MILANO – alla triennale 2018 Haegue Yang con opere che raccontano il vissuto personale e la memoria collettiva
La Triennale di Milano e Fondazione Furla presentano Haegue Yang: Tightrope Walking and Its Wordless Shadow , una mostra a cura di Bruna Roccasalva E’ la prima mostra personale di Haegue Yang in un’istituzione italiana. Tightrope Walking and Its Wordless Shadow raccoglie la vasta gamma di mezzi espressivi che contraddistinguono la sua pratica: dal collage al video, dalle sculture performative alle grandi installazioni. L’estrema varietà dei riferimenti e delle visioni prodotte, che si muovono su una sottile linea tra l’indagine sociale e la storia, tra il vissuto personale e la memoria collettiva, genera percorsi immaginifici di grande potenza evocativa in cui oggetti, persone e luoghi sono inestricabilmente interconnessi.
Tightrope Walking and Its Wordless Shadow si articola in tre ambienti che attraverso la combinazione di lavori iconici e nuove ambiziose produzioni – che rappresentano nodi cruciali nella produzione dell’artista dal 2000 a oggi – restituisce gli elementi ricorrenti nel suo lavoro: l’interesse per l’astrazione e la geometria; il movimento e la performatività; la relazione tra “piegare” e “dispiegare”, che l’artista esplora come pratiche interconnesse. Al centro c’è la sua ricerca dell’“inesprimibile”: l’urgenza di creare un linguaggio la cui potenzialità è come la camminata di un funambolo , in cui ogni movimento è molto più che dinamico, è carico di una tensione che evoca emozioni e percezioni.
Aprono il percorso due lavori esposti raramente in passato ma considerati seminali: Il primo è una barriera quasi invisibile costituita da fili di cotone rosso – tesi tra due pareti a intervalli di 10 cm e con l’impercettibile inclinazione di un grado – che isola un angolo della sala precludendone l’accesso. Il tracciato sembra proseguire sul muro – il secondo è una sequenza di linee rette disegnate a gesso rosso che si confondono con i fili, creando un effetto ottico di sottile movimento. Prendono di volta in volta il titolo dalla misura dello spazio occupato, sono tra le prime opere di natura installativa realizzate da Yang e contengono in nuce aspetti centrali di tutta la sua produzione successiva: dall’interesse per la geometria all’ impiego di materiali d’uso comune, fino all’attitudine ad articolare una spazialità ambivalente, concettuale e percettiva, accessibile e inaccessibile allo stesso tempo. All’interno della porzione di spazio delimitata da queste due installazioni, si intravvede un altro dei primi lavori dell’artista , Science of Communication #1 che testimonia il suo continuo e faticoso confronto con le problematiche del linguaggio all’interno dei processi di integrazione culturale e sociale. Il testo inizialmente scritto da Yang come flusso di riflessioni personali in una commistione indecifrabile di lingue è stato successivamente editato, tradotto in inglese e restituito in forma comprensibile da un traduttore professionista.
L’artista muove dalla propria vicenda biografica – si è trasferita nel 1999 in Germania dalla nativa Corea per completare gli studi universitari a Francoforte – e dalla difficoltà incontrata quotidianamente nel tradurre il proprio pensiero in una lingua straniera. La necessità della mediazione altrui per realizzare quest’opera esprime l’insicurezza e la vulnerabilità dell’artista, ampliando allo stesso tempo la riflessione al la più generale difficoltà, se non impossibilità, di comunicare se stessi attraverso il linguaggio. Questo sentimento di incomunicabilità echeggia anche in Mirror Series – Back (2006), uno specchio ovale appeso con la superficie riflettente rivolta verso la parete, come a dare le spalle allo spettatore e al mondo, con un gesto di negazione cosciente e di rifiuto attivo di un ruolo prestabilito e convenzionale . L’opera fa parte di un gruppo di sei lavori (Mirror Series, 2006 – 2007) in cui l’artista indaga diversi modi attraverso cui uno specchio può venire meno alla funzione di riflettere l’immagine di fronte a sé. Mirror Series esemplifica anche il peculiare approccio alla figurazione di Yang, che nei suoi lavori allude alla figura umana senza mai rappresentarla direttamente o, come in questo caso, evocandone l’assenza.
