quindi il confronto spazia da caso a caso, come è bene perché una corretta analisi non parta mai da pregiudiziali teoriche omologanti. Quali che siano gli ‘insieme’… Tra noi alcune si sentivano come atlete, ai blocchi di partenza, pronte a scattare, ansia e nervi tesi, massima concentrazione su semplici consuete abitudini ed azioni a riempire di senso un vuoto risucchio… C’era chi si è dovuta confrontare con l’esterno per il tipo di lavoro che era comunque tenuta a svolgere. Chi ha lavorato in casa con il sistema del telelavoro. Chi sola, senza compagnia alcuna, ha dovuto fronteggiare patologie croniche ed inquietudini inenarrabili anche per la preoccupazione dei familiari altrove e nel cuore dell’infezione. Chi, pur stando in questa situazione di solitudine totale ha tuttavia dato sfogo e spazio alla creatività. C’era infine chi, dopo qualche giorno, avendo la possibilità di trascorrere ore in giardino, si soffermava sul volo delle farfalle che non notava da anni, si inebriava del profumo dei fiori, che sembrava più intenso che mai e la notte passeggiava con la sua amata compagna a quattro zampe e con lei scopriva una luna immensa, in un cielo pieno di stelle enormi, come solo d’estate si vedono, mentre respirava aria finalmente pulita… Ci si stupisce ora di qualcosa che dovrebbe essere normale. Invece non lo era perché “eccezionalmente” la Terra aveva l’occasione di prendere finalmente respiro, insieme alla sua rivincita e la natura il suo spazio. Dolcemente semplice abituarcisi. Ma a parte la fortuna del giardino e la compagnia dell’animale di casa, anche altre si andavano abituando a vivere per sopravvivere in quella sorta di fermo immagine, cercando di attutire il dolore che avevamo dentro al pensiero di non aver lottato abbastanza da eliminare quello della Terra. Ogni giorno la natura ci mandava messaggi, urla di dolore per come la nostra specie la trattava, ogni giorno violata e offesa per il profitto non giusto ma disonesto e/o comunque smodato. Allevamenti intensivi, torture agli animali, caccia, fabbriche che producono morte con ogni tipo di veleno. Distruzione dell’habitat, incendi per lo più dolosi, di intere foreste. Cumuli di spazzatura e roghi tossici, inquinamento dei mari che affogano, mentre galleggiano tonnellate di plastica, muoiono e/o si spiaggiano meravigliosi animali marini. E stormi di volatili crollano stecchiti al suolo e sciami di api rinsecchiscono ormai cadaveri.

Durante questo periodo di blocco delle attività non essenziali alla sopravvivenza, l’ambiente tutto ne ha usufruito per ritornare a splendere e gioire di vita! Quale migliore occasione per riflettere su che tipo di strada vogliamo/possiamo prendere da ora in poi? Dobbiamo cercare la bellezza in ogni sua forma, noi Nemesiache abbiamo sempre lottato per questo con le parole, la scrittura, la musica, l’arte, l’amicizia, la solidarietà, la ricerca dell’armonia e il potere della gentilezza. Con tutta la nostra fierezza dell’essere donna.

Il 2020 entrerà nella storia come uno degli anni che vi hanno determinato svolte epocali. Con la differenza però che da ora in poi niente sarà più come prima. Niente sarà più come prima? Vedremo… Ma di certo il futuro dipenderà dalle nostre scelte di oggi e ci sono forti segnali, non solo speranze, che portano ad un ‘risveglio’, ad un nuovo inizio verso un percorso di luce e di possibilità infinite, ad un diverso divenire dopo l’apparente stasi. Non dobbiamo mai rinunciare a divenire e divenire ha senso soltanto con l’altra/o. Il senso della gestazione e della nascita di un progetto di cambiamento sta tutto nelle relazioni. Tra individui, collettività e popoli. Ma, a proposito di futuro e di relazioni nel futuro, a noi sembra che purtroppo poco o niente si risolverebbe se non si eliminasse in primis la più grave forma di inquinamento che è mentale. Non a caso nel novembre del 2015, nella nostra manifestazione a piazza del Plebiscito a Napoli “In marcia per il Clima con la Musica, la Poesia… la forza dell’Arte”, con la quale partecipammo alla Marcia Globale per il Clima, (in occasione del convegno mondiale sul clima, che si sarebbe tenuto il giorno dopo a Parigi), sul lunghissimo striscione di lucida stoffa celeste scrivemmo “Liberiamo la mente da violenza e paura e generiamo armonia”. Infatti, per poter generare armonia bisogna liberarsi di tutti i sentimenti che, nel determinare o comunque alimentare reciproca intolleranza, sono responsabili di ogni espressione di conflittualità e contrapposizione, caratterizzanti negli ultimi anni molte relazioni e molti rapporti a tutti i livelli. Con punte ed episodi di violenza verbale inaccettabili. Soprattutto sui social, rispetto ai quali si dovrebbe fare un discorso a parte per analizzarne la complessità e che sono risultati alienanti e inquinanti. Praticamente tossici… Niente cambierà se non si riuscirà a relazionarsi davvero. Incontri e scontri ben vengano ma per ripristinare un confronto paritario e fertile, dove l’ascolto sia apertura reale alla diversità. Senza ossessivi parametri di giudizio e di misura per di più su basi fortemente ideologiche e dogmatiche.

