Napoli si trasforma in palcoscenico e si racconta
Piazze, strade, vicoli e teatri più o meno noti sono la scenografia della prima edizione, dal 6 al 29 giugno, del Napoli Teatro Festival Italia, rassegna internazionale assegnata alla città dal Ministero per i Beni Culturali.Su il sipario per riscoprire una Napoli che ultimamente fa parlare di sé per ben altre vicende e che ha invece molto altro da raccontare a se stessa e al mondo. Le incredibili bellezze artistiche e storiche delle location in cui si svolgono e vivono le più disparate rappresentazioni artistiche fanno da cornice agli eventi che, tra sogno e realtà, saltimbanchi e cantastorie, spettacoli sensoriali, attori e registi provenienti da tutte le parti del mondo, hanno richiamato l’attenzione di un numerosissimo pubblico. Linguaggi diversi si parlano, confrontano e stimolano a vicenda attraverso uno dei più grandi e potenti mezzi di comunicazione, l’arte: 200 le messe in scena di cui 38 debutti, 15 Paesi coinvolti per un totale di duemila artisti.
Una sfida, dunque, per una kermesse che tra i suoi obiettivi primari ha quello di rafforzare le connessioni tra la città di Napoli e le grandi correnti culturali internazionali, nonché una importante occasione per rilanciare la città.
_ Da segnalare, in particolare, la creazione originale{{ { Cosa deve fare Napoli per rimanere in equilibrio sopra un uovo} }} che il Festival ha commissionato a Enrique Vargas e al Teatro de los Sentidos. Un viaggio sensoriale che parte dal mito dell’Africa mediterranea di Ananke, la grande tessitrice di fili che rappresentano passioni, vite, allegrie, popoli e città.
_ E la città è proprio il fulcro di questa esperienza che si muove e vive, sempre diversa, all’interno del Lazzaretto, nell’ex ospedale della Pace, che per l’occasione si apre al pubblico raccogliendo un enorme successo. E se ogni filo di Ananke conduce a destini diversi, anche il percorso sensoriale è un’esperienza intima, soggettiva e individuale, dove ognuno è portato dagli attori, dai luoghi, dalla scenografia, dai suoni, dagli odori, e soprattutto dalla propria sensibilità, in un viaggio dentro se stesso, per scoprire da solo cosa vivere, vedere e sentire in questo percorso emotivo. Un gioco che va ben oltre il gioco e che permette di riscoprirci chiudendo gli occhi.
Donna, uomo e arte si intrecciano abilmente e creativamente nello spettacolo “{{ {England} }}” di Tim Crouch, uno dei drammaturghi più interessanti dell’ultima stagione del teatro inglese. Lo spettacolo si svolge ogni volta in una galleria d’arte diversa dove lo spazio contribuisce all’opera e viceversa. Alla base della narrazione il monologo di una donna che si sottopone a un trapianto di cuore a “discapito” di un donatore “forzato” di cultura islamica. Grande spazio all’immaginazione e al dramma delle cose non dette. La tragedia più grande per la figura femminile non è il trapianto ma l’incomprensione tra lei e il suo uomo il quale considera un’opera d’arte una mera quotazione sul mercato. Gli interrogativi sulla vita sono intessuti di domande sull’arte e sul teatro in uno spazio in cui è forte il legame fra attore e spettatore, come ad indicare più in generale le relazioni umane. Tra realtà e finzione uno scambio e uno scontro continuo fra due mondi: il trapianto di organi è in realtà il trapianto di una cultura in un’altra.
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Anna Bonaiuto, Maria Nazionale, Virginia Da Brescia}}, insieme a Vincenzo Perrotta, parlano invece di emigrazione e lo fanno in una incredibile scenografia allestita alla Darsena Acton {{fino al 29 giugno}}.
Nello spettacolo di Roberto Andò {{ {Proprio come se nulla fosse avvenuto} }} – basato su scritti di A{{nna Maria Ortese}} (da cui deriva il titolo), Raffaele Viviani e Diego De Silva – donne e uomini sono in fuga in un viaggio di sola andata, spaesati dal dramma di non “possedere” più un luogo.
Lo spazio teatrale è un luogo quasi spettrale, incantato e fermo nel tempo, dove le voci degli attori si incontrano in un percorso fatto anche di citazioni e di rimandi letterari e visivi. Ogni scena è incorniciata in vasche di acqua cristallizzate nel tempo in cui vivono le storie dei vivi e dei morti. Un sindaco appoggiato alla sua scrivania, una suora vestita di bianco, un salotto della nobiltà, un letto dove giacciono amanti con, adagiata sulle lenzuola, una pistola. Ogni scena è collegata all’altra ma senza interazione.
Si percepisce a pelle quella solitudine e il dramma che come un pesante velo copre ogni scenografia. Le piazze, le stanze, i vicoli e le strade della scena teatrale si illuminano e si adombrano e i suoni, le musiche e le voci contribuiscono a creare quell’idea di spazio che va ben oltre l’allestimento scenico.
_ Il pubblico, infatti, è immerso e circondato dalla rappresentazione percependo uno spazio dilatato che da ancora di più il senso della lontananza e del distacco.
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