Dalle “barriere permeabili e trasparenti” di 134.9 m ³ si passa a Cittadella (2011), una monumentale installazione composta da 176 tende veneziane che occupa lo spazio centrale della mostra: un ambiente multisensoriale fatto di complesse strutture modulari, attraversate dai visitatori che si muovono al suo interno e da una coreografia ipnotica di luci, mentre diversi profumi si diffondono nello spazio alludendo a un “altrove”. Il titolo Cittadella rimanda a una fortificazione impenetrabile ma l’esclusività di questa architettura è parzialmente illusoria. Le pareti di tende attraversate dai fasci di luce si rivelano permeabili allo sguardo, e i passaggi che si aprono nella geometria esterna della struttura invitano lo spettatore ad addentrarsi e attraversarla.
Da questo suggestivo e immersivo percorso si passa a un altro ambiente, una sorta di sala da ballo sulle cui pareti si dispiega un intervento simile a un murales appartenente alla serie in continua evoluzione dei Trustworthies ( iniziata nel 2010 ). In questo importante ciclo di opere Yang combina diversi materiali grafici: buste con pattern stampati, la sua personalissima rielaborazione della carta millimetrata ( Grid Bloc s , iniziata nel 2000 ), vinili riflettenti, immagini di dispositivi tecnici e motivi naturalistici. La serie nasce con la casuale scoperta da parte dell’artista dell’affascinante varietà dei pattern della carta di sicurezza, la stampa usata per l’interno delle buste di documenti con la funzione di proteggere la natura confidenziale del loro contenuto. Mettendo in luce le possibilità estetiche di questi pattern, Yang li usa per creare dei collage: inizialmente paesaggi astratti composti da semplici linee orizzontali, che nel tempo assumono composizioni sempre più complesse – onde, rifrazioni, mulini a vento, composizioni a x, intrecci, caleidoscopi – e incorporano materiali eterogenei come carta da origami, carta vetrata, carta olografica, carta millimetrata, fino a uscire dai confini delle corni ci per occupare l’intera parete.
Negli interventi più recenti, come quello in mostra, i Trustwor thies sono diventati per l’artista uno strumento per creare complesse ambientazioni che ospitano lavori scultorei. Le figurazioni immaginifiche che si dispiegano l ungo le pareti della sala fanno da cornice alla “danza” di due sculture performative della serie Dress Vehicles (inziata nel 2011) prodotte per l’occasione. Ispirati a forme e concezioni diverse di danza, come le Danze Sacre dello spiritualista russo Georges I.
Gurdjieff e i costumi geometrici dei Triadic Ballet (1922) di Oskar Schlemmer, i Sonic Dress Vehicles presentati in mostra, sono pensati dall’artista per “vestire” il pubblico e, come “maschere”, dare a chi le indossa una diversa identità , rivelando allusioni a i travestimenti delle drag queen, al le danze tradizionali con le maschere e al teatro delle marionette. Per Yang la danza è qualcosa di più di un genere, è una forma complessa di espressione, in cui impulsi fisici, socio-politici, spirituali e ritualistici convergono. I suoi Dress Vehicles non consentono molta libertà di movimento: secondo l’artista infatti è nel semplice esercizio di spingere queste gigantesche strutture che si può sentire il “peso” della danza, avere la sensazione di essere “sovrastati” da questi splendidi costumi o, al contrario, “ emancipati ” dalla possibilità di muoverli nello spazio. Corpi ibridi in cui architettura, scultura e performance si fondono, i Sonic Dress Vehicles sono anche una sintesi perfetta della sfaccettata natura del lavoro di Yang che la mostra racconta. Dall’approccio minimalista che contraddistingue la prima sala all’esuberanza fastosa dell’ultimo ambiente, il percorso espositivo riflette gli estremi tra cui si muove la sperimentazione continua di Haegue Yang, in cui l’incontro casuale con un oggetto o un materiale può generare forme, emozioni e narrazioni inaspettate e dove la negazione di conoscenze acquisite coincide sempre con l’apertura di nuove prospettive.