In conclusione ci siamo chieste se e in che misura la pandemia da Covid19 potrebbe aver avviato un cambiamento in tal senso. Ovviamente partendo dalla prima domanda: in che misura ha cambiato noi? In che senso ci ha rivelato nuovi aspetti di noi e delle nostre relazioni? Tra noi come gruppo e più ancora tra noi e le altre femministe?

Se si parte dal presupposto che la pandemia da Covid19 sia tutta una invenzione o comunque che la realtà dei fatti e dei numeri sia deformata e ingigantita proditoriamente per manipolare le masse, per reprimere le persone e chiuderle nelle case, per controllarle e manipolarle e quant’altro, è ovvio che ognuna/o indirizzerà le proprie scelte e cercherà le alleanze dove trova riscontri, conferme, appartenenze o quanto meno propensioni politiche e/o di partito e, di conseguenza alimenterà ulteriori opposizioni ed ostilità ai titolari più o meno legittimati a governare la/e nazione/i e la/e unione/i degli stati nazionali. Chi invece è su posizioni alquanto o totalmente diverse si concentrerà piuttosto sulla capacità di promuovere realmente il cambiamento a partire da sé e dall’insieme delle proprie relazioni. Può sembrare un progetto utopico ma basterà seguire le indicazioni del piccolo virus che in pochi mesi ha predisposto il canovaccio di base: la maggior parte dei popoli confinati ha più volte reclamato il rispetto per diritti e libertà negati o pesantemente limitati, che, per molte persone, erano e in parte sono ancora finanche minacciati pericolosamente. In tante/i hanno urlato che al primo posto nelle priorità di valori assoluti ed irrinunciabili c’è il loro rispetto. Hanno manifestato ammirazione, amore ed infinita gratitudine per le/i vere/i guerriere/i del 2020, pronti a dare la vita per salvare quella di altri in ogni dove, poiché in quasi tutti i luoghi del contagio nei decenni precedenti i vari governi hanno quasi completamente o in grandissima parte smantellato i sistemi sanitari, ignorando peraltro le evidenti necessità di provvedere al dissesto idrogeologico ed all’inquinamento del mare e del clima. Il tutto in accordo ed in funzione con le lobby che hanno regnato di fatto.

Il piccolo virus ci ha indicato perentoriamente l’urgenza che i popoli rivendichino con fierezza il perduto, il dovuto e soprattutto il rispetto per coloro che hanno funzioni di cura e non solo le madri o i padri capaci di questo ma tutte le donne e tutti gli uomini che mettono il vivente al primo posto, in luogo del profitto ad ogni costo. In nome dei valori reali, di ciò che è veramente importante nella nostra vita. Il piccolo virus ci ha squarciato innanzi semplici irrinunciabili verità: cibarsi di prodotti provenienti da una terra martirizzata avvelena, ammala i nostri corpi e li predispone ad accogliere lui e altri che verranno anche peggiori e più contagiosi e pericolosi di lui; la migliore medicina è quella preventiva e quindi contro le infezioni virali e batteriche la più valida non può che essere la cura dell’ambiente; vanno banditi al più presto senza se e senza ma tutti i veleni nella catena alimentare e sul territorio! Anche se sono redditizi!

