L’Ultimo lavoro di Graziella Priulla “La libertà difficile delle donne – ragionando di corpi e di poteri” edito da Settenove
Nel testo si legge che ogni potere – da quello religioso a quello politico – interviene sui corpi. Prima ancora di approntare sistemi di strutture e di norme, costruisce ordini simbolici che distinguono gli usi «naturali» e «legittimi» del corpo da quelli «innaturali» o «perversi». La posta in gioco è alta: riguarda la sfera intima delle persone, la sessualità e la riproduzione. Regolamentandole si regolamenta la società, ed è con il controllo delle donne che viene garantita la purezza della linea di discendenza, ritenuta essenziale per la vita comunitaria.
Nel corso del Novecento i movimenti femministi hanno portato sulla scena della storia, della cultura, della politica le vicende che riguardano il corpo, svelando le discriminazioni, le subordinazioni e le cancellazioni subite dal genere femminile per secoli.
Eppure, meccanismi invisibili condizionano ancora la nostra libertà mentre conquiste che credevamo acquisite vengono rimesse in discussione, le parole chiave del femminismo subiscono una torsione che rischia di stravolgerne il senso.
Queati i saggi pubblicati da Graziella Priulla
I caratteri elementari della comunicazione
Edito nel 2009, è un manuale rivolto agli studenti universitari e offre un quadro d’insieme su un tema tanto frequentato quanto mal definito. Prospetta gli ambiti di interesse, i processi, i contesti che sono coinvolti nel campo complesso della comunicazione, cercando di trasferire la natura astratta dei termini nella concreta esperienza di ciascuno.
L’Italia dell’ignoranza. Crisi della scuola e declino del paese
Pubblicato nel 2011, il saggio verte sullo stato al quale è giunta la scuola italiana, attraverso un processo di opacizzazione del suo prestigio istituzionale, di indebolimento progressivo della sua efficacia formativa, a causa della tradizionale mancanza di centralità del tema dell’educazione nelle agenda politica italiana, all’erosione del consenso sociale e alla conseguente perdita di credibilità agli occhi di chi ne fruisce (in particolare, gli studenti e le famiglie), di chi vi agisce professionalmente (i docenti e il personale) e di coloro ai quali, dirigenti e politici, sono affidati compiti di indirizzo e organizzazione.
L’indebolimento del ruolo istituzionale è messo in relazione con il generale declino del paese. Un tratto notevole di questo fenomeno di depotenziamento è che esso si accompagna a una scarsa consapevolezza da parte dell’opinione pubblica, in particolare di famiglie e studenti: perfino nei casi in cui vi è percezione, essa avviene in termini di tale ineluttabilità da non riuscire a stimolare nemmeno una reazione generale. Questa «assenza [della scuola] dall’orizzonte complessivo della società» è per l’autrice il nodo principale, e arduo, che la società italiana dovrà essere in grado di sciogliere per dotare il paese di un’istituzione educativa adeguata a sostenere il ruolo del paese nel sistema di competizione internazionale.
Riprendiamoci le parole. Il linguaggio della politica è un bene pubblico
Un pamphlet uscito all’inizio del 2012, quando il lungometraggio berlusconiano sembrava giunto ai titoli di coda. Elenca le parole tradite, deformate, stravolte da un uso mistificante e strumentale o superficiale e irriflesso. Le catarsi collettive iniziano purificando le parole. La lingua è un bene prezioso per la sopravvivenza dell’umanità, né più né meno dell’acqua.
C’è differenza. Identità di genere e linguaggi
Pubblicato nel 2013, il libro ha l’ambizione di porsi come manuale di educazione di genere rivolto alle scuole superiori. Lo scopo è quello di coltivare nuove modalità per costruire identità di genere aperte e paritarie, che aiutino le nuove generazioni a difendersi dagli stereotipi e da modelli di femminilità e di mascolinità limitativi delle potenzialità di ciascuna e di ciascuno. Il piano educativo è essenziale per la formazione di linguaggi e orientamenti che, senza negare le differenze biologiche (anzi, valorizzandole), le privino della carica di violenza, delle prevaricazioni e delle ambiguità che storicamente hanno accompagnato le relazioni tra i sessi.
Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo
Pubblicato nel 2014. Il registro prevalente della prima Repubblica era l’ipocrisia, fatta per sopire, attenuare, nascondere; la spudoratezza bulimica inaugurata sul finire di quella stagione ne è il rovescio: è fatta per eccitare, sobillare, aizzare. Da antimodello scandaloso, da fuga trasgressiva verso una dimensione carnale e rovesciata del linguaggio, il parlar sboccato è diventato canone ufficiale. Il turpiloquio sessista pare fantasia ma è ridondanza: addomestica, normalizza, irreggimenta i corpi e le condotte. Anche quando finge di sfuggire alla monotonia dell’atto meccanico, di stimolare l’eccitazione, è confinato nel recinto degli stereotipi. Insomma, è un incitamento al conformismo.