MIGRANTI – da CATANIA ricomincia un vento gelido quello che ghiaccia ogni coscienza civile e propone il delitto di solidarietà – Ma c’è chi resiste: “Non avremmo mai permesso a nessuno di restituirli all’inferno”
Il reato ipotizzato è di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Un’accusa formalizzata il 18 marzo 2018, quando la nave dell’ong Proactiva Open Arms, ormeggiata nel porto di Pozzallo è stata posta sotto sequestro, dopo aver portato in salvo in Italia 218 persone.
Il caso relativo all’ong spagnola era scoppiato già venerdì per un soccorso conteso in acque internazionali tra la nave Open Arms e la guardia costiera libica. Secondo l’ong la motovedetta libica avrebbe minacciava di aprire il fuoco sui membri dell’equipaggio, rei di non voler consegnare a loro le donne e i bambini, soccorsi da un gommone. “Non avremmo mai permesso a nessuno di restituirli all’inferno”, ha detto il team leader della ong, Oscar Camps, una volta arrivato a destinazione. Ma questo non è bastato, il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro ha mosso per l’ong spagnola un’accusa pesantissima. “E’ ancora solo un’ipotesi di reato, ma siamo accusati di associazione criminale e di promuovere l’immigrazione illegale per aver disobbedito ai libici, non dando loro donne e bambini – ha sottolineato Camps -. Proteggere la vita umana in mare dovrebbe essere la priorità assoluta di qualsiasi corpo civile o militare, perché lo stabilisce il diritto del mare. Non si può impedire il salvataggio di vite in alto mare per restituirle ad un paese non sicuro, come è la Libia, contravvenendo allo statuto dei rifugiati dell’Onu. I loro diritti sono anche i nostri – aggiunge – La nostra massima priorità è e sarà sempre la tutela e la difesa dei diritti umani in mare”.
E’ la prima volta che un’accusa così grave viene mossa nel campo del soccorso in mare. Per Salvatore Fachile, avvocato dell’associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), “il fatto che la nave non abbia voluto consegnare le persone ai libici e che, dopo il soccorso, abbia deciso di sbarcare in Italia piuttosto che a Malta, non può giustificare in ogni caso l’accusa di associazione a delinquere per immigrazione clandestina. A parere di tutti i giuristi è una bestemmia – spiega a Redattore sociale -. Non c’è nessun collegamento rispetto alla fattispecie penale. Un conto è violare o meno un regolamento, un conto è l’accusa che viene mossa in queste ore. In ogni caso – sottolinea – bisognerà vedere cosa sia successo in zona Sar, quali siano state le direttive ricevute, però siamo in un campo completamente diverso”. Secondo l’avvocato Asgi, è più realistico pensare che “si stia alzando il tiro, forse nella speranza di un rinnovato clima incriminatorio verso le ong”. Il problema – aggiunge – è che “si muovono accuse ma poi i processi non si fanno. Nessun pm metterebbe mano a un processo di questo tipo perché sa che sarebbe una sconfitta pubblica. Quindi cosa si fa? Si aziona in via unilaterale l’azione penale, la risonanza pubblica ha un effetto incriminatorio forte, ma poi non si affronta la questione giuridica e giurisdizionale davanti a un tribunale, perché ovviamente se ne esce sconfitti, dal momento che l’accusa è infondata”. Prima di Proactiva Open Arms mesi fa è stata posta sotto sequestro la nave dell’ong tedesca Juggend Rettet: “si urlava all’urgenza assoluta di un processo, tale da portare i pubblici ministeri a parlare in pubblico, ma non mi sembra che sia stato chiesto il rinvio a giudizio: azione che consente di dire che le indagini sono state chiuse e ci sono sufficienti prove per la condanna”. L’effetto immediato – denuncia l’avvocato Asgi – è che “l’Europa nei fatti si sta ritirando dal salvataggio in mare, delegandolo alle guardie di una brigata criminale come quella libica. Questo ci reca fortissima preoccupazione anche perché non sappiamo quale sarà il nuovo assetto di governo e che cosa succederà in Libia, ma non è detto che non riprendano massicciamente i viaggi, che saranno dunque sempre più pericolosi dal momento che ci sono meno soggetti a operare il salvataggio”.