A proposito di pandemia si è molto parlato di paura immotivata, più spesso ancora di persone talmente preda di paura da non saper più ragionare ed essere quindi facilmente manipolabili. Noi pensiamo che di questo genere di reazioni alla pesante ed eccessiva dose di informazioni e così dette contro informazioni, solo una minima percentuale sia stata in preda al panico. Viceversa, la maggior parte di coloro che hanno avuto “paura” in realtà avevano semplicemente il coraggio di riconoscere realisticamente le priorità dell’emergenza e della più che giustificata e legittima preoccupazione. Non vanno confusi il panico e la paranoia con la preoccupazione e la paura del contagio. Il coraggio di ammetterla, la paura, è delle persone libere mentalmente: riconoscere la realtà dentro e fuori di sé in autonomia è sempre una vittoria e richiede coraggio. Senza mantelli e senza orpelli ideologici e soprattutto senza adesioni fideistiche a gruppi o personaggi di riferimento con relativi codici di comportamento “osmotico”. Anche questo ha grande importanza ai fini di un sano confronto e conseguente collaborazione nelle relazioni per la messa a punto del progetto comune e soprattutto per l’attuazione di efficaci azioni politiche!

In realtà noi Nemesiache abbiamo verificato che non era la sofferenza, non il dolore, non l’urlo, non la morte che alitava intorno e ovunque ad attanagliarci. Ciò che ha stretto tutte/i in una morsa senza precedenti era l’angoscia del non ritorno, questo strano sentimento, diverso dalla paura concreta, l’angoscia del non sapere cosa, chi, il desiderare con insistenza di conoscere l’ignoto e allo stesso tempo il temere di vedere cosa sia realmente. Una malattia incurabile, una malattia come le altre che comunque arrivano, passano e vanno via o invece qualcosa di più complesso, che si insinua nella nostra esistenza perché altri vogliono che sia così? Lo stato d’animo antico e sempre attuale, il punto zero… preludio a possibilità ignote insito nell’essere umano da sempre, si è ora appropriato della collettività e i nostri occhi smarriti sono i soli oggi a parlare, toccare, ridere, chiedere. Il velo che un tempo univa le donne di tutte le culture del mondo, proteggeva i segreti e preservava la bellezza, oggi è mutuato in “mascherina”, che toglie il respiro, ma ci difende dalla contaminazione. Catapultate/i senza distinzione di razza, sesso, orientamento politico e religioso a percorrere, travolte/i dagli eventi, una strada fatta di rigide regole che hanno messo ad alto rischio il senso vero delle nostre esistenze, per cui tutto era venuto a mancare, oggi riflettiamo sul fatto che le suddette regole, giuste per noi ma non per molte altre persone, dunque da noi tutte seguite come scelta e non solo per obbligo o per timore dei controlli e delle penali, tuttavia, nel difendere noi stesse, il nostro corpo ed il bene comune, hanno però leso inevitabilmente il nostro spirito e la nostra anima. Tutte/i direttamente e indirettamente abbiamo drammaticamente rivissuto il mito di Antigone, non essendo stato possibile a tante/i poter dare degna sepoltura ai propri cari estinti, così come nella tradizione più antica e persino essere impedite/i dall’andare sui luoghi in cui riposano con chi le/i ha precedute/i, perché la “regola” imponeva di non poter varcare la soglia del luogo sacro, lì dove riposano in eterno… La vita contratta e deformata! La vita che è dolore, amore, fede, speranza! Vita come conoscenza, azione e ‘relazione’… Cosa siamo noi se non abbiamo la possibilità di sfiorare l’altra/o, cosa siamo se non ‘sentiamo’?

Nemesi/Lina

È da questa esperienza così speciale che nasce ora l’esigenza di interrogarci e riprenderci la nostra anima in parte troppo a lungo disgiunta, sconnessa dal corpo mentre per espandersi l’una e star bene l’altro devono restare uniti e simbiotici, essere un tutt’uno. La loro separazione alla lunga porta disarmonia e può diventare causa, anzi è normalmente causa di disagio psichico, alienazione, follia come malattia. In molte persone in realtà i sintomi di un danno si sono manifestati.

Per noi, come primo passo, è facile ripercorrere quel sentiero già segnato che arriva alla nostra coscienza e al nostro io più profondo. Ci siamo riviste in molteplici nostri interventi e performance dai quali, dall’amore per il mare, per Madre Terra, per l’armonia, per le donne, per la bellezza, furono realizzati vari Super 8 in anni ormai lontani e successivamente film. Denominatore comune la denuncia di una realtà che deformava la bellezza, anche attraverso divieti e deturpazioni nel nostro territorio espropriato. Territorio/corpo. E chiedevamo spazi per noi, spazi per le altre. Ci siamo riviste a Napoli, nel periodo del dopoterremoto con il Convegno del marzo ’81 per una città a dimensione donna; durante l’esperienza presso la VI° Divisione Ospedale Psichiatrico Frullone di Napoli, dove portavamo la nostra dimensione a donne espropriate e abbrutite dal dolore e dalla perdita di sé, rinchiuse in prigioni radicate al di là di ogni tentativo di aprire reparti o di far saltare sbarre fisiche.

