Non chiamatele kamikaze
Durante la lunga diretta Tgnews24 per la manifestazione di Parigi, la conduttrice Monica Maggioni dà la notizia che in Nigeria sono due le ragazzine imbottite di esplosivo che hanno determinato quello che i media definiscono “attacco kamikaze”. Giustamente Monica Maggioni sottolinea che lei non può definire “kamikaze” sue soggetti che hanno 10 o 15 anni. Non può valere per loro la scelta del martirio in nome di Allah. E’ solo brutale sfruttamento di due soggetti a cui chi sa cosa è stato fatto credere che avrebbero dovuto fare.
Per loro nessuna/o dirà “io sono le due ragazzine…”! Eppure qui c’è di mezzo un attacco alla libertà di vivere innanzitutto. Capisco allora l’attimo iniziale di smarrimento che ho avuto nel dire “io sono Charlie”. L’ho poi condiviso perché razionalmente mi sento figlia fino in fondo della Marianna francese, o meglio ancora di Olympe de Gouges. E’ quella cultura che mi è stata trasmessa familiarmente e che poi, attraverso Simone de Beauvoir, ha costituito il mio processo di emancipazione/liberazione di donna (ma sono libera veramente?).
Il “Je suis Charlie” però non mi basta più perché rischia di diventare retorica: altri hanno già detto che i giornalisti di Charlie Hebdo morti avrebbero fatto chi sa quali vignette sulla manifestazione in loro nome.
In realtà nella grande manifestazione di Parigi, che mi ha peraltro emozionato molto, molti sono gli elementi di ambiguità che dovranno essere sciolti, o perlomeno i dubbi. Quante volte non abbiamo partecipato come europee a cosa avveniva in altre parti del mondo? Quanto pesa la paura di veder a tutto tondo lo sgretolamento del mondo che ci siamo fatte a nostra immagine e somiglianza?
Cominciamo con il non chiamarle “kamikaze”!
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