Non avevo portato a termine nulla di importante dentro me stessa, ma mi ero arricchita di esperienze ed avevo capito qualcosa. A volte la coscienza mi lasciava in pace senza rimproverarmi per tutto ciò che non avevo fatto o che non sapevo. Provavo piacere della mia recente capacità di prendere decisioni da sola, anche quando erano sbagliate, di godere del mio lavoro, dell’andare in collera, del piangere o del ridere, di vivere insomma. Provavo gioia nel permettere a me stessa di essere io, positiva o negativa (…) Ero più ricca dentro, (…) in migliori rapporti con me stessa (…) e la realtà può essere magnifica anche quando la vita non lo è.

Sembrerebbero queste parole della Monroe capaci di testimoniare un suo proporsi “compiuta dentro una normalità”, anche se non incarnano l’immagine della vera Norma Jean Baker poi in arte Marilyn Monroe.

Diventata molto famosa come attrice la Monroe era una donna che in apparenza pareva saper usare la propria bellezza come un passe-partout in grado di aprirle tutte le porte ma che in realtà restava comunque imprigionata dentro la stanza della propria anima.

Lo testimonia Fragments, una raccolta di poesie, lettere e riflessioni dell’attrice americana, una sorta di diario intimista nel quale l’autrice costruisce immagini che cercano libertà, usando un lessico misterioso, ma semplice. Le parole hanno la valenza di tessere musive, cercano significati ulteriori, guidate da una prosodia emotiva pungente e scarna al tempo stesso.

Come sono belli / quegli uccelli che volano / Perché li uccidono?

Un uccello non ha scampo / quando vola / E’ crudele uccidere chi / non ha scampo.

Fragments si mostra nella disomogenea essenza dell’attimo, senza essere imbrigliato dentro una coerenza narrativa strutturata: l’autrice pare chiedere quale volto abbiano i propri fantasmi e quale sia la causa del tormento inquieto che attraversa la sua vita. Quando il dolore assume maggiore sonorità, Marilyn sembra avere un contatto pieno con l’interiorità infelicissima che vedrà nella morte l’unica via di scampo.

E’ una raccolta di poesie, appunti : nasce quasi per caso, postuma, per volontà della figlia di Lee Strasberg che, con amorevole cura, raccolse le carte di Marilyn che testimoniavano verità fino a quel momento sconosciute sulla vita di un’attrice così famosa.

La Monroe si era comprata un piccolo diario, con un lucchetto ed una minuscola chiave: non se ne separava facilmente e prendeva anche appunti su conversazioni o articoli che la riguardavano.

Non erano inusuali le sue riflessioni, talvolta rese anche alla stampa, più spesso confidate a pochi e veri amici: si coglieva una sorta di contrasto, peraltro ben mimetizzato, fra colei che non voleva più essere e la donna che ancora ambiva convincere attraverso la propria seduttività. Infastidita per i ruoli sexy che facilmente le venivano assegnati, anche quando conseguiva performances impeccabili l’attrice si sentiva in qualche modo immeritevole di lode, spesso imprigionata in un sentimento di inadeguatezza incollato come seconda pelle.

L’instabilità che la caratterizzava dal profondo spingeva Marilyn ad amministrarsi in modo sregolato: l’irrequietudine, un misto di irrequietezza e profondo senso di solitudine, animava la sua giornata, pungolandola a scegliere un diverso passo anche quando risultava vincente. Nelle situazioni rappresentate da mancanze e perdite, lutti e limiti, l’attrice sapeva intuire verità che la coinvolgevano profondamente. L’esistenza travagliata della Monroe era ben nota, note erano le sue difficoltà psicologiche, frutto del tormento legato a relazioni genitoriali totalmente carenti o quanto meno molto insoddisfacenti, seguite da altrettanto infelici adozioni e non certo appaganti matrimoni. Bene lo colse Anna Freud, figlia del noto psicoanalista che la ebbe in cura durante le conflittuali riprese londinesi di un film con Laurence Olivier, Il Principe e la ballerina: un gran bisogno di contatto relazionale ma, al tempo stesso, una difficoltà, forte, di tracciare, al proprio interno, confini ove potersi sentire al sicuro.

Una cicatrice profonda, nella quale, per dirla con P. Schellenbaum , si può leggere la ferita dei non amati, la loro personale disistima e la tristezza dell’essersi sentiti invisibili.

La Collier, che dedicò gli ultimi anni di vita alla formazione di attori americani, si espresse in modo entusiastico sulle qualità della Monroe, allora ben poco conosciuta. Con un particolare senso di preveggenza, forse inconsapevole, la Collier fece intravedere quelle che si riveleranno vicende tragiche (il suicidio dell’attrice), vicende sulle quali ancora oggi , come bene ha saputo evidenziare Anthony Summers nel suo analitico lavoro di ricerca storica inteso a rendere giustizia ad un personaggio così famoso, permangono dubbi, perplessità, incertezze.

Oh, si, ha qualcosa! E’ una splendida bambina.

Non credo che sia un’attrice nel senso tradizionale del termine. Quello che ha – questa presenza, questa luminosità, questa intelligenza scintillante – non potrebbe mai venire alla luce su un palcoscenico. E’ una cosa talmente fragile e sottile che può essere colta solo dalla cinepresa. E’ come un colibrì in volo, solo la macchina da presa può fermare la poesia, ma chi pensa che questa ragazza non è altro che una nuova Harlow o simile, è matto. Spero, prego, che viva abbastanza a lungo da liberare questo strano adorabile talento che le vaga dentro come uno spirito imprigionato.

Questo in qualche modo ci induce a ritenere che la scelta del mestiere di attrice per Marilyn Monroe non sia stata né casuale né banale.

