Riproduzione di un murales pubblicato su Strade.it riferito all’articolo di Giulia Crivellini sulla sentenza della Corte Costituzionale che recita: «L’affermazione della necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano è fortemente radicata nell’ordinamento sia interno, sia internazionale e questa Corte, sin da epoca risalente, ha contribuito a tale radicamento», afferma a chiare lettere. E si spinge oltre, indicando la strada da seguire: «non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore».

Verità e chiarezza.  Il Centro Italiano femminile (Cif) esprime profonda soddisfazione per la sentenza della Corte Costituzionale che, ribadendo il divieto assoluto alla maternità surrogata in base alla legge 40/2004, riafferma “l’elevato grado di disvalore” di tale pratica, vietata perchè “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” .

Il Cif, che si è opposto da subito con interventi sulla stampa e con iniziative pubbliche nei confronti dello sfruttamento del corpo della donna, ridotta a merce e del figlio oggetto di una “transazione commerciale” alla pari di una “cosa”, continuerà ad opporsi ad ogni forma di violenza nei confronti delle donne soprattutto delle più vulnerabili e delle più povere e ribadisce con forza che non tutto può essere comprato perchè la dignità di ogni persona umana è così alta che viene prima di ogni legge come sancisce anche la nostra Costituzione.

Maria Pia Campanile Savatteri   Presidente Nazionale CIF

 

Il Centro Italiano Femminile è un’associazione di donne, senza fini di lucro, costituita ai sensi degli artt.36 e ss. del codice civile. Opera in campo civile, sociale e culturale per contribuire alla costruzione di una democrazia solidale e di una convivenza fondata sul rispetto dei diritti umani e della dignità della persona secondo lo spirito e i principi cristiani, la Costituzione e le leggi italiane, le norme del diritto comunitario e internazionale.
È soggetto autonomo rispetto ai partiti politici e a qualsiasi altro movimento, e assume i valori della democrazia nelle strutture e nell’azione.
Il CIF svolge azione di presenza e di partecipazione in ogni ambito sociale e istituzionale e stabilisce rapporti di collaborazione con istituzioni, enti e associazioni, sia pubblici sia privati, per il perseguimento delle finalità associative.

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Sull’argomento  l’articolo di Elena Tebano uscito sul Corriere il 20 dicembre 2017

Per la prima volta la Corte costituzionale si è pronunciata su un caso di maternità surrogata e ha stabilito che il giudice chiamato a decidere del disconoscimento del figlio così concepito è sempre tenuto a confrontare l’interesse alla verità con l’interesse del minore. Lo stabilisce la sentenza della Consulta n. 272, depositata il 18 dicembre 2017 (relatore Giuliano Amato), che risponde, dichiarandola non fondata, alla questione di costituzionalità sollevata dalla Corte d’appello di Milano il 25 luglio 2016 che chiedeva di valutare non «la liceità della pratica della surrogazione» (che rimane vietata), «ma i diritti del bambino da tale pratica nato».

L’interesse del minore

I giudici costituzionali così evitano di decidere se la genitorialità di quel bambino va sempre tolta o sempre lasciata alla madre «intenzionale» che lo ha cresciuto (ma non ha legami genetici con lui), ma affermano che i tribunali nel decidere sulla questione devono sempre valutare se far prevalere l’interesse alla verità o l’interesse del minore. Vi sono casi in cui tale valutazione è fatta direttamente dalla legge (così è, ad esempio, per il disconoscimento del figlio concepito da fecondazione eterologa); ve ne sono altri «in cui il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità, con divieti come quello della maternità surrogata. Ma l’interesse del minore non è per questo cancellato». Nel silenzio della legge, come nel caso in esame, la valutazione è dunque più complessa della sola alternativa vero/falso.

Le variabili

Tra le variabili di cui tener conto, scrive la Consulta, «oltre alla durata del rapporto con il minore e, quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione» e la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l’adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un’adeguata tutela. Secondo i giudici costituzionali, inoltre nella valutazione comparativa rimessa al giudice rientra anche la considerazione negativa che ha nel nostro ordinamento la surrogazione di maternità, che — affermano — «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».

La vicenda

La Corte rimanda così ai giudici di merito una lunga e difficile vicenda giudiziaria, iniziata nel 2012 quando una coppia di fatto eterosessuale milanese, ora assistita di fronte alla Corte Costituzionale dai legali Francesca Maria Zanasi e Massimo Clara, era andata in India per avere un figlio. La futura mamma italiana aveva avuto un tumore e si era dovuta sottoporre a una chemioterapia che le impediva sia di concepire figli che di portare avanti una gravidanza. La coppia aveva quindi cercato una madre surrogata che portasse avanti la gestazione (l’India ha successivamente vietato l’accesso a questa pratica agli stranieri) e il bambino era stato concepito con il seme del futuro padre e l’ovulo di una donatrice.

Il percorso

Tornati in Italia i due avevano poi chiesto la trascrizione dell’atto di nascita del piccolo che, secondo la prassi indiana, indicava la coppia italiana come genitori. Trascrizione immediatamente sospesa dall’Ufficio dello stato civile di Milano che ha segnalato alla Procura della Repubblica il sospetto che il bimbo fosse nato con la maternità surrogata. Circostanza ammessa dai genitori durante le indagini della Procura presso il Tribunale per i minorenni.

Il ricorso alla Consulta

A quel punto sono successe due cose: da una parte il pm ha chiesto di togliere il bambino alla coppia milanese e di darlo in adozione, dall’altra i genitori hanno di nuovo chiesto la trascrizione del certificato, ottenendola. Sei mesi dopo il Tribunale dei minorenni ha dichiarato il bimbo non adottabile perché intanto il test del Dna aveva confermato che l’uomo era il padre genetico del bambino. Il curatore nominato per il bimbo ha però chiesto di disconoscere la madre, che non ha legami biologici con lui. Nel 2014 il Tribunale di Milano ha accolto la richiesta del curatore e stabilito che il bimbo non è figlio della donna, che nel frattempo lo ha cresciuto, perché la legge italiana lega la maternità al parto. La donna ha allora fatto ricorso contro la decisione, e la Corte d’appello di Milano nel 2016 si è rivolta alla Corte costituzionale perché valutasse la costituzionalità del divieto assoluto di riconoscere i bambini nati con la surrogata, in particolare dell’art. 263 c.c. «nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del figlio minorenne possa essere accolta solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del minore stesso».

Questione non solo tecnica

La questione è tecnica ma incide sulla possibilità di perseguire legalmente i genitori che ricorrono alla gravidanza per altri all’estero, perché permette di non togliere loro la genitorialità dei bambini così nati, anche se non hanno legami genetici con loro, se questo viene giudicato nel loro interesse (una scelta fatta finora da numerosi tribunali). Ora la Consulta ha dunque stabilito che «non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore» (e quindi non è possibile togliere automaticamente i figli ai genitori che li hanno avuti con la surrogata), ma che neppure questi possano essere altrettanto automaticamente lasciati con loro, ma che per ogni caso il Tribunale dei minori della valutare, con «un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore».