“Otto. Tutti siamo tutti” di Roberta Calandra
Otto di Roberta Calandra è un libro che chiede molto e dà molto, sotto più aspetti.
Chiede a chi legge disposizione e disponibilità; motivo per il quale riesce a stabilire subito un’intesa intelligente e proficua tra chi ha scritto e chi legge. Chiede che chi legge sospenda ogni tanto il filo della narrazione delle storie, che costituiscono il romanzo, per immergersi in una riflessione tematica di volta in volta suggerita dalle “parole chiave” emerse dalla narrazione stessa. Uno stile di scrittura estremamente intenso e nuovo, che offre piccoli camei di analisi ed approfondimento delle categorie fondanti dell’esistere, categorie che la soggettività dei/delle protagonisti/e ha portato in luce attraverso le storie; ognuno/a alle prese con gli interrogativi e con le domande più profonde che pone la vita, e con lo sforzo continuo che c’è da compiere per viverla in piena responsabilità e consapevolezza.
La complessità del testo presuppone che chi legge trovi piano piano il suo tempo interiore per entrare in contatto con storie che attraversano il Tempo.
Quattro storie della stessa Storia dell’Amore, motore principale ed instancabile che muove tutto il romanzo, riannodando le narrazioni e il loro tempo con il potente simbolismo di un filo di perle che le unisce in una cornice suggestiva e misteriosa.
L’ autrice ci regala quattro coppie: la prima composta da Olympia e da Philippe sullo sfondo della Rivoluzione francese. Colpisce qui l’intensità della descrizione che ha la potenza rappresentativa di un fotogramma lucido della scena, la fierezza e la determinazione di Olympia, l’utilizzo di una metafora forte per descrivere l’inconscio che emerge: le fogne di Parigi. E’ un dialogo di amore quello tra Olympia e Philippe, un dialogo che sconta tutte le differenze possibili tra i due, ma in cui Olympia, vincendo le sue resistenze, finisce per chiedere a Philippe di “Illuminare il labirinto”. Commuove quasi la lotta di lei per difendersi dal piacere che lui vuole portare nella sua vita, la sua paura di affidarsi per non perdere la propria autonomia di donna della rivoluzione, l’aggrapparsi alla Libertà “come possibilità unica di creare legami indissolubili tra gli esseri umani”.
Olympia cerca un argine alla resa a lui, e nello sforzo di una tale ricerca applica il sano principio di causa-effetto: “attribuire la ragione di ogni evento a cause quantificabili”.
Nonostante lo sfondo sia quello della lotta di classe, Olympia riesce a provare comprensione per la regina che verrà posta a morte dai rivoluzionari, e ad intessere silenziosamente con lei una sorellanza ed una vicinanza che anticipano il lungo cammino del femminile.
Olympia, che pure tanto si interroga sull’ambiguità del moto rivoluzionario chiedendosi se “è forse meglio essere sottomessi ad un sovrano piuttosto che a centinaia”, paga il prezzo del suo coraggio di pensare, con la reclusione nelle prigioni francesi.
Il lungo e travagliato sforzo di avvicinamento tra Olympia e Philippe si conclude con una importante verità: “per comprendere e imparare che di esercizio, prima di ogni altra cosa, L’Amore si nutre”.
Con la seconda coppia l’autrice ci introduce in un tempo squisitamente romantico, Gabriel e William sullo sfondo dell’Inghilterra del 1820. Un incontro tra due sensibilità poetiche diversamente declinate. Colpisce l’immediatezza della domanda di amore di Gabriel e la sua richiesta di complicità ed intimità assolute ed infinite. I due uomini si fronteggiano in un confronto continuo delle due soggettività nel rapporto con l’Arte; Arte che richiede lo svelamento di sé e che impone di prendere coscienza dei propri talenti. I due sperimentano la pienezza dei sensi in una notte d’amore che segnerà irrimediabilmente la natura già tanto fragile di Gabriel, infiammandolo di un amore che non vuole conoscere limiti spaziali e temporali. Ma poi emergono le divergenze tra i due amanti: Gabriel dilata la dimensione del sentire che finisce per spaventare William ed allontanarlo. Partirà per lunghi viaggi al servizio di cause nobili ed altruistiche, portando sempre dentro di sé il ricordo indelebile dell’incontro con Gabriel e di quello che ha significato come possibilità di incontro con sé stesso. Si ritroveranno in un ricongiungimento finalmente consapevole da parte di William che cede alle sue resistenze interiori con le sue parole: “Ma l’amore, anche se mal diretto, è tra quelle cose che sono immortali e sorpassano tutta quella fragile materia che saremo e siamo stati”.
Con la terza coppia ci troviamo di fronte a due donne, prigioniere di un campo di deportazione. Forse è in loro che vengono immortalate le categorie fondamentali dell’Essere, sullo sfondo della deprivazione più totale dell’essenziale per vivere. Ed è qui che Milena e Greta, attraverso la cura dei piccoli gesti mantengono viva la loro umanità, nutrono la speranza contro il tanto orrore che le circonda, e provano a sopravvivere.
Nell’ordine mortifero del lager, la scrittrice fa irrompere il Caos portato dal coraggio e dalla ribellione di una delle due protagoniste, le cui parole – “Ogni momento della vita in cui sei priva di coraggio è un momento perduto” – diventano lezione che attraversa la storia e giunge diritto fino a noi, donne ed uomini della contemporaneità, attualizzando un monito che va fatto proprio per ciascuna/o, per sempre.
La quarta storia ci immerge nel mondo che viviamo e di cui conosciamo le dialettiche e le dinamiche tra sessi: un uomo ed una donna di diverse età, diverse provenienze sociali, diverse culture. Ci troviamo di fronte ad Elena, donna disincantata e spregiudicata che non indulge alle emozioni e governa con competenza tutte le sue relazioni con gli uomini e con il mondo che la circonda. La sua è una vera e propria corazza che le impedisce di sentire, la rassicura, proteggendola da un dolore che non ha avuto la possibilità di far risalire dentro di sé ma che è sprofondato invadendo silenziosamente tutte le fibre del suo corpo. Ed è con il profondo peso di questo fardello non consapevolizzato, che Elena incontra, per puro caso, Giacomo. Con lui incontra anche la sua freschezza, il suo darsi a lei ed il suo volerla a dispetto dell’età, della condizione sociale di Elena, donna di successo abituata ad avere tutto, donna di potere che potrebbe anzi risolvere le difficoltà di Giacomo a trovare un suo posto nel mondo. L’epilogo della storia fa esplodere un senso di pienezza che irrompe potente con la generazione: Elena partorirà, sconfiggendo quel senso di morte che si porta dietro e sanando una cicatrice profonda della sua esistenza.
Tanti i messaggi che possono essere letti in questo lungo attraversamento dell’anima umana dove la sofferenza appare indispensabile per arrivare al profondo di sé, alla trasformazione, al risveglio. Messaggi che appaiono uscire dalla narrazione e venirci incontro in una atmosfera densa di grande e magica suggestione.
Il libro è tratto dallo spettacolo teatrale omonimo la cui drammaturgia ha vinto il “Premio inediti Elsa Morante 2012”.
Roberta Calandra, Otto, Edizioni Croce, Novembre 2020