Paola Regeni: sul viso di mio figlio ho visto il male del mondo.
Oggi, 29 marzo, Paola e Claudio Regeni, hanno tenuto una conferenza stampa per chiedere la verità per Giulio. Avevano da poche ore disconosciuto il contenuto del “vassoio d’argento” arrivato dall’Egitto con oggetti non appartenenti al figlio, tranne i documenti e forse un portafoglio ma non quello con scritto ‘love’. L’incontro, coordinato dal Senatore Luigi Manconi, Presidente della Commissione per i diritti umani, presenti altri esponenti del Senato a testimonianza del trasversale interesse sul caso, presenti anche i legali della famiglia, Alessandra Ballerini e Gianluca Vitale, ha avuto toni intensi per il dramma narrato e per l’altissimo profilo dei genitori di Giulio.
Nessuno dei due si è sottratto all’ardua prova di narrare la scomparsa del figlio, di denunciare false verità che hanno tentato di ridurre la morte atroce di un giovane ricercatore a una trascurabile eccezione in nome degli interessi politici ed economici dell’area egiziana e italiana e del ruolo che l’Egitto ha nel contesto allargato mediterraneo e medio-orientale rispetto alle crisi di attuali e più antichi conflitti.
“Forse era dal nazi-fascismo che in Italia non si conosceva una tortura simile a quella di Giulio” ha detto la madre nel chiedere e pretendere verità e non vendetta “ma i partigiani, dei quali ho molto rispetto, che sono stati torturati a morte sapevano di essere in guerra, Giulio no, era un ricercatore. