Melucce bacate e papaveri d’Oriente
Le melucce bacate della seicentesca Fede Galizia si sono incontrate con i papaveri d’Oriente della pittrice americana contemporanea Georgia O’ Keeffe, ambedue gareggiando da protagoniste in un reading nella romana Galleria d’arte moderna diretta da Claudio Crescentini. Il testo da me scritto è stato interpretato da Simona Marchini con l’accompagnamento al violoncello del Maestro Simonpietro Cussino.
Nel dipinto “La scala che porta alla luna” (1958) Georgia O’ Keeffe lancia nel suo cielo azzurro una scala che si stacca dalla terra per condurci verso l’astro notturno. Non è una luna intera la sua. E’ una mezzaluna, ma la scala vola felice nella sua direzione. Sullo sfondo il paesaggio è quello del Nuovo Messico, lo Stato americano dove si era trasferita perché, secondo lei, possedeva più cielo che terra.
“Il blù del cielo sarà ancora là –Georgia ne era certa – anche quando l’uomo avrà finito di distruggere la terra”.
La pittura di Georgia è più emotiva che cerebrale, più romantica che classica con una certa propensione al misticismo e all’irrazionale.
Il suo è un cielo trionfante.
In una fotografia del 1966, la pittrice si lascia immortalare sul tetto della sua casa. Secondo Georgia il cosmo e la natura sono uniti indissolubilmente. Per gli indigeni del Nuovo Messico la scala aveva un ruolo importantissimo. Le case erano basse e il tetto era raggiungibile e dal tetto era più facile avvicinarsi alle forze cosmiche.
Georgia O’ Keeffe (1887-1986), ci confida:
“Tutti i colori della tavolozza che servono a dipingere un paesaggio sono presenti qui, in queste terre incolte. C’è un giallo chiaro simile a quello di Napoli che arriva fino all’ocra. E c’è l’arancio e c’è il rosso e c’è il violetto e ci sono dei verdi molto delicati e le colline, se le osservi bene, sono di sabbia rosa e rossa e mi attirano molto i teschi degli animali. Eccone lì uno, vede? E’ di un cervo. E sono innamorata della luce del deserto…
Le mie tele sono più vicine alla natura morta che alla descrizione di un paesaggio. Non trova?
Sì, qui, nel Nuovo Messico, sono felice perché sono immersa in un mondo luminoso, tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Un mondo dove gli orologi si sono fermati da parecchio tempo. Qui c’è più cielo che terra e soprattutto c’è un blù che resterà anche quando l’uomo, a poco a poco, la avrà distrutta.
Mi raccomando signora: non dica che sono romantica…
Beh, certo: classica non sono!
Sono mistica, anche se questo lo hanno già detto tutti”.
Ora facciamo un salto all’indietro e ci catapultiamo nel Seicento.
Ecco in primo piano sulla tela le melucce bacate di Fede Galizia che nulla tolgono quanto a splendore artistico a quelle che paiono lucidate di fresco. Anzi, il realismo delle sue melucce dove si è introdotto un baco ghiottone, amplifica il valore delle sue composizioni che risplendono impreziosite anche da una patina di polvere che si posa sottile sui suoi chicchi d’uva, sulle sue zucche e su un fiore di gelsomino messo lì come se fosse per caso, ma per caso non è!
L’immagine della canestra di frutta è densa di rimandi simbolici: il tema della vanitas e della caducità dei beni terreni rappresentata dalla meluccia bacata.
Tutto è lì chiaramente in posa per catturare il nostro sguardo e per felicitarci per la bravura di Fede Galizia.
Si può comporre una natura morta senza far troppo rumore: le cestine di mele sono già nelle cucine e nelle sale da pranzo disponibili ad essere ritratte mute e tranquille. Non come i gentiluomini e le gentildonne in visita che ciaccolano e si complimentano, ma nei loro sorrisetti compiacenti si insinua sempre il solito dubbio: “Ma l’avrà dipinto veramente lei o sarà stata aiutata dal padre pittore?”
Di Fede Galizia, malignavano che fosse una pittrice in erba e che ne doveva ancora passare molto di tempo prima di impratichirsi in tale genere e poi, naturalmente, secondo i dettami del mondo, la giovane aspirante artista doveva essere assai lieta e assai grata di tale intervento familiare.
Niente di tutto questo. Buttiamo a mare queste congetture e guardiamo l’opera e l’opera ci parlerà esclusivamente di lei e del suo indiscusso talento.