Mariella e Maddalena, il dialogo serrato fra madre e figlia
E alla fine della lettura mi sono venute in mente le parole di Carl Gustav Jung nel suo saggio sull’archetipo della Grande Madre: in ogni madre c’è la propria figlia, in ogni figlia c’è la propria madre. Non mi pare che abbia mai scritto la stessa cosa in versione padre/figlio. Non apparteniamo alla stessa generazione di donne. {{Mariella Gramaglia}} ha “fatto” il ’68 da protagonista, laureandosi nel 1972. Io, 1968 ero a Roma, come giornalista e dirigente del Movimento Femminile della D. C. Però entrambe siamo state nella Gioventù Femminile di Azione Cattolica. E poi anch’io sono arrivata nel movimento femminista e nella sinistra extraparlamentare. Tutto questo per dire che il dialogo serrato, bellissimo, intransigente di “Fra me e te” tra Mariella e sua figlia {{Maddalena Vianello}}, non mi ha spaesato per niente. Anzi, mi è sembrato subito, dalle prime pagine, una testimonianza che opera{{ una profonda connessione tra l’essere donne e femministe,}} in epoche diverse e per giunta in successione: di madre in figlia.
E alla fine della lettura mi sono venute in mente le parole di {{Carl Gustav Jung}} nel suo saggio sull’archetipo della Grande Madre: in ogni madre c’è la propria figlia, in ogni figlia c’è la propria madre. Non mi pare che abbia mai scritto la stessa cosa in versione padre/figlio.
{{Le due si differenziano nello stile della loro scrittura}}, forse perché differenza d’età è differenza dei contesti cultural – educativi che conferiscono alle parole dette e scritte la impronta indelebili dei nostri inconsci individuali e collettivi. E si capisce quando Mariella racconta di sua madre e Maddalena, invece, di lei e della nonna materna.
{{Giulia Bongiorno}} va presa sur serio anche se è di destra rispetto a Se non ora quando? Perché, comunque, s’impegna seriamente per affermare la soggettività femminile? Maddalena è più intransigente: insomma, è e resta una donna-di-destra.
{{E le quote rosa? }} Mariella dice basta, chiediamo il 50 per cento, minimo. Intanto, mentre leggevo il loro libro, le donne candidate per il Partito Democratico di Brescia, hanno dichiarato che con le quote rosa non sono d’accordo. E non perché vorrebbero il 50 per cento.
Fra queste candidate ci sono anche giovani dell’età di Maddalena. Ma che, a differenza di lei, non sanno e non vogliono sapere degli anni ruggenti del femminismo italiano.
Forse anche per colpa delle femministe, noi: io, Mariella, le altre. Maddalena un rimprovero lo esprime chiaro e tondo:{{ il femminismo storico ha dimenticato le donne nel loro insieme.}} Quel “noi donne”, scrive alla mamma, “non erano veramente le donne nel loro complesso, ma solo ‘noi donne, emancipate, intellettuali, di una certa estrazione sociale, di un certo orientamento politico…”. E le altre, si chiede? E’ un’accusa forte, da raccogliere: “La difficoltà del femminismo di essere inclusivo è stato a mio avviso un limite, ma anche una responsabilità.”
Negli anni settanta avete scelto, con ragione, {{il separatismo}}, dice la figlia, ma come avete educato i figli maschi? Un altro colpo ben assestato a giudicare da narcisismo patriarcale di tanti, troppi, giovani uomini persino in quota alla sinistra.
Però Mariella è saggia, raccoglie e rincara la dose: ”Eroine del femminismo e cattive educatrici di figli maschi?” Ricorda che Freud scriveva che non sarebbe mai diventato il fondatore e padre della psicoanalisi se sua madre non fosse stata convita che lui fosse un genio.