Morta la Collier, Marilyn si mise alla ricerca di un insegnante che le consentisse di liberare il suo talento e lo trovò in Lee Strasberg, alla cui scuola si formarono attori come Marlon Brando, James Dean, Paul Newmann, Montgomery Clift, Steve Mac Queen e Shelley Winters, tanto per citarne alcuni .

Più che un maestro, visti i più che eccellenti rapporti che si svilupperanno in seguito anche con la moglie e la figlia, l’attrice trovò una famiglia e tanto forti furono i legami che i quattro strinsero nel tempo da portare la Monroe a nominarli eredi di propri beni personali.

Allevata alla scuola del metodo Stanislavskij, di cui il regista era convinto assertore, Marilyn era messa nella condizione di una ricerca continua e spinta all’indagine di ogni specifico motivazionale, di ogni frase o atto. Faceva confluire una propria emotiva e profonda esperienza di dolore e gioia e in quel groviglio di seduttività e fragilità, che la rendeva unica, si intuiva, come sottolineò a sua volta Lee Strasberg, una creatura dotata di potenza esplosiva.

In Fragments viene fatto cenno anche agli aspetti della relazione con il regista: resta un testo efficace e peculiare , le poesie paiono prive di tecnica ma in esse l’autrice condensa spirito critico e sensibilità, una natura poetica, anche se istintiva e carente di esercizio e disciplina. Come notò in seguito il terzo marito Arthur Miller, un uomo che ebbe il merito di averla saputa capire ma il demerito di non averla saputa aiutare.

Un esempio di quanto la carica espressiva dell’attrice, pur priva di tecnica, fosse di per sé potente lo si coglie in Vita, poesia più volte rivisitata.

Ho in me entrambe le tue direzioni / restando appesa come appesa all’ingiù / più spesso / ma forte come la tela di un ragno al / vento – esisto di più nella fredda bruma scintillante / Ma i miei raggi perlati hanno i colori che / ho visto in un quadro – ah vita ti hanno imbrogliata.

Le poesie di Marylin, al di là dunque dell’immagine che molti forse amano conservare di lei, rappresentano l’altra faccia della luna, aggiungendosi all’immagine icona dell’attrice, quel meraviglioso involucro del quale la natura dotò la Monroe stessa, animandola di un’ incredibile energia. Dentro quel corpo, che in certi momenti della sua vita l’attrice portò come si porta una valigia, viveva però anche l’anima di un’intellettuale e di una poetessa.

Fragments porta al suo interno anche una consapevolezza altra: se le persone scarsamente sensibili ed intelligenti tendono a far del male agli altri, le persone troppo sensibili e troppo intelligenti tendono a fare del male a se stessi. Chi è troppo sensibile ed intelligente sa bene i rischi che comporta la complessità di ciò che la vita sceglie per noi o ci consente di scegliere.

E’ consapevole delle pluralità di cui siamo fatti, non solo con una natura doppia, ma tripla, quadrupla, con tutte le mille ipotesi che comporta il vivere. Potremmo essere tante cose, ma la vita è una sola e ci obbliga ad essere una cosa sola, quella che gli altri pensano che noi siamo.

Definire Marilyn dentro Norma diventa complesso perché si alterna l’immagine di una donna di una carnalità così gioiosa ad un doppio fatto di malinconia di cui l’attrice sembra quasi nutrirsi, soprattutto quando si sente incapace di contrastare il sentimento di essere ancora una bambina sola e spaventata. Il destino la battezzerà come una bella bambola della quale non si può pensare ad un contenuto, una icona come il volto della Gioconda, dietro il quale non si sa cosa ci sia.

Ero una ragazzina piccola esile, da fuori potrebbe risultare impossibile concepire il fatto che avevo preso le mie piccole insicurezze e le avevo accumulate in un crescendo di tensione nervosa. Pochissimi tra quelli che mi conoscevano tranne i più sensibili se ne rendevano conto e lo accettavano in pieno.

In Fragments la forma poetica del frammento le consente di esprimere illuminazioni, sensazioni, nette, quella sua fragilità di fondo che portò il terzo marito, Arthur Miller, ad affermare che per sopravvivere sarebbe stato meglio fosse diventata più cinica o quanto meno più realista.

Era invece una poetessa che, all’angolo della strada, cercava di recitare i propri versi davanti ad una folla desiderosa solo di strapparle i vestiti.

Il bisogno di annullamento nella morte viene evocato spesso, almeno quanto il desiderio di poter essere in quel momento altrove, forte di una quieta calma in grado di contrastare il rumore delle macchine impazzite che passano sotto.

Oh Dio vorrei essere / Morta-assolutamente inesistente / Scomparsa da qui – da / Ogni posto ma come farei / Ci sono sempre i Ponti – il Ponte di / Brooklyn / Ma amo quel ponte (da lì tutto è bello / E l’aria è così pulita) mentre cammini c’è / Calma lì anche con tutte le / Macchine che passano impazzite di sotto .

E’ lo sfrecciare ossessivo dei pensieri, significa incontrare ostacoli nel cammino della vita, la condizione di materialità ed il movimento la rendono inquieta perché sa di essersi sempre sentita sola e ne ha paura.

Pietre sulla passeggiata / Di tutti i colori che esistono / Abbasso lo sguardo su di voi / Come loro su un orizzonte / Lo spazio / l’aria tra noi chiama / E io sono molti piani più in là più in su / I miei piedi sono spaventati (fine prima parte)

Bibliografia

Marilyn Monroe, Fragments Poesie,appunti,lettere, Feltrinelli, Milano, 2010

A. Summers, Dea Le vite segrete di Marilyn Monroe, La nave di Teseo, Milano, 2022

Detlef Berthelsen, Vita quotidiana in casa Freud, Milano, Garzanti, 1990.