“Mio figlio. L’amore che non ho fatto in tempo a dirgli”, intervista all’autore sul canale YouTube
Intervista sul canale YouTube dell’associazione a Marco Termenana (pseudonimo), scrive pagine sofferte ed empatiche sulla breve e tormentata vita di “Giuseppe”, suicida a 21 ventun anni. La ricerca identitaria, la transessualità, il rifiuto progressivo del mondo che porta a isolarsi in una stanza (“Hikikomori”, in Giappone una piaga specie tra adolescenti e un fenomeno vasto e sommerso anche da noi), l’autoprescrizione di farmaci accessibili in internet, la pesantezza e il dolore del vivere nel nascondimento, nel fraintendimento, l’amore deluso, sono tutte situazioni attraversate da Giuseppe/Noemi e risolte con l’autodistruzione nella notte tra il 24 e 25 marzo 2014, a Milano.
Del vuoto che ha lasciato pieno di dubbi e interrogativi, della sua giovane ma fin dall’inizio difficile vita, non omologata, non riconosciuta nella sua ricerca identitaria, e di quella del padre, del suo lavoro, dell’impegno nello ieri e nell’oggi, parlano pagine che srotolano e riavvolgono il nastro pieno di voci e di volti. La drammatica lettera lasciata ai genitori prima del salto dall’ottavo piano viene letta integralmente all’inizio dell’intervista, per volontà dell’Autore e riportata con asterischi e parentesi originali nel testo. Si legge: “Ho sempre odiato il mio lato maschile, mi sento più femmina da sempre e una situazione del genere è molto pesate da affrontare in questa cultura/società. Mi sono sentit* sempre più Noemi, non Giuseppe, ma non c’entrate voi. Continuate la vostra vita e pensate al fatto che starò bene” scrive nella lettera lasciata ai genitori in cui si dice sereno e felice di raggiungere l’amata nonna.” Noemi/Giuseppe svela anche due anni di vita sociale e affettiva con un ragazzo che “…mi ha aiutato a vivere meglio” ma che ha detto di essersi innamorato “…di un’altra ragazza (una normale, non come me) e che con me non potrebbe mai essere come con lei”. Il tradimento però è solo una concausa, confida Noemi/Giuseppe “l’ultima goccia” di una vita insoffribile “…in questa società/cultura”, tanto da esprimere il desiderio che sia avvertito dai suoi genitori del gesto estremo compiuto da “Noemi”, e si raccomanda che nel farlo sia sempre usato quel suo nome, “non l’altro nome o l’articolo maschile.” Per lo stesso motivo, è chiesto ai genitori il seppellimento non in abiti maschili e l’avere il nome di Noemi sulla tomba, come è stato: Giuseppe Noemi.
Una vicenda estremamente dolorosa su cui l’Autore, disperato, con inevitabili sensi di colpa, cerca di capire la ragione per cui la sua “famiglia felice” sia andata in frantumi, separazione dalla moglie e suicidio del suo Giuseppe (lo chiama sempre così). L’immenso dolore, madre, fratello e sorella l’hanno affrontato, ma nel silenzio “alzando un muro”, dice l’Autore, mentre lui, per il quale la scrittura è espressione primaria del sé, sollievo, riflessione, condivisione, “meccanismo compensativo”, si è messo a scrivere centinaia di pagine che gli hanno permesso di proseguire, sentendo a lui vicino, “ancora vivo, Giuseppe”, quel dialogo genitoriale/filiale già tanto difficile ma non interrotto dall’inaccettabile.
Nelle pagine, c’è anche la vita lavorativa dell’Autore, la sua ricerca continua di risposte. Le sue domande sorgono terribili quanto spontanee; la sua descrizione ondivaga delle persone e dei fatti (culminante in un finale immaginifico, da non svelare), rende tappa per tappa le attese, gli sconvolgimenti, le angosce dovute alla ricerca identitaria di Guseppe/Noemi, le tensioni provocate dall’Hikikomori, il dolore lacerante il tessuto familiare dopo il suicidio. Pagine forti ma non omissive, che interrogano la scuola, i supporti psicologici, la religione, l’esorcismo. Si testimonia che l’amore non basta, ci vuole aiuto qualificato e prima ancora conoscenza e riconoscimento di ciò che sta accadendo nell’adolescente. Riga dopo riga, l’Autore dichiara i limiti e descrive le conseguenze di errori, sottovalutazioni, ignoranza dell’Hikikomori, difficoltà del rapporto con Giuseppe/Noemi che si rivela ai genitori pochi anni prima di uccidersi. Tutti questi drammatici attraversamenti, di pressante attualità, hanno apportato a Marco Termenana molti riconoscimenti, dalla prima stesura (“Giuseppe”, Albatros, 2016, pseudonimo “El Grinta”), a quella odierna. Non in ultimo a Cologno Monzese (sindaco Stefano Zanelli), il libro è stato al centro delle celebrazioni per la “Giornata contro l’omofobia e la transfobia”. Non a caso, in retrocopertina, l’editore lo consiglia a “genitori, insegnanti, psicologi, educatori, giovani lettori delle scuole medie in su e, singolarità dell’opera, anche nonne vista l’intimità che Giuseppe aveva con quella materna.”
Info: Marco Termenana, Mio figlio. L’amore che non ho fatto in tempo a dirgli. – Castellana Grotte (BA): CSA, 2021.