Napoli ritrovata tra due convegni, una cena e la visita al Madre
Non manca molto a Natale, quando Patrizia Melluso mi telefona invitandomi ad un seminario organizzato dall’Associazione Madrigale per Lucia. Si parlerà di associazioni, movimenti, politica e differenza sessuale. Lo si farà alla Mensa dei Bambini Proletari con Roberto Landolfi il marito di Lucia Mastrodomenico, con Maria Vittoria Montemurro, con Peppe Carini, con Luca Rossomando e Danilo Tuccillo. Accetto volentieri. Ho bisogno di tornare dopo tanti anni nella {{Napoli che fa politica, quella bella. }}
E, poi devo andare anche a vedere il Madre (Museo d’Arte contemporanea Donna REgina) dove verrà inaugurata anche una mostra di Melotti.
E, nel pomeriggio, di nuovo nella bella politica con le Comunità di base, con l’associazione Scuola di Pace e con Ernesto Mostardi, invitato nella Chiesa Evangelica a tenere una relazione sulle {{periferie}}. Luoghi vivi dove è necessario puntare i riflettori sulle persone. Uomini e donne che hanno l’urgenza di {{dare risposta ai mille bisogni}}. Ci si deve prendere il diritto di dare risposte creative, di dare senso ad un dovere civico che si fa sempre più impellente. Un giornale on line a Scampia o corsi di teatro possono fare la differenza. Così, Raffaele Bruno, attore, ha dato la parola a due differenti modi di parlare delle periferie. Ernesto Mostardi si è chiesto se ha ancora un senso parlare di {{centro}} e di {{periferia}}, e come deve essere intesa la qualità del vivere in spazi e tempi pensati e programmati da altri, mentre la relazione di Federica Palestino si è soffermata sulla quantità e la dislocazione di chi abita le diverse periferie spesso progettate a tavolino. Progetti sollecitati più dai bisogni del mercato che da quelli delle persone. Ho allora ricordato Prevert quando scriveva che gli intellettuali mentono monumentalmente {{giocando a palla con il proprio cervello.}} Alimentando una creatività cervellotica.
Mentre parlavano dei servizi nelle periferie, pensavo alla mattina passata a discutere nell’asilo (mensa dei bambini proletari) al numero 13 di Vico Cappucinelle a Tarsia. Un luogo magico in quella Napoli antica che si arrampica sulla collina dove, dal secondo piano, si può uscire in un giardino d’aranci limitato da muri che grattano il cielo. Dove si può passeggiare tra altalene e giostrine per bimbi. Napoli riserva queste sorprese scardinanti. Come sorprendenti sono state le riflessioni di Luca e Danilo sul loro rapporto con le donne che frequentano nel loro mondo. Se c’é un rapporto conflittuale, questo non rimanda al genere. Si vivono come persone, e come tali si confrontano o scontrano su obbiettivi da perseguire. Hanno però una consapevolezza profonda che {{il conflitto deve essere sempre gestito.}} Unico modo per far emergere quella forza vitale necessaria ad andare avanti. Dichiarano, tra l’altro, che non hanno mai pensato alla possibilità che la radice di alcuni conflitti radichi nella differenza sessuale. Ma, si dicono disposti a pensarci.
Emerge, intanto, da vari interventi {{la lettura di comportamenti diversi nelle giovani generazioni.}} Alcuni/e – viene detto – manifestano nelle relazioni comportamenti che fanno trasparire inconsci apprendimenti di una cultura di genere; altri, invece, è come se questa l’avessero bypassata. Viene fatto notare che la differenza di sesso non può essere considerata una delle tante differenze. E’ la matrice. E se non si ha questa consapevolezza non si riesce a riconoscere l’indicibile fortuna di {{nascere donna}} come titola l’ultimo libro di{{ Luisa Muraro}}. Una fortuna che, nel riconoscerla, contagia, stimolando comportamenti positivi per sé e per gli altri/e. Si è discusso anche di come i conflitti, le relazioni e la differenza sessuale incidono su un certo tipo di politica e come su questa sia determinante ciò che pensiamo del potere. Quanto e come utilizziamo il ruolo, che ci viene riconosciuto, per garantire lo status quo, o quanto e come ci avvaliamo dell’autorevolezza per modificare l’esistente?
Il 17 dicembre anche a Napoli è arrivato l’inverno. Sole e pioggia si alternano in un gioco di luci ed ombre. Per me è stato un sabato pieno di colore. Per alcuni anni, da quando Mariuccia ci ha lasciato per sempre, avevo visto calare su Napoli, l’ombra minacciosa del Vesuvio. Ho sempre avuto bisogno di tempi lunghi per elaborare il lutto. Dopo Mariuccia se ne arano andate anche Angela, Lucia, Pina e, prima di tutte, Lina… In questo cono grigio {{ il rumore della malapolitica }} aveva coperto ogni cosa. Gli incontri di Napoli, quelli che mi avevano fatto conoscere il gruppo delle filosofe, ma anche di quelle donne che si erano impegnate per il riequilibrio della rappresentanza… un ricordo lontano e soffocato. La telefonata di Patrizia ha rimesso allegria e colore in quell’angolo della memoria che avevo volutamente velato per soffrire di meno.
In serata la cena da Anna Russo. Dalle finestre una Napoli illuminata a 360 gradi. A tavola, tra un boccone e l’altro, la Napoli della nuova amministrazione tra arroganza e professionalità come quella di {{Anna Donati }} che ha cercato, riuscendoci, di risolvere il problema del traffico. {{Una città che sta ancora col fiato sospeso sul problema immondizie}}, e che continua a soffrire per il problema endemico della camorra. Intorno a quella tavola allora si sono fatti dei distinguo tra bimbi che giocano al pallone per strada perché non hanno altri luoghi dove andare, e bimbi mandati da adulti a sfondare le vetrine o a colpire con sfrontatezza le persone con il pallone, per poi ottenere il pizzo.
La più convinta nell’affermare che bisogna trovare qualcosa per bloccare questa piccola ma pericolosa scuola del crimine è stata {{Fatima Curzio}} sinologa e autrice del libro {Sentieri di guerra –storie e inganni di un’antica tragedia}. Un libro che non tarderò a recensire.
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