Negli ultimi 10 giorni più di 10.000 persone tratte in salvo, mentre le acque del Mediterraneo ne hanno inghiottite oltre 1000
Sono 1511 i migranti tratti in salvo nella sola giornata di ieri – che si aggiungono agli 8.480 salvati nei giorni scorsi per un totale di quasi diecimila persone soccorse. A queste persone vanno aggiunte quelle (più di 1000) che negli ultimi 10 giorni sono state inghiottite dal Mediterraneo. Mentre sto scrivendo altri 600 sono attesi a Porto Torres
DiegoFusaro (blog- il fatto quotidiano) ha scritto: “La retorica dell’immigrazione, l’elogio a priori dell’immigrazione ecco un altro punto in cui emerge l’oscena complicità di sinistra e capitale. Non si tratta qui del problema dell’accoglienza dei singoli migranti, che è opera in sé umana e giusta. Si tratta, invece, del macro fenomeno dell’immigrazione che è promossa strutturalmente dal capitale e difesa sovrastrutturalmente dalle sinistre. Il capitale ha bisogno dell’immigrazione per distruggere i diritti sociali e la residua forza organizzativa dei lavoratori. Il capitale mira a renderci tutti come migranti, senza diritti, senza lingua, senza coscienza oppositiva. L’immigrazione è uno strumento della lotta di classe, è lo strumento con cui il capitale uccide diritti sociali e abbassa il costo del lavoro. Chi critica il capitale senza criticare il fenomeno dell’immigrazione è un fesso; proprio come chi critica il fenomeno dell’immigrazione senza criticare il capitale”.
Mi trovo in totale disaccordo con Fusaro sull’uso generico del termine sinistra che utilizza quasi come sinonimo di politica. Così facendo, con una impropria torsione, avvalla quel comportamento culturale proprio dell’antipolitica mediatica che tanto ha danneggiato la partecipazione e l’impegno civile di uomini e donne. Mi trovo invece in accordo sulle dinamiche di potere che hanno creato il fenomeno migratorio ai fini dell’accumulazione delle ricchezze.
Chi ha come obbiettivo l’accumulazione di valori economici e finanziari quale sistema migliore per operare se non quello di sobillare e incentivare il disordine, il dispotismo, la guerra civile, armare i capibanda locali, manipolare l’informazione, corrompere i politici…, insomma praticare tutto ciò che genera caos e repressione e quindi fuga di chi vuole sottrarsi a tutto questo.
Come costruire delle linee di controtendenza? Come lavorare sulle cause per risolvere questo problema?
Per noi che facciamo informazione forse bisogna lavorare per modificare atteggiamenti culturali retrivi dettati da paure primitive. Lavorare per una rinascita dei comportamenti civili che ridimensionino certe chiusure mentali. Queste però sono alimentate dalla paura di perdere bisogni primari e identità di appartenenza. E qui subentra la necessità di interventi sociali propri della politica. La paura del diverso, in tempo di crisi economica, emerge nella popolazione più soggetta alla perdita di ciò che faticosamente ha conquistato. Spesso a vincere è la parte più irrazionale. Invece di prendersela con chi ha creato la crisi e con il dolore che essa procura, se la prende con altri disperati, in una lotta tra poveri per la difesa della sopravvivenza. E, anche qui la cultura e la politica devono fare la loro parte.
Per affrontare il problema forse è bene operare in più direzioni. Una è quella di dare risposte là dove iniziano. I poteri politico-economici mossi da obbiettivi umanitari possono trovare soluzioni in tempi medio lunghi. Necessita quindi l’azione di governi illuminati.
Però l’urgenza è data dall’arrivo quotidiano di migliaia di persone. A lavorare sull’immediato devono essere sia i governi che l’associazionismo. E’ la capacità di radicamento sul territorio di queste realtà locali che diventa indispensabili anche alle azioni di governo.
Così operando sono stati creati corridoi umanitari che però hanno risolto il problema per un numero molto limitato di persone. Ma quando queste sono decine di migliaia che fare?
Si possono fare delle proposte come quelle uscite dalla redazione di Report, interessanti perché cercano di vedere in positivo la risoluzione del problema cercando dei benefici per tutti. Proposte però che delegano al potere politico la loro capacità di essere attuate e quindi allontanano le responsabilità sia individuali che collettive di un impegno civile attivo.
Per uscirne da questa situazione – dice Gabanelli – perché non pensare a un grande progetto istituzionale, pubblico, su cui chiedere finanziamenti all’Europa? Un progetto serio per sistemare grandi contenitori pubblici (iniziando da caserme o vecchie colonie oggi dismesse) ospitando lì gli immigrati, velocizzando le pratiche, offrendo a queste persone occasioni di studio e di professionalizzazione così che, quando potranno uscire dall’Italia, abbiamo già avuto forme adeguate di informazione e di formazione.
Occorrerebbero- continua la gabanelli – 400 grandi “contenitori” che oltretutto, così, tornerebbero a vivere. Rispetto alla mia montagna, a me è subito venuto in mente la ex colonia dei Ferrovieri in quel di Gavinana: ancora di proprietà FS (Ferrovie dello Stato) e dunque pubblico, quello è uno spazio enorme che, risanato, potrebbe ospitare non solo immigrati ma anche personale di servizio al progetto, retribuito dallo Stato anche su fondi UE.
Secondo la Gabanelli dare ospitalità significa costruire centri alimentando così anche una offerta di lavoro. Un progetto pragmatico completamente a gestione pubblica con supervisione europea”, che si basa sulla trasformazione del “dramma” e dei problemi del fenomeno migratorio in opportunità.
Poi c’è chi propone di dare un reddito di sopravvivenza che garantisca una vita migliore oltre a sostenere con il micro credito lo sviluppo lavorativo per creare attività individuali e collettive e per un percorso socio-economico-produttivo. In questo caso però bisogna distinguere chi scappa dalla guerra da chi scappa dalla fame e dalla povertà. Per i primi il reddito non serve ma servirà l’accoglienza, per i secondi invece il micro-credito potrebbe essere un incentivo per migliorare le proprie condizioni di vita e non cadere sotto il ricatto della criminalità.
Però, quello che avviene da decenni è che nei barconi pieni di persone non si distingue tra le due tragedie. Tutti/tutte scappano da qualcosa e non è facile distinguere per trovare le soluzioni. Le leggi italiane tutelano chi scappa dalla guerra, mentre chi scappa dalla fame è considerato un clandestino e quindi non ha gli stessi diritti e rischia l’espulsione e di dover ritornare all’inferno dove è partito. Tutto questo lavoro di verifica sta ingorgando gli uffici preposti in inutili pratiche burocratiche con inutili sprechi economici. Necessita per tanto anche una riforma legislativa che riveda tutto il problema.