Oro rosso, fragole, pomodori e sfruttamento nel Mediterraneo
Stefania Prandi, “Oro rosso, fragole, pomodori e sfruttamento nel Mediterraneo” (ed. Settenove)
Segnalazione di merito, sezione saggistica, del Premio Il Paese delle donne, 2020.
L’autrice, giornalista e fotografa, per due anni ha lavorato su testi e poi sul campo, con oltre 130 interviste, con uno sguardo appassionato ed attento al lavoro delle braccianti ed alle violenze da loro subite. Attraversa, in questo libro, diversi paesi del Mediterraneo seguendo la “striscia rossa “ di molti prodotti agricoli e della fatica, dello sfruttamento, delle violenze di chi questi prodotti raccoglie, pulisce, mette nei contenitori e sposta.
Lavori su prodotti diversi ma tutti ugualmente faticosi, molti resi ancora più faticosi dal caldo delle plastiche delle serre e dall’odore soffocante dei prodotti chimici che intridono i terreni e piagano la pelle. Ed il racconto riguarda anche la vita quotidiana di queste donne che, finite le raccolte, si trovano a vivere, a cucinare , a lavare i panni in catapecchie- spesso capanne di legno ricoperte di plastica-in depositi di attrezzi malamente adattati ad abitazioni, in vecchi ruderi abbandonati: da sole , più spesso in gruppi, alcune con bambini che si sono portate dai loro paesi, pochissime in coppia .La Spagna è quella che “attira” un caleidoscopio di provenienze: rumene, polacche, bulgare, marocchine e poi maliane, nigeriane , senegalesi; in Italia le braccianti, tante sono italiane e poi in prevalenza rumene.
Ma il cuore del libro è il racconto “del ricatto, della sopraffazione, della violenza fisica e verbale sul lavoro”. Non basta, infatti, la fatica quotidiana, la paga ridotta rispetto a quella degli uomini, il vivere disagiato: a tutto questo si aggiunge- che si sia in Spagna, in Italia (in Sicilia o in Puglia) come in Marocco -che le donne siano sole o con figli, che vengono ricattate, violentate e mandate via se si sottraggono ai loro “padroni “ od ai loro sorveglianti. Questa parte del libro, quella che più ha impegnato l’autrice in lunghe, delicate, spesso difficili interviste ripercorre gli stupri come quelli subiti da Karima, ripetuti e bestiali, la sua odissea quando decide di denunciare e la partenza per quella che viene chiamata ”la Casa delle donne che piangono” una casa protetta. Da questa Casa esce anche la storia delle violenze fatte ad Anka, polacca, e sue sono le parole sui capi o padroni delle serre”Non cisono eccezioni :non c’entra l’essere bella, brutta, magra, grassa.Potrebbero pagare delle prostitute, ma non vogliono, no, sarebbe troppo scontato”. E gli stessi racconti li ritroviamo nelle interviste fatte a Vittoria in Sicilia ed in Puglia. A difenderle pochi: quando riescono a parlare trovano a volte un sacerdote, spesso qualche sindacalista e le parole di questi testimoni rappresentano una sorta di controcanto a quello delle “raccoglitrici”; purtroppo la popolazione dei paesi vicini sa, ma preferisce tacere.
A volte quindi le donne denunciano, a volte scappano, più spesso subiscono, pressate dal bisogno di lavorare; qualche volta nascono bambini, che vengono lasciati alle strutture pubbliche e gli aborti sono numerosissimi.
La lettura di questo libro ricco di informazioni e dati ma, soprattutto, i dolenti racconti, raccolti amorosamente dall’autrice, lasciano sofferenza e rabbia in chi lo legge e la consapevolezza che non si potrà mai più ignorare quello che ci può essere dietro ad un semplice cestino di pomodori o di fragole.