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Durante l’inaugurazione si svolgerà nelle sale della mostra il concerto Encountering Isang Yun , dedicato all’opera del compositore coreano Isang Yun (1917 – 1995), in cui sarà presentata una selezione delle sue composizioni per oboe e violoncello: Ost – West – Miniatur I (1994); Piri (1971); Glis sées (1970); Ost – West – Miniatur II (1994). Yun è conosciuto in tutto il mondo non solo per l’innovativo percorso musicale ma anche per l e tormentat e vicende politiche che hanno segnato la sua vita durante il periodo della Guerra Fredda . Cresciuto durante l’occupazione giapponese della penisola coreana (1919 – 45), Yun aveva imparato a suonare il violoncello e aveva studiato musica in Corea e in Giappone , partecipando attivamente al movimento anti – giapponese. Dopo la guerra coreana (1950 – 53), Yun cominciò a comporre, e nel 1956 partì per l’Europa per studiare dodecafonia. Le sue composizioni, eseguite con strumenti occidentali ma ispirate a tecniche tradizionali coreane e ad antiche storie popolari, cominciarono a essere apprezzate a livello inter nazionale. Nel 1967, Yun fu rapito e portato a Seoul dove venne accusato di spionaggio, nel cosiddetto “Incidente di Berlino Est”. Yun e centinaia di altri intellettuali e artisti coreani furono imprigionati e torturati. Venne liberato solo nel 1969, grazi e alle pressioni internazionali di musicisti e intellettuali, ma non venne mai riabilitato dal punto di vista politico. Poco dopo, fu naturalizzato come cittadino tedesco e non tornò mai più in patria . Morì di polmonite a Berlino nel 1995. Yun simboleggia la divisione ideologica della penisola Coreana che sopravvive ancora oggi, e la sua polarizzazione tra destra e sinistra: Yun è il massimo artista nazionale, una figura tragica e celebre , ma al contempo è marchiato dall’estrema destra come grande traditore di sinistra. Elogiato e costretto al silenzio da entrambi i lati della Corea, gli eventi che hanno turbato la sua vita hanno pesantemente messo in ombra e isolato la sua eredità musicale.
In occasione della mostra sarà pubblicata l’antologia Hae gue Yang: Tightrope Walking and Its Wordless Shadow, curata da Bruna Roccasalva ed edita da Skira editore. Il volume, in edizione bilingue ( inglese /italiano ), raccoglie una selezione delle interviste e dei saggi più significativi sul lavoro dell’artista da l 2006 al 2018 ed è corredato da un ricco apparato iconografico con opere storiche e documentazione dei lavori in mostra.
Haegue Yang (1971, Seoul, Corea del Sud. Vive e lavora tra Berlino e Seoul) è una delle artiste più riconosciute della sua genera zione. Dopo gli studi nella nativa Corea (Seoul National University, 1994), Haegue Yang si trasferisce in Germania e consegue un master alla Städelschule di Francoforte (1999), dove attualmente insegna, mentre prosegue la sua attività espositiva internazionale. Ha esposto con mostre personali presso importanti musei tra cui: Walker Art Center, Minneapolis (2009); Aspen Art Museum, Aspen (2011); Haus der Kunst, Monaco di Baviera (2012); www.triennale.org www.fondazionefurla.org Bergen Ku nsthall (2013); Leeum , Samsung Museum of Art, Seoul (2015); Ullens Center for Contemporary Art, Beijing (2015); Centre Pompidou, Parigi (2016); Museum Ludwig di Colonia (2018) con la mostra retrospettiva ETA 1994 – 2018. Ha partecipato a importanti manifestazioni internazionali tra cui: Biennale di Gwangju (2010); dOCUMENTA 13, Kassel (2012); Biennale di Taipei (2014) ; Sharjah Biennale 12 (2015); Biennale di Sydney (2018) e Biennale di Liverpool (in corso fino al 28 ottobr e 2018) . Nel 2009 ha rappresentato la Corea alla 53.a Biennale di Venezia. Yang è la vincitrice dell’ultima edizione del prestigioso Wolfgang Hahn Prize .
Haegue Yang: Tightrope Walking and Its Wordless Shadow a cura di Bruna Roccasalva 7 settembre – 4 novembre 2018 Triennale di Milano conferenza stampa e press preview: giovedì 6 settembre , ore 11.30 inaugurazione : giovedì 6 settembre 2018 , ore 19.00 In occasione dell’inaugurazione, alle ore 19.30 Encountering Isang Yun concerto con musiche di Isang Yun con Fabio Bagnoli (oboe) e Francesco Dillon (violoncello) Triennale di Milano Viale Alemagna 6 20121 Milano T. +39 02 724341 www.triennale.org Fondazione Furla