MADDALENA, PROFUGA PER SEMPRE. INTRECCI E MEMORIE TRA ISPIRATRICE E AUTRICE, NELLE PAGINE APPASSIONATE DEL ROMANZO DI GRAZIELLA CARASSI
Scrivendo in prima e in terza persona e lasciando ad altri il ruolo principale (la Carassi compare sì come io narrante, ma la protagonista del libro è comunque l’amica “profuga”, Maddalena), l’Autrice, con una operazione complessa e ardita, elabora in forma diretta il proprio personale lutto per la scomparsa dell’amica e, attraverso di esso, quello dei suoi cari, le sue radici e il suo paese [Offida, nelle Marche] precocemente abbandonato, e in forma mediata quello, così profondo e irrisolto, dell’amica stessa.” Così scrive Giuseppe Martini, autore di numerosi testi scientifici di psicologia e di ermeneutica, Dirigente del Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Roma E, nella postfazione di Maddalena profuga per sempre: opera complessa dalle plurime finalità, consce e inconsce verrebbe da dire, perché le pagine di Graziella Carassi sarebbero improbabili senza il voler dire la storia piccola e grande di un luogo considerato “natale”, di una regione, di un paese anche nelle sue emigrazioni, nelle sue guerre e nelle sue pacificazioni, senza voler dire di sé stessa, di una vita dedicata alla psicologia psicanalitica, alla letteratura e all’arte.
Da un capo all’altro del poderoso volume che “con efficacia narrativa sempre più intensa, avvolgente – colori, musiche, feste, profumi, voci sapori – è bello, delicato, angoscioso anche ma infinitamente dolce e appassionato” (Gianfranco Gilardi, contro), rieccheggia la frase del Sindaco e dell’Assessore alla cultura di Offida, tra i patrocinanti: ognuno di noi configura la storia della sua esistenza nel cerchio più ampio della storia del mondo. Questa naturale impostazione però non viene mai analizzata nella sua percezione immediata e complessiva; nessuno di noi, ogniqualvolta decide di fare qualcosa, lo fa con l’intenzione concreta di realizzare un fatto all’interno di un altro fatto, anche se nell’inconscio perpetuo si forma uno schietto ed intrinseco codice di appartenenza, ed allo stesso tempo, della propria esistenza nel contesto collettivo e storico in cui essa viene vissuta”. Non ultimo citato, Renzo Mulato, “Filosofo itinerante tra Veneto, Friuli, Dalmazia et ultra”, nella prefazione indica come “aspetto essenziale il tratto che unisce tutti i co-protagonisti, autrice compresa, ovvero il loro essere dei migranti, per condizione e convinzione, spesso per costrizione. Ricorrono storie di espulsioni, distacchi ed abbandoni, di sparizioni e di ritorni, di speranze a volte coronate da successo ed a volte no.”
Dipanare il filo della vita di Maddalena in un’opera di micro e grande storia, a ponte tra memorialistica, biografia, autobiografia, con una carrellata fotografica degna di pubblicazione in proprio – e lo stesso si può dire della ricerca linguistico-dialettale ricostruita e a tratti rivisitata per maggiore divulgazione in brani corti e lunghi, filastrocche, canti, incisi di un parlato reso con immediatezza ed efficacia; delle note in numeri arabi e romani il cui arco temporale e geo-politico copre l’Ottocento e il Novecento peninsulare e anche Occidentale, storia dell’emigrazione, del costume, della musica, dell’artigianato comprese, ampi spazi riservati ad Offida, paese nel quale l’Autrice non è nata avendo la madre partorito a Potenza picena ma al quale appartiene dai primi mesi di vita; paese mai lasciato anche se in gioventù odiato e poi “amato appassionatamente”.
Ogni poche pagine, un rimando: il Carnevale di Offida, le Merlettaie, la scuola sua e della madre, Clara, cerniera nel rapporto transgenerazionale, romano tra una sua amica di classe (Maddalena) e la figlia Graziella (l’Autrice), di cui è narrato l’incipit degno di un libro di fiabe: in visita a un’amica, Graziella e Maddalena, che, anziana, sta stirando una camicetta di seta, scoprono la stessa derivazione geografica e del cuore: le Marche, Offida. È una filiazione che si rafforza nel lutto dell’Autrice per la madre, la rende figlia-amica-indispensabile a Maddalena. É una maternità traslata che si esprime in costei, a chiusa di una lunga, difficile, a volte disperante vita, in cui la solitudine è l’esito d’incontrollabili maree affettive, emozionali, lavorative; condizione sofferta e non scelta; costante e nostalgica e-migrazione.
Profughe entrambe; profughe e profughi tutte/i le/i protagoniste/i di un racconto avvincente, di cui non si dice la traccia per lasciarle la suspence del giallo, che l’Autrice rivendica al romanzo.
Libro, scrittura, vicende di confine, parola d’intendimento e d’esperienza universale. Dove sia questa linea, come dove e perché la/ci si ponga, sarà sempre intreccio di cesure e avvicinamenti.
Maddalena, la sua vita di ragazza “marchigiana” ma con il marchio di nascita da una “coppia non ortodossa” e ovunque “straniera”, è ragione, traccia, essenza inquietante, ombra, memento e rimando del poderoso affresco tra Ottocento e Novecento intessuto dall’Autrice, ma non l’epilogo.
Nel percorso, di trasparente ambivalenza, l’ultima pagina è l’Inno ad Offida in versi quinari di Pinna di Squalo, musiche di E. Tassetti.
Entrambe, Maddalena e Graziella, non se ne sono mai allontanate e s’aiutano nel ritrovarla. Per entrambe è un porto concreto e immaginato sicuro, eternizzato, esso e loro, nel libro.
L’opera, edita da Capponi, 2016, è stata presentata da Anna Maria Isastia (docente di Storia Contemporanea all’Università “Sapienza” di Roma), e da Fiorenza Taricone (docente di Scienze delle dottrine politiche all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e Consigliera provinciale di Parità), alla Casa della Memoria e della Storia (Roma, 18 c.m.), con lettura di brani e intervento dell’attore Angelo Blasetti.