Ci rattrista constatare che siamo, a distanza di tanti anni, ancora alle prese con lo sfregio dell’ambiente e addirittura di fronte alla minaccia di estinzione. Prevista da decenni da ricercatrici e ricercatori, esperte/i, uomini e donne di scienza e anche tra loro da molte femministe. Il neo-femminismo sin dai primi anni ’70 ha messo in evidenza quanto fosse necessario avere ovunque una relazione diversa con la Terra, quanto importante sia l’assunzione di responsabilità di ogni individuo e di ogni comunità in tal senso e come bisognasse iniziare la rivoluzione verso un modello di utilizzo delle risorse a zero emissioni, sviluppando nuove attività, creando nuovi posti di lavoro, riducendo il rischio di nuove catastrofi.

Discesa alla Gaiola – performance – 1978

Comunque, a ben riflettere, la storia è già cambiata. Il piccolo virus aggressivo e famelico ha capovolto e scombussolato funzioni e ruoli e c’è realmente un PRIMA, un DURANTE e un DOPO! Prima contavano le virtù maschili, forza, coraggio, furbizia e prevaricavano i loro rovesci di prepotenza, viltà, meschinità spesso sussunti nell’unico gesto distruttivo e violento e tutto quello che poteva servire a dominare l’altra/o, ad esaltare il proprio narcisismo e far brillare le capacità personali. Durante, è stato necessario mettere in campo e poter contare su tutte le positività del femminile, abnegazione, pazienza, intuizione, riflessione. Il ‘fare squadra’, ricorrere ad altre donne, ad alleanze possibili per gestire la ‘segregazione’ ma non solo! Per fare al meglio il proprio lavoro, orgogliose di essere insieme anche nei luoghi del rischio maggiore. Da eroe (Achille non ha bisogno dei Mirmidoni) a eroina (faccio squadra in lungo e in largo nel tempo e nello spazio). Da eroe a eroina, abbiamo visto ricercatrici, dottoresse, infermiere volontarie di grande competenza che insistevano a dirci che stavano facendo solo il loro dovere, come sempre. Tante le vittime, tra donne e uomini: il contagio negli ospedali e soprattutto presso anziane/i molto malate/i, a volte a grappoli numerose/i provenienti o crocifisse/i nelle così dette case di riposo. Durante, ha significato anche che la vita costretta in casa ha cambiato profondamente alcuni uomini: occupati a reinventarsi, da l’home working al vivere figli e compagna ventiquattro ore al giorno per tanti giorni e senza soluzione di continuità, a farsi carico di insoliti compiti in cucina, per la spesa alimentare, con tutta la pazienza che comportavano le lunghe file, le grandi attese, per le pulizie di casa, per l’intrattenimento dei piccoli e l’ausilio allo svolgimento dei compiti scolastici dei più grandi, per il supporto psicologico di cui di volta in volta necessitavano gli altri in condizioni di clausura, semi clausura, quarantena, isolamento… E non solo per collaborare in stato di necessità ma anche con disinvoltura nel tenersi occupati in quel tempo dilatato… Tempo per ripensare alla precedente esistenza di sostanziale solitudine in ambito familiare. Un “femminile” finalmente in libertà! Può sembrare un paradosso ma è quanto accaduto a molti. Infatti, mentre per la donna la conquista è stata storicamente l’esterno, il suo “regno” l’interno, la casa essendo il suo “luogo”, per codificate e stratificate culture, agli uomini per converso l’esterno stava addosso, come abito di scena non separabile dal corpo neanche nell’intimità con se stesso e con l’interno “familiare”. Una sorta di immedesimazione organica, comprensiva della non “imputabilità” e conseguente inappellabile deresponsabilizzazione. Quanto alla prole abbiamo in tante/i verificato che persino i più piccoli, bambine e bambini, si sono in moltissimi casi comportate/i da personcine molto collaborative e responsabili e hanno mostrato tutta la forza, la tenerezza, la complicità di cui neanche sapevano e tantomeno noi adulte/i sapevamo siano capaci nelle situazioni difficili. Ha di certo influito la loro beata innocenza ed ancor più la diversa percezione del pericolo ma determinante era il desiderio di rendersi utili nell’interesse di tutta la famiglia e in special modo per aiutare la madre o il padre in difficoltà e, se esisteva e/o era presente, anche l’altro genitore. Discorso a parte, ovviamente, quello che ha riguardato situazioni di forte disagio e presenze di aggressività e violenze… Tant’è che ci sono state vittime. In questi casi la coabitazione non stop per tanti giorni è stata un incubo che si è aggiunto alla forte percezione del pericolo resa ancora più intollerabile dalla mancanza totale di ammortizzatori familiari o sociali.