Berlusconi ha avuto mamma Rosa; che, ce lo ricordiamo, a ogni intervista osannava ed esaltava il figlio come un vero dio in terra. Non si può uscire facilmente da una storia collettiva dove, scrive Gramaglia, l’iconografia mai ci presenta una bimba tra le braccia di sua madre. Nel museo della città di Zaragoza c’è un’opera scultorea del primo novecento che rappresenta una giovane madre nuda con un figlioletto di 5/6 anni, pure lui nudo. Impensabile, letteralmente, una madre nuda con la figlioletta nuda.Maddalena ricorda la biografia di {{Mara Carfagna}} prima che diventasse parlamentare: l’abbigliamento che metteva in risalto la sua seduttività nei calendari o nelle trasmissioni in Tv e poi la trasformazione con i tailleur castigati anche se raffinati, alla Camera dei deputati. La Carfagna e le altre del cavaliere: emancipate e tradizionali nello stesso tempo. Emancipate e ancelle dei leader, del sommo leader. Perché se c’è la{{ Santanchè}} che cerca con ogni mezzo di combattere la menopausa, ostentando un’aggressività senza pause, ci sono anche masse di coetanee che in questo Paese hanno raggiunto la stessa età facendo le mogli-mamme casalinghe; più o meno devotamente alle prese con l’ossequio alla morale cattolica. La differenza, rispetto, alle loro madri, è che ogni tanto basta poco per scoprirle arrabbiate con vita che hanno fatto per colpa di madri e padri e poi mariti.
Forse, l’acquisito diritto al lavoro fuori di casa per le donne, almeno in teoria, e il movimento femminista, porta questi frutti maturi. Meglio di niente.
{{Le madri delle donne che ora hanno tra i quaranta e i cinquanta}}, sono quelle che hanno qualche ricordo della guerra e chiari ricordi del dopo. Una generazione persa per i diplomi e le lauree nelle famiglie operaie e contadine o di piccoli impiegati. Se c’era qualche possibilità economica, a studiare erano obbligati i figli maschi. Una ragazza poteva anche essere un genio, ma le toccava sentirsi dire: “sei una femmina, ti sposerai: cosa ti serve una diploma!”. Forse è l’ultima generazione di donne che è stata abituata a pensare alla “carriera” di madre e moglie dai 19, 20., 21, 22 anni.
E’ la generazione di {{Chiara Saraceno}}, di {{Silvia Vegetti Finzi}}, di {{Luisa Muraro}}, di {{Elisabetta Donini}}.
Che comunque hanno in, abbiamo, in comune con Mariella il suo{{ racconto di bambina alle prese con i preti dei confessionali.}} E’ a pag.140, alla fine del libro, che Mariella si “confessa” alla figlia sulla sessualità e dintorni. Nella generazione più avanti, ci ricorda, si usa dire “fare sesso” con disinvoltura pari alla perdita (totale?) dell’inibizione da sessuofobia.
Io ti racconto la mia storia, lascio a te relativizzarla”. Scrive alla figlia.
La nudità era un tabù. Ricordo anch’io l’imperativo materno: “copriti. Sii composta.” Ma poi poteva anche arrivare il peggio della molestia sessuale in un luogo sacro come la scuola.
Il grasso bidello che armeggiò, a lungo, con lei e le sue mutandine. Il silenzio, era sempre così, con la madre e poi il senso di colpa che riemergeva a ogni confessione in chiesa perché i preti chiedevano “Hai commesso atti impuri?”. Ha ragione Mariella: {{la Chiesa dovrebbe chiedere perdono alle donne come ha fatto per Galileo Galilei. }} Ha ragione anche a ricordare che in Italia oggi le cose sono cambiate, la terrificante sessuofobia cattolica ha perso smalto e mercato:ma non così non è per le ragazze dell’Islam italiano.
Maddalena si è accalorata, ha discusso con dovizia di particolari confutando ogni tanto le tesi dell’importante madre, ma alla fine, con la madre, scrive {{l’epilogo}}.
“S’impone un ricambio. Il maternage è finito. Il femminismo italiano come quarant’anni; le sue figure mitiche viaggiano verso la settantina. Resta una generazione dalla memoria pensosa e intensa. Che vive, non è depositata negli archivi. Deve rappresentare una propulsione, un sostegno, ma non può più essere leader. “.
{{Mariella Gramaglia e Maddalena Vianello}}, {Fra me e te. Madre e figlia si scrivono: pensieri, passioni, femminismi}, et.al/EDIZIONI, 2012
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