Occupazione femminile motore della crescita
L’Italia è un Paese sempre più vecchio. Ce lo ricorda l’Istat ogni volta che aggiorna le statistiche sui nuovi nati: 12mila bambini solo fra il 2015 e il 2018. 100 mila in meno negli ultimi 8 anni.
Il crollo delle nascite è un serio problema di cui dobbiamo occuparci se vogliamo tornare a essere un Paese vitale e con un futuro. Un problema che non affligge solo l’Italia ma tutti i paesi europei, che hanno messo in campo misure diverse, più o meno efficaci, per contrastarlo.
Anche noi abbiamo aperto una strada con misure importanti: quella di puntare sul sostegno all’occupazione femminile, che oggi ha raggiunto la percentuale più alta di sempre (49,2 %) anche se ancora distante dalla media europea (61,6 %), come motore della natalità.
Al contrario di quanto si pensi, è proprio quando le donne lavorano di più che si fanno più figli; se al lavoro si accompagnano misure di welfare adeguate.
Ma l’occupazione femminile è anche una delle leve più importanti che possiamo utilizzare per ricominciare a crescere: molti studi analizzano come, generando a sua volta una domanda di servizi, il lavoro delle donne crei altro lavoro, con effetti moltiplicatori sul PIL.
Spesso si tende a pensare che su questo tema le risposte delle varie forze politiche siano simili. In realtà, mai come su questo argomento, scegliere l’obiettivo che si vuole raggiungere è determinante.
Tenere insieme modernità e diritti vuol dire far crescere la natalità tramite l’aumento dell’occupazione femminile, consapevoli che puntare indietro le lancette dell’orologio dei diritti delle donne e delle loro libertà non è un’opzione.
Puntare sull’aumento della natalità senza puntare contemporaneamente al sostegno delle donne nel mercato del lavoro produce politiche non solo inefficaci, ma anche profondamente oscurantiste, che non considerano la maternità una libera scelta ma un destino ineluttabile.
Ecco perché la nostra proposta è prima di tutto quella di rafforzare la condivisione delle responsabilità genitoriali, aumentando la durata dei congedi riservati ai padri. Perché la cura non venga più vista come un compito esclusivo delle donne, con tutte le discriminazioni che questo comporta.
Poi sostenere economicamente chi decidere di fare un figlio, con un fisco a misura di famiglie e degli assegni universali di 240 euro per ogni figlio/a; allargare l’offerta pubblica di asili in modo che entrambi i genitori possano rientrare tranquillamente a lavoro dopo la nascita dei figli e allo stesso tempo coprirne i costi, con un contributo di 400 euro fino a 3 anni per pagare la retta dell’asilo o il costo della baby-sitter.
Una visione per far ripartire il Paese dando risposta ai nuovi bisogni, cosa molto diversa da chi affronta questi temi parlando di famiglia tradizionale.
Questi sono giorni di riflessione: la proposta politica del Pd non ha convinto gli elettori il 4 marzo. È importante che la riflessione sulle ragioni della sconfitta elettorale sia seria e rigorosa, si allarghi oltre i confini del Paese di fronte al pessimo stato di salute del riformismo e dei partiti socialisti negli altri paesi europei, eviti risposte facili e tutte interne alle dinamiche del Pd. E soprattutto abbia al centro il Paese e i suoi problemi irrisolti. Il Pd riparta anche da qui.