Maggio 2013: ancora una volta a L’Aquila
Le donne di una città che è stata oggetto di un esperimento di controllo autoritario su territorio e popolazione hanno l’ambizione di essere soggetto di un’iniziativa politica semplice ma fondamentale: la nascita di una casa delle donne, aperta a tutte. Due anni fa il Comitato le Terre-mutate invitò le donne di tutta Italia a un incontro: eravamo invitate a vedere la realtà che i media avevano nascosto e stravolto, e a partecipare al progetto per l’apertura d una Casa delle donne nella città ferita.
La città in questi due anni è cambiata. Le transenne che bloccano l’accesso alla zona rossa non sembrano una cosa seria. Si entra facilmente. Le due camionette militari all’inizio e alla fine del corso ospitano giovani soldati molto rilassati. Ci chiediamo se nella loro paga, di militari di professione, è previsto un indennizzo noia.Nel centro storico de L’Aquila di negozi e pubblici esercizi aperti ce ne sono pochi, meno forse di due ani fa. C’è chi ha chiuso o sta per chiudere per mancanza o scarsità di clienti. Il proprietario di un bar dove ci fermammo allora ce l’aveva detto: i centri commerciali hanno sostituito la piazza. Non è lo stesso fenomeno che avviene in altre città. Qui non c’è stata scelta: invivibile il centro storico, inesistenti i punti di aggregazione nelle {new town} che circondano la città, il centro commerciale è diventato l’unico spazio possibile.
Questo sabato e questa domenica [18 e 19 maggio 2013] però ci sono le donne. Ne sono arrivate di meno rispetto a due anni fa, ma{{ il programma dei lavori è ricco, ambizioso}} come e più di allora.
Le donne di una città che è stata oggetto di un esperimento di controllo autoritario su territorio e popolazione hanno l’ambizione di essere{{ soggetto di un’iniziativa politica semplice ma fondamentale: la nascita di una casa delle donne, aperta a tutte.}} Per questo dal comitato le Terre-mutate è nata un’associazione a cui ci si può iscrivere tutte. Perché di tutte, aquilane e non, sarà la casa, una volta aperta.
E già adesso sono di tutte le stanze in cui si discute.
{{Quattro stanze, quattro temi}}: la {sala da pranzo}, dove mettere a confronto “buone pratiche per le case delle donne”, dove aggregare e mettere insieme “le case esistenti e quelle progettate, per percorrerne la storia e immaginarne il futuro”; lo {studio-biblioteca}, dove parlare di “violenza di genere, oltre la rappresentazione, oltre la riparazione”, “per superare il gran rumore mediatico sul femminicidio”, e scovare gli spazi nascosti in cui si annida la violenza; la {cucina}, dove parlare del protagonismo delle donne nei “territori violati”, per riconoscere la loro presenza nei luoghi “dove si difendono convivenza civile e ambiente, in cui si progettano nuovi modi di affrontare la crisi del modello patriarcale”; il {giardino}, che non è una stanza, ma lo spazio aperto del desiderio, della bellezza e della cura, dove riunire progetti sogni e utopie concrete, che le donne sanno inventare per disegnare il mondo in modo nuovo.
Nella {sala da pranzo} si confrontano le esperienze di alcune delle poche città dove una {{Casa delle donne}} esiste già, magari da poco come a Ravenna. In alcune il Centro antiviolenza sta nella Casa o è gestito da una delle associazioni che hanno dato vita alla Casa. Se sta nella casa si tratta ovviamente del centro di ascolto, non della casa rifugio che richiede caratteristiche in un certo senso opposte (segretezza al posto di estrema accessibilità). A livello nazionale sappiamo che sono più numerosi le città dove esistono Centri antiviolenza, rispetto a quelle che hanno una Casa delle donne. Perché allora farne un obiettivo specifico a L’Aquila? Perché non sarebbe soltanto un luogo politico gestito dalle donne per le donne, ma anche perché rappresenterebbe{{ il riconoscimento del grande ruolo svolto dalle donne aquilane.}}
Nello {studio-biblioteca} molte fra le donne presenti sono operatrici in {{Centri antiviolenza}}. L’incontro si apre con la presentazione da parte di Sara Vegni dei risultati di una ricerca fatta per Actionaid (…) in cui è stato ricostruito il percorso tortuoso di un finanziamento destinato ai centri antiviolenza della zona terremotata e non ancora arrivato a buon fine.
Ma il cuore dell’incontro è una riflessione per cercare di capire se è arrivato il tempo di {{una narrazione differente sulla violenza di genere}}, che superi la distinzione fra chi gestisce i Centri o ne parla e ne scrive e chi invece ai Centri si presenta portando non soltanto l’esperienza dei maltrattamenti subiti, ma tutta la propria vita, in cui c’è stata anche questa esperienza. Da molte la distinzione viene negata: ci sono donne in momenti diversi della loro vita. Quelle che arrivano sono donne in momentanea difficoltà, chi le accoglie sa di condividerne la fragilità, sa di essere a rischio. L’approccio non può essere quella della specialista, ma quello di chi vuole costruire una relazione. Qualcuna ricorda che i centri sono nati dalla politica delle donne.
Nella {cucina} {{i territori violati di cui si parla sono fisici, ma anche metaforici.}} Fra quelli fisici la Val di Susa, dove per militarizzare il cantiere TAV si spendono fondi pubblici che all’Aquila avrebbero fatto e farebbero comodo.
L’Aquila è territorio violato per definizione: ogni donna aquilana che racconta lascia l’aria densa. C’è chi racconta come ci si sente dopo un evento che capovolge i concetti di possibile ed impossibile, che rende impossibile quello che prima era normale, come passeggiare per la città, nelle strade, entrare nelle case e nei negozi, nei cinema, e con prepotenza invece fa diventare reale l’impossibile, come l’assegnazione di case tutte uguali, nelle quali non c’è posto per i propri mobili, le proprie cose, i propri ricordi.
E ancora donne come protagoniste a Napoli ed Acerra, nella vicenda dei rifiuti. Da nord a sud, in Italia e nel mondo, sono spesso le donne a farsi carico della tutela del territorio. Alcune fanno notare come questo sia ingiusto: la tutela dei territori dovrebbe riguardare tutti, uomini e donne.
Nel {giardino} ci si rende conto che per {{sognare e ri-disegnare il mondo }} bisogna partire dalle sue ferite. Una giovane architetta racconta che durante un sopraluogo si è trovata di fonte all’alternativa se spostare o calpestare un giocattolo sui gradini distrutti di una scala: è tornata indietro, senza proseguire il sopraluogo. Da qui la riflessione si allarga: qualcuna parla della difficoltà di fotografare la zona rossa.
Ma visitare i “luoghi difficili”, seguendo la pratica delle Donne in nero, è possibile se si costruiscono relazioni: l’Associazione le Terre-mutate, promossa dalle donne aquilane, si propone di riunire entro un anno l’assemblea delle socie, per continuare il percorso insieme alle donne venute a quest’incontro (e a quello precedente).
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