In una nota Asgi ribadisce di “attendere l’esito delle indagini che si augura siano doverosamente rapide al fine di evitare l’incessante alimentarsi della macchina del fango sui soccorsi”. Intanto, in attesa di conoscere nel dettaglio tutti gli elementi che hanno portato al sequestro della nave Open Arms, sul piano giuridico evidenzia che tanto le norme in materia di soccorso alle persone in mare quanto quelle relative al contrasto alla tratta di esseri umani impongono agli Stati il rispetto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale in materia di rifugiati, tra i quali il “principio di non respingimento”. Il salvataggio con rinvio in Libia dei migranti che, da detto Paese, stanno fuggendo viola le convenzioni internazionali sul soccorso in mare perché nessun porto libico può attualmente essere considerato “luogo sicuro” ai sensi della Convenzione per la ricerca e il soccorso in mare del 1979 (SAR). “Nessuna delle condizioni richieste dal diritto internazionale marittimo e dal diritto internazionale in materia di asilo può essere soddisfatta in Libia sia in ragione dello stato di guerra civile in cui versa il Paese, sia in ragione della radicale mancanza di qualsiasi possibilità di garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali ai cittadini dei Paesi terzi che si trovano in Libia e a coloro che vi vorrebbero chiedere protezione internazionale – spiega Asgi – Nessun rifugiato può ottenere protezione in Libia non sussistendo alcuna norma di diritto interno che lo preveda e tutti i rifugiati, comunque presenti sul territorio libico, sono oggetto di detenzione arbitraria nelle carceri, in condizioni disumane e in generale sono oggetto di violenze sistematiche”. Per l’associazione di giuristi, inoltre, anche in ragione della mancanza di adeguati requisiti per essere riconosciuta dall’International Maritime Organisation (Imo) si deve ritenere che un’area Sar libica non esista e che, dunque, non sussistendo la responsabilità di alcuno Stato sull’area del mar libico a sud di quella maltese e confinante con le acque territoriali della Libia, “la prima centrale Mrcc contattata ha la responsabilità giuridica di attivarsi per salvare le barche dei migranti e dei rifugiati in pericolo e per condurli in un porto sicuro”.
Per Fulvio Vassallo Paleologo, esperto di diritto internazionale, la vicenda ha riconfermato l’isolamento delle navi umanitarie “che ancora si ostinano a soccorrere vite umane in acque internazionali sulla rotta del Mediterraneo”. “Ancora una volta durante una operazione di soccorso in acque internazionali, ben lontano dalle acque territoriali, una motovedetta libica ha cercato di sequestrare persone che erano state già soccorse da un gommone di servizio alla nave umanitaria della Ong spagnola Open Arms, intimando la “restituzione” di donne e minori per ricondurli in un centro di detenzione a Tripoli – scrive sul sito Adif-Associazione diritti e frontiere -. Già lo scorso anno, pochi giorni dopo l’entrata in vigore del “Codice di condotta” imposto da Minniti, ad agosto, i libici avevano aperto il fuoco su un mezzo di soccorso di Open Arms. Adesso arriva anche una ricostruzione dei fatti, proveniente dalla sedicente Guardia costiera libica, e diffusa dal Giornale, che oltre a gettare il consueto fango sulle Ong, sollecitando forse qualche procura ad aprire ulteriori indagini, conferma ancora una volta, dopo diversi episodi precedenti, il grado di coordinamento e la corresponsabilità della Marina militare italiana con i libici, in realtà soltanto con quelle milizie a terra ed a mare che rispondono al governo Serraj”. Per Vassallo, di fatto, “gli italiani avvistano e, piuttosto di intervenire con le doverose attività di soccorso, chiamano i libici per operare quelli che sono veri e propri sequestri di persona in acque internazionali. Poi non interessa a nessuno la sorte delle persone riportate a terra nei centri di detenzione, anzi qualcuno tenta anche di accreditare la voce che sarebbero le Ong, quelle che lo scorso anno si definivano “taxi del mare” e non la Guardia costiera libica, supportata dalla marina italiana ( mai così in minuscolo), a mettere in pericolo la vita delle persone. Le prove fornite dai libici ed addotte dal Giornale contro le Ong sono un boomerang contro la marina italiana”.
Anche l’Arci parla di “situazione paradossale e di cinismo dilagante, che trova orecchie sensibili in quei magistrati pronti ad azioni di pura propaganda”. “Si vuole mettere sotto accusa ProActiva Open Arms per una decisione in linea con il diritto internazionale e il diritto alla vita, sapendo bene qual è la sorte riservata a chi viene rispedito nell’inferno di Tripoli – scrive Arci – Una situazione dalla quale si evince che quella procura considera legittima la violenza libica e illegittimo il salvataggio effettuato dalle ong che operano in mare. Ci troviamo di fronte all’ennesimo tentativo di introdurre il ‘delitto di solidarietà’ che risponde alla logica italiana ed europea di esternalizzazione del controllo delle frontiere e delle operazioni in mare ai vicini libici. Dopo aver usato i soldi dei contribuenti italiani ed europei per formarli e equipaggiarli, si cerca di liberare il campo da chi salva vite umane per lasciare in mano i migranti a chi li respinge per delega ricevuta dall’Italia e dall’UE, anche se in flagrante violazione della Convenzione di Ginevra”. Per Arci chiunque cerchi di “bloccare questa deriva delle politiche nostrane cercando di salvare vite umane viene ostacolato attraverso una sistematica criminalizzazione, come emerge chiaramente anche dalla strategia di Minniti nella trattativa per la firma del Codice di Condotta”. (ec)