NAPOLI – a SPAZIO KROMÌA- “PARADISO DOPPIOESPOSTO” dell’artista iraniano DI MAJID MODIR presentato da DIANA GIANQUITTO
L’inaugurazione della mostra è venerdì 23 marzoalle ore 19 in via Diodato Lioy 11 (piazza Monteoliveto). i lavori rimarranno esposti fino al 9 maggio 2018. In mostra, opere dalla recente produzione dell’autore che ha sperimentato la tecnica della sovrapposizione di fotografie diverse, così da ottenere immagini visionarie che, con libere assonanze e risonanze, spalancano nuove possibilità di significato su volti, luoghi e oggetti catturati.
“La mia prima esperienza fotografica fu apparentemente un fiasco quando scoprimmo che la camera instamatic regalatami per il compleanno era difettosa, il rullino non scorreva e così tutte le 12 foto che avevo scattato rimasero attaccate l’una all’altra!
Avevo 12 anni e già in quel periodo, nonostante il dissenso di tutti, trovai che quelle foto scadenti, strane e scure avessero senza dubbio qualcosa di interessante da offrire. Gli esperimenti che derivarono da quell’esperienza involontaria di sovrapposizione sono continuati fino ad oggi e ancora oggi sono affascinato dal segreto immanente che queste immagini nascondono, componendosi di vari strati di informazioni dando vita ad una composizione straordinariamente complessa. Negli anni la tecnologia legata alla sovrapposizione di immagini è stata sviluppata e quel senso di enigmatico persiste.”
“Il mio lungo percorso fotografico ha dato vita a due mostre dallo stesso titolo in cui sono state esposte opere diverse che fanno parte di questa collezione. Nessuna di queste immagini è stata manipolata o tagliata e incollata per essere poi ricomposta, ognuna altresì prende vita da due o tre fotografie sovrapposte con cura l’una all’altra. L’idea dietro queste immagini è la ricerca del Paradiso promesso, quella ‘bellezza’ che credo non sia necessariamente lontana da noi o addirittura in un’altra vita, ma semplicemente esiste qui e ora, fuori dalla nostra finestra o dietro l’angolo. Credo che abbiamo solo bisogno di rimanere in ascolto e respirare, chiudere i nostri occhi e dare forma a ‘strati di impressioni’ dentro di noi.”
La critica d’arte Diana Gianquitto così scrive di Maijd Modir
Luce e aria. Respirarle profondamente, per farle scendere dagli occhi nei polmoni. Questo, ciò che sente il corpo innanzi alle libere visioni doppie di Majid Modir.
Liberazione: dall’obbligo di dover assegnare necessariamente a un contesto situazionale quel complesso di segni da noi chiamato immagine, verso il concedere fiducia e valore alle proprie sensazioni allargate. Qualcosa che va oltre il senso del surreale di André Breton, come realtà superiore in cui conciliare veglia e sogno, e anche oltre il significato contemporaneo di augmented reality, dimensione virtuale che partecipa e del mondo naturale, dal quale scaturisce, e di quello digitale, nel quale avverare eventi ed esperienze oltre i limiti corporei umani.
L’arte di Modir è over-reality: una realtà al di sopra dell’altra, due immagini entrambe reali che però sono sovrapposte dando vita a una terza visione. In sintesi d’incanto e autonomia, accostando con libertà logica ambiti e contesti apparentemente lontani, ma che per qualche assonanza intima o formale rivelano un sotterranea malia e complicità rivelatrice.
Tuttavia, non si tratta solo dell’automatismo psichico bretoniano o dell’accostamento inconsueto di Lautréamont in un contesto estraneo a entrambi gli elementi – «bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio» – ampiamente ripreso da Max Ernst, né di deformazione espressionistica e irreale, tutte modalità surrealistiche di svincolamento dell’inconscio.
L’over-realtà di Modir è figlia della pelle prensile e tecnologica della fotografia, capace di registrare due volte il mondo in uno stesso spazio – la porzione di pellicola che per un involontario errore rimaneva esposta alla scrittura della luce nella prima camera instamatic dell’artista. In maquette e trasposizione artistica, quello spazio comune di pellicola, che spalancava enigmi, è divenuto oggi unico spazio di visione in cui esprimere con doppia immagine e duplice profondità il mondo, sulla pelle prensile stavolta delle proprie percezioni allargate. Non nell’onirico, o nel surreale, ma nella contemplazione. Una dimensione di registrazione percettiva espansa per cogliere meglio – paradossalmente proprio dalla proiezione di un’immagine apparentemente incongruente sull’altra – quella verità latente di un luogo, un viso o un oggetto che solo la liberazione emotiva ed empatica di associazioni e risonanze può svelare. A opera di un olos corpo-anima, liberatosi finalmente, come nelle parole dell’autore, nel «rimanere in ascolto e respirare, chiudere i nostri occhi e dare forma a ‘strati di impressioni’ dentro di noi». Una terza superiore visione da due immagini, dal terzo occhio dell’arte.