La fondatrice del Teatro dell’Orsa Monica Morini riflette sull’evento internazionale La Notte dei Racconti. Aspettando Reggionarra – la città delle storie.

Puoi spiegarci, in sintesi, che cos’è La Notte dei Racconti?

Dietro La Notte dei Racconti c’è un’utopia: ritrovarsi dentro le storie. Lo spazio intimo della casa si apre agli amici, ai vicini di casa, ma anche i luoghi pubblici sono invitati a farsi casa di storie: le scuole, le biblioteche, le librerie.  La Notte dei Racconti invita a spegnere cellulari, televisori e computer per accendere il tempo del racconto, occhi negli occhi. Un rito antico e rivoluzionario.

 

Nel 2018 questo progetto ha avuto una diffusione stupefacente, sia a livello nazionale che internazionale. Quali soggetti hanno contribuito al successo dell’edizione 2018? E come?

Reggio Emilia è riconosciuta anche all’estero per la qualità del sistema educativo, le scuole comunali dell’infanzia per prime hanno promosso questa iniziativa. Ogni anno dedicano risorse alla formazione di genitori sull’arte del narrare: sono esperienze che conduciamo da più di dieci anni, coltivando una sensibilità diffusa che per centri concentrici contagia meccanismi virtuosi sui libri, la lettura e il racconto. Occasioni di condivisione vissute nelle case, nelle scuole e nelle piazze durante l’evento Reggionarra – la città delle storie. Alcune delegazioni di educatori da tutto il mondo sono venute in visita a Reggio per confrontarsi con il “Reggio approach”: colpite dalla Notte dei Racconti l’hanno riproposta nei rispettivi Paesi d’origine. Inoltre nell’ambito di Reggionarra – la città delle storie, evento di narrazione che culmina a maggio, si tiene un Bando internazionale rivolto a giovani narratori, condotto dal Teatro dell’Orsa, nel quale io mi occupo della formazione sulla narrazione, Antonella Talamonti -musicista e compositrice- pone l’accento sulla vocalità della parola mentre Bernardino Bonzani -regista- crea l’evento performativo finale. In cinque anni il Bando ha formato decine di giovani che collaborano a un progetto culturale che diffonde le storie in tutta Italia e oltre confine: da Napoli a Venezia, da Genova a Macomer, dall’Uruguay al Portogallo.

Pensando ai temi cari alla rivista che ospita questa conversazione, è possibile identificare uno “specifico femminile” che caratterizza La Notte dei Racconti?

Penso al fiume invisibile delle voci che hanno tramandato storie. Sono voci di donne, Clarissa Pinkola Estes l’autrice di Donne che corrono con i lupi, le nomina in una visione onirica dicendo: «Abbassai lo sguardo e scoprii di trovarmi sulle spalle di una vecchia che mi teneva forte le caviglie e mi sorrideva. Le dissi: “No, no, vieni tu sulle mie spalle, perché tu sei vecchia e io sono giovane”. “No, no”, insistette, “così dev’essere”. Vidi che lei stava sule spalle di una donna più vecchia, che stava sulle spalle di una donna ancora più vecchia, che stava sulle spalle di una donna con il mantello, che stava sulle spalle di un’altra anima, che stava sulle spalle… Credetti alla vecchia del sogno che così doveva essere». Ogni volta che narriamo siamo sostenuti da antenate potenti, custodi di parole e di segreti balsami per le cicatrici che portiamo.  Per questo le storie mi hanno portato a un lavoro di ricerca oggi sulle Antenate, con un gruppo di giovani italiane insieme a rifugiate e donne di seconda generazione. Ne sta uscendo un affresco potente, fatto di ponti tra noi e l’altrove, che rivela la forza di un femminile capace di risorgere e riconoscere ciò che nell’inferno inferno non è.

Puoi indicare un elemento comune, nella ricezione che bambini e adulti hanno di questo tipo di esperienza? E una differenza sostanziale?

Tutti abbiamo bisogno di un tetto di storie. Raccontare ci aiuta a riordinare il disordine della vita. Chi sa narrare sa ben ascoltare. Il tempo delle storie è dono potente che libera endorfine in ogni essere umano, un bambino che ascolta una storia sente di essere accudito e amato, per questo le storie non guariscono ma curano. Curano l’insensatezza della vita. Tutti abbiamo bisogno di tempo, le storie allungano la vita, ci allenano ai suoi molti destini. Non c’è niente di più intimo e antico di due esseri umani che si raccolgono per raccontarsi. La Notte dei Racconti riaccende un rito che dovrebbe essere quotidiano. Dovremmo ricucire il tempo per ritrovarci occhi negli occhi, per ascoltarci, per affondare dentro il patrimonio di memoria e immaginazione che abbiamo e contagiarci di bellezza, silenzi, incanto. Il racconto è fatto di corpo che respira, si arresta, oscilla, di parole che si versano negli occhi di chi ascolta, il racconto si fa in cerchio insieme, impastando un sentire che si fila incandescente nel qui e ora. Tutto questo disobbedisce alla muta solitudine dei cellulari, alla rete virtuale che ci annoda su noi stessi. Gli adulti non hanno meno bisogno dei bambini di storie e di notti come questa, a differenza dei bambini devono però riattivare «l’orecchio acerbo», come diceva Rodari, per udire le parole come nuove, e rischiare di credere all’invisibile.

Come proseguirà la rivoluzione gentile che ha preso avvio il 23 febbraio scorso?

L’arco teso dalla Notte dei Racconti lancia frecce verso la primavera. Dal 18 al 20 maggio la città di Reggio Emilia diventerà la città delle storie e degli incontri con Reggionarra: piazze, parchi, scuole e biblioteche si riempiranno di narratori di tutte le età, di musicisti, di artisti da tutt’Italia e oltre confine. Con noi ci sarà un circo fiabesco, quello di Nicole e Martin, un grande custode delle narrazione come Marco Baliani, il poeta Bruno Tognolini e poi laboratori, incontri con autori e illustratori, un folle Rodaribus a spasso per la città occupato da genitori narranti, pic-nic di fiabe per cuori di ogni taglia. «Le storie» diceva Rodari «servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma, all’uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché, in apparenza, non servono a niente: come la poesia, la musica, il teatro». In un tempo confuso che chiama a innalzare muri e barriere, le storie spalancheranno luoghi e lingue per dare dignità a ogni incontro, per intrecciare il filo di voce e vite che ogni essere umano porta con sé. Non smetteremo di raccontare, tracciando vie che toccano il rito, fuori e dentro le case, svelando la bellezza dei paesaggi che ci circondano, i miti che ci hanno formati, il nostro intatto legame con l’infanzia.