Marinella Senatore, il teatro della rivolta
— Azione: corpi in movimento per piazze, strade e musei. È una comunità dinamica e in divenire quella che Marinella Senatore mette in scena attraverso le sue opere. Opere performative che si costruiscono attraverso la partecipazione di uno e mille individui: professionisti e amatori, studenti e illetterati, e poi scrittori, attori, ballerini, cantanti. Una comunità festante che prende forma in un “luogo di rappresentazione” che si costruisce grazie a performers e spettatori che agiscono in interdipendenza gli uni dagli altri. Un luogo teatrale, dunque, che però non può essere iscritto in alcun edificio specifico, ma si definisce in base alla superficie sulla quale plana, fluido e malleabile come il pallone sgonfio di una mongolfiera, che si adagia sul sostrato preesistente evidenziandone curve e linearità. Sotto quel pallone aerostatico che ha girato il mondo, immaginiamo crearsi una bolla colorata che ritorna a vivere grazie all’afflato degli uomini lì compresi e che pian piano, riempendosi di nuovo d’aria, ridisegna le relazioni e lo stesso spazio urbano, per poi continuare a volare.
Premio MAXXI nel 2014 per la sua The School of Narrative Dance, Marinella Senatore, artista italiana ma dal respiro internazionale, non si arresta. Dopo la Quadriennale dello scorso autunno a Roma, il suo lavoro ha toccato New York (Queens Museum a cura di Matteo Lucchetti), Parigi (Centre Pompidou a cura di Kathryn Weir), Zurigo (Kunsthaus Zürich a cura di Mirjam Varadinis) fino a raggiungere Documenta 14 a Kassel.
The School of Narrative Dance – fondata nel 2013 – è una scuola gratuita e itinerante, centrata su laboratori di danza e storytelling che ha il suo momento conclusivo nello spettacolo/parata che si costruisce durante gli incontri antecedenti tra insegnanti e studenti. Questa pratica, ormai collaudata nel tempo, coinvolge le comunità locali (per lo più associazioni) e i singoli cittadini che condividono così le loro capacità e ne acquisiscono di nuove. Durante questi momenti una nuova comunità nasce: essa si racconta e raccontandosi riscrive i suoi spazi sociali, perché è proprio nelle piazze, nelle strade o nei musei (interno/esterno) che quest’esperienza si riversa aprendo quegli stessi spazi a nuove possibilità di interazione rispetto a quelle quotidiane. Ma il lavoro di Marinella Senatore non si esaurisce in un solo format, esso si articola piuttosto in diverse pratiche performative che prendono corpo in “situazioni” che, nel loro valore intrinseco, si potrebbero dire molto similari alle situazioni debordiane, ovvero una “costruzione concreta di ambientazioni contingenti della vita, e la loro trasformazione in una qualità passionale superiore”, vale a dire momenti di creazione singolari e puntuali che sottraggono il desiderio individuale alla macchina produttiva messa in azione dall’industria culturale, attivando un’esperienza unica che penetra il tessuto sociale urbano innescando nuovi dispositivi di relazione. Ne sono un esempio -in modi diversi- gli ultimi interventi a New York, Parigi e Zurigo.
Al Queen Museum, Marinella Senatore ha realizzato “Piazza Universale/Social Stages”, una mostra-evento politicamente connotata in un quartiere complesso e multiculturale, in cui sono stati coinvolti tanto gli attivisti quanto quelle espressioni artistiche tipicamente ribelli (come il rap). Impegno sociale, educazione alternativa, costruzione di piattaforme per indagare la relazione tra arte e società oggi: questi gli obiettivi principali di un progetto costituito da quattro sezioni (tre richiamanti lavori precedenti, una realizzata specificatamente per l’occasione) che si propongono di indagare la storia di una comunità. Video, opera, teatro, installazione, musica, collage e poster, questi i linguaggi utilizzati per dare luogo ad un ambiente multimediale in cui la collettività si riconosce e si interroga in quanto tale.
Al Centre Pompidou, invece, è stata allestita l’ulteriore tappa della School, con tanto di laboratori di danza e scrittura collettiva. Ma la scuola, per quanto abbia un formato prestabilito, non ottiene mai lo stesso esito dai suoi studenti; e Parigi mostra ancora una volta il suo volto contraddittorio, così com’è sospesa tra apertura all’altro e integrazione mancata, tra passato coloniale e presente post-coloniale, tra ile e banlieue. I laboratori organizzati al Pompidou, infatti, si sono articolati in lezioni di danze congolesi, senegalesi e del nord Africa, gli atelier di scrittura hanno prodotto slogan come “The struggle continues” o “Labor day parade march”, e tutto questo è esploso il 2 luglio, il giorno della parata conclusiva. Accanto agli studenti e i docenti della scuola, hanno marciato passanti del Marais, bourgeois bianchi ed extracomunitari di colore, artisti di strada e artisti professionisti in un mix di improvvisazione e preparazione che, per un lungo attimo, ha livellato le differenze di fronte ad un sentire comune.
Al Kunsthaus Zürich è stata un’altra esperienza ancora a prendere forma. Invitata a partecipare alla mostra collettiva Action, l’artista ha realizzato un lavoro suddiviso in due momenti: il primo, trasmesso durante l’opening, consisteva in un soundtrack – frutto di una raccolta di suoni precedentemente inviati al museo tramite call pubblica e poi messi insieme da Emiliano Branda – intramezzato dal cantato di un coro di rifugiati; il secondo invece, l’8 luglio, comprendeva una serie di performance sempre musicate e ballate ma giostrate all’interno dell’area del museo dedicata all’arte antica, tanto che la parata in questo caso era fatta dagli stessi spettatori che si spostavano di sala in sala al ritmo dei differenti suoni.
Nella pratica di Marinella Senatore si riconosce non solo il festivo in quanto fenomeno antropologico fortemente legato alla cultura popolare, ma anche degli aspetti prettamente pedagogici o propri di quello che lei stessa definisce il “teatro della rivolta”. Una rivolta che in chiave artista e contemporanea non si traduce in azioni violente, ma piuttosto in una rivoluzione dello sguardo passante per un approccio diverso al tempo e allo spazio del quotidiano attraverso il proprio corpo. Teatralizzando il gesto e performativizzando l’opera come durata, il corpo diviene infatti una componente attiva nella costruzione di nuovi spazi sociali.
Così la macchina volante è pronta a rimettersi in moto, ci sono ancora tanti individui da mettere in relazione gli uni con gli altri, raccontandone le storie, le danze, i riti e rituali, gli usi e costumi. E ora di abbandonare la comunità a cui aveva dato appuntamento, fattasi mostra, essa si è ormai vista attraverso lo specchio: mutevole, colorata, allegra, vitale, libera e che scorre, scorre come la Senna sotto il Ponte Mirabeau…(Pubblicato il 30 luglio 2017 · in AlfaDomenica )