Niobe/Teresa

Liberamente traendo spunti dal blog dell’eco-femminista italiana Laura Cima “donne, politica, ecologia”, si può sintetizzare un lungo percorso: ad un certo punto il femminismo stesso si intrecciò con il pacifismo, il movimento antinucleare, la critica all’industrialismo inquinatore e alle politiche aggressive dell’ecosistema. Ne è derivata la totale e complessa critica a tutto quello che la società patriarcale ha svalutato interpretando la realtà secondo metafore dicotomiche in cui il femminile era (ed è tuttora, come purtroppo hanno dimostrato anche molto di recente i nostri politici…) sottostimato. Questo proprio per il prevalere in molti uomini della mentalità secondo la quale il femminile viene associato a tutto ciò che riguarda il corpo, le emozioni, la sapienza intuitiva, la cooperazione, l’istinto alla cura, la capacità empatica e quant’altro. Mentre il maschile continuava ad essere accostato alla razionalità, cioè all’intelletto. Molte eco femministe hanno sviluppato in argomento importanti analisi e si sono dedicate alla ricerca sul come affrontare e superare i modelli discriminatori attraverso una rivalutazione, celebrazione e difesa della “controcultura” femminista che, esaltando il principio femminile in rapporto alla madre-terra, dimostra da sempre la sua grande eterogeneità. Una ricchezza impareggiabile proprio nelle differenze tra donne, l’una dall’altra. Se le manifestazioni generose e commoventi di tantissime persone confinate durante la pandemia riusciranno ad avere un’influenza rilevante sul futuro della cultura e della civiltà, si potrà finalmente realizzare il progetto utopico.

In pieno terzo millennio ormai possiamo affermare che la globalizzazione è finita, dobbiamo pensare in termini di glocalizzazione, ovvero diffusione su scala mondiale, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, di elementi culturali, idee, stili di vita propri di realtà locali e attuazione di una strategia economica e politica volta a correggere gli aspetti più problematici della globalizzazione, sfruttandone le residue opportunità ma nella direzione ecosostenibile di valorizzazione a livello mondiale dei ruoli governativi, dei mercati e delle imprese locali. Incominciando con il rivoluzionare il concetto di economia, che d’altra parte non è più da molti decenni ormai un concetto sano, così come quello di imprenditoria e produzione. La civiltà degli ultimi 200 anni, si è basata prevalentemente sullo sfruttamento della Terra, pensando che sarebbe rimasta sempre lì, intatta. Abbiamo perso una enorme percentuale della superficie del suolo del pianeta. Sebbene le politiche ambientali e il dibattito sull’emergenza climatica, complici i grandi movimenti di massa guidati prevalentemente da donne, abbiano raggiunto le prime pagine dei giornali nell’ultimo anno, una riflessione sul valore e l’importanza di uno sguardo eco-femminista sembra ancora mancare nella riflessione politica e culturale italiana più mainstream. Molti contributi di questa “controcultura” sono venuti dalle donne del Sud del mondo da Vandana Shiva, Arundathi Roy, Bina Agarwal in India a Shanysa Khasiani e Esther I. Njiro in Africa. Il Movimento si è fatto portavoce di una posizione che va oltre sia la rivendicazione femminile di uno statuto di razionalità e di diritti politici ed economici al pari della condizione maschile, sia l’affermazione della specificità femminile e dell’alternativa femminista alla cultura maschilista.

LE NEMESIACHE

* Il titolo è tratto dall’ultimo grano del “Rosario di pietre – preghiera al Vento” di Teresa Mangiacapra/Niobe – istallazione del 24 ottobre  2017 presso Fiorillo Arte a Napoli.