Memorie di una che c’era per un dibattito sull’oggi
Mi sarebbe piaciuto il 5 maggio essere alla Casa Internazionale delle Donne per la presentazione dell’ultimo libro di Marisa Rodano: ‘Memorie di una che c’era. Una storia dell’Udi’, edito dal Saggiatore. Avrei voluto discutere alcuni punti che mi sono sembrati di grande interesse per la loro attualità : identità, partecipazione, diritti, forme della democrazia… Ma, sono a Parigi. Volevo vedere la mostra{{[Elles le donne al Centro Pompidou->http://www.kila.it/elles-al-centre-pompidou-di-parigi-donne-e-artiste-protagoniste.html]}}. Volevo capire se esiste un filo rosso, tra queste artiste e quelle legate all'{{[Avanguardia Femminista degli anni Settanta->https://www.womenews.net/spip3/ecrire/?exec=articles&id_article=5875]}}, presentate alla Galleria d’Arte Moderna a Roma. Capire se nel mondo dell’arte come in quello della politica le donne siano riuscite nel Novecento con stili e forme diverse a dire chi erano e cosa volevano .
Dopo aver letto i saggi del catalogo della mostra di Roma ho preso in mano il libro di {{Marisa Rodano}}. Ripercorrere la storia di una organizzazione femminile e femminista dalla Resistenza ad oggi, per di più attraverso il racconto di una donna che conosco e stimo, mi è servito a capire anche quali stimoli politici, culturali, sociali avevano sollecitato la creatività di tante artiste.
Marisa sostiene, lungo tutto il racconto di quegli anni, che {{il nodo del dibattito all’interno delle associazioni femminili}} era tra la lotta per l’emancipazione e quella per l’ottenimento dei diritti, dal lavoro alla casa, dalla scuola alla sanità, fino a quelli legati alla partecipazione politica. Ma, per Marisa era {{l’emancipazione che segnava la differenza}}. Il nodo secondo lei non era sommare tante rivendicazioni concrete ma partire dall’essere donne, partire da sé come avrebbero teorizzato in seguito le femministe.
{{L’Udi}} però cresceva anche con le rivendicazioni su certe urgenze del vivere. Era così che molte donne trovavano la forza di uscire dall’isolamento per trovarsi a discutere, a manifestare, e per dare fiducia a quelle dirigenti che si erano fatte carico di individuare i bisogni più impellenti ai quali dare risposta.
La struttura dell’organizzazione era la stessa di quei partiti che praticavano il centralismo democratico. Cosa che permetteva un più facile rapporto con le istituzioni. Si apriva così {{un’altra contraddizione quella dell’autonomia politica e del rapporto con i movimenti}}, dapprima con quello sindacale per poi arrivare alla fine degli anni Sessanta al confronto con quello studentesco e alla partecipazione con quello femminista. Un confronto che portò la dirigenza dell’Udi nel 1982 a destrutturarsi. Per molti, abituati a vedere il già visto, scomparve.
Ma a dispetto di chi non vede oltre al proprio naso [l’Unione Donne in Italia->http://www.udinazionale.org] c’è ancora mentre quei partiti che sono usciti dalla Resistenza non esistono più. I movimenti, invece continuano a essere di volta in volta presenti nella loro altalenante effervescenza. La vitalità dell’Udi non la posso che attribuire alla {{creatività femminile capace di uscire da categorie tradizionali}} che hanno sempre cercato di imbozzolarla .
Il partire da sé è stata una grande scoperta e una intelligente invenzione politica, forse l’unica possibile, per capire chi si era, in relazione al mondo che ci circondava. Un atto coraggioso perché rendeva più fragile il nesso tra identità individuale e identità collettiva.
E qui vorrei tornare alle {{avanguardie femministe degli anni Settanta}} che nelle loro potenti benché fragili individualità sono state in grado però di fare scuola ai movimenti artistici che le hanno seguite. Sono convinta anche del fatto che {{le artiste dei primi decenni del Novecento}} hanno portato avanti un corpo a corpo tra una loro intima sensibilità di genere e un bisogno di essere riconosciute come artiste da sensibilità maschili che rappresentavano anche per loro un punto di riferimento. Scegliere l’emancipazione significava per quelle donne essere non più discepole ma maestre. Negli anni Settanta però si cominciò a contrapporre al concetto di emancipazione quello di liberazione.
Facendo riferimento alla mia esperienza relativa agli anni Settanta il termine {{emancipazione}} lo limitavo ad una accezione economica. Assimilavo il concetto di emancipazione con la lotta per i diritti. Eravamo troppo giovani per ricordare o conoscere il dibattito che aveva visto contrapporsi chi sosteneva una battaglia culturale per l’emancipazione e chi quella per i diritti a cui fa riferimento Marisa.
Con il termine {{liberazione}} volevamo slegare tutti i nodi che ci immobilizzavano in una società pensata da maschi per i maschi. Liberazione dava il senso del percorso da fare per recuperare un senso di sé così forte da scardinare ogni ruolo imposto, ogni condizionamento culturale, sociale, religioso e politico, magari assieme ad altre che avevano deciso di condividere questa esperienza.
Al concetto di liberazione si contrappose poi quello di {{libertà femminile.}} Termine che io percepivo come statico. Qualcosa che hai o non hai, insomma un po’ come il coraggio di Don Abbondio. Del resto la libertà non è altro che il coraggio di esserci con tutte le nostre potenzialità. Ma, {{mentre la liberazione è una pratica condivisa, la libertà è uno status individuale che non prende in considerazione il noi corale, ma una pluralità di relazioni duali}}.
Però, non è detto che emancipazione, liberazione e libertà siano termini che si elidono a vicenda. Vanno storicizzati e compresi nelle loro uso. Tutti e tre presuppongono {{una partecipazione, un agire politico}}. E, proprio sulle forme della partecipazione e della democrazia {{Marisa Rodano}} si interroga a conclusione del libro sottolineando che, in ogni caso, forti dell’autonomia personale conquistata, le donne riusciranno a divenire la forza motrice di un radicale cambiamento economico sociale e politico se riconosceranno la potenza della loro alterità e se saranno in grado di farla agire.
{{Marisa Rodano}}, {Memorie di una che c’era. La storia dell’Udi}, ed. Il Saggiatore, euro 19
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