In una scuola di Roma

La visita di Francesco a Barbiana ha avuto diversi meriti. Se quello di riparare ai danni causati dalla Chiesa è stato certo il più difficile, quello più elementare (ma forse anche il più rilevante, in quanto a concretezza delle conseguenze) è stato il riportare l’attenzione di molte e diverse persone sul pensiero e le scelte di vita di don Milani. La portata e l’attualità delle idee del maestro-priore sono segnalate in modo evidente dalla citazione che apre la chiosa autobiografica che ci invia Marianella Sclavi. Che ha il merito straordinario di aprire concetti come quelli di “paura dell’altro” o “straniero”, rovesciandone il senso con un gioco brillante che invita a coltivare passioni serie.  Potranno servire a capire le trasformazioni in atto nel mondo attuale attraverso le abilità e le conoscenze indispensabili a chi da quei cambiamenti voglia trarre vantaggio piuttosto che venirne travolto

Articolo di Marianella Pirzio Biroli Sclavi*

— Quella che vi propongo è una chiosa strettamente auto-biografica (con risultati paradossali) della seguente bella affermazione di Don Milani:  “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato e privilegiati ed oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri.”

Sono cresciuta in una famiglia benestante di viaggiatori: mio nonno materno era un mercante veneziano sempre imbarcato per il medio ed estremo oriente e mio padre oltre a conoscere vari paesi africani, aveva lavorato in Germania e Romania (dove organizzava gare automobilistiche per fare pubblicità alla Ford) e conosceva piuttosto bene cinque lingue.

Uno degli ambienti educativi più importanti della mia infanzia sono state le conversazioni a tavola, specie nei lunghi pranzi festivi, durante i quali gli adulti, con mia grande meraviglia, trasformavano le disavventure di viaggio in occasioni di risate e di apprendimento. Di conseguenza anch’io personalmente non mi sono mai sentita “solo italiana”, ma una perpetua straniera di lingua madre italiana. Credo che la nota fondamentale della mia vita sia stata scappare da tutti i posti (siano questi la politica o l’università) dove veniva richiesta qualche forma di identificazione con un gruppo chiuso, autoreferenziale e non dialogante. La mia vera profonda paura non è “dell’altro”, ma “dello stesso.”

Ma proprio per questo, coloro che invece temono “l’altro” sono per me anch’essi “stranieri” , personaggi quasi incomprensibili e quindi interessanti. E’ un bel paradosso, no? Il non sapere ascoltare e raccontare storie di incontri-scontri interculturali è un enorme spreco di potenzialità umane e sociali e una ragione di infelicità e credo che senza affrontare questo spreco e questa infelicità, non si riuscirà neppure a riequilibrare le disparità economiche.

Quindi quando accompagniamo i nostri nipoti all’asilo o a scuola e incontriamo i loro compagni che vengono da paesi diversi, invece di usare i termini “stranieri” ed “extra-comunitari”, proviamo a indicarli come “plurilingue ” e “plurinazionali.” I bambini hanno le antenne e capiscono subito che stiamo rovesciando il modo usuale di vedere le cose e che in questo rovesciamento sta il segreto per diventare tutti quanti meno provinciali e diseredati culturalmente. Organizzare settimanalmente nei propri circoli sociali, nelle biblioteche civiche, nelle scuole, delle occasioni di incontri e racconti interculturali è il modo principale per avviare delle appassionanti indagini sulle trasformazioni in atto nel mondo attuale e sulle abilità e conoscenze richieste a chi voglia trarne vantaggio piuttosto che venirne travolto.

 

*Marianella Sclavi ha insegnato etnografia urbana, arte di ascoltare e gestione creativa dei conflitti al Politecnico di Milano e collabora da anni a progetti di risanamento dei quartieri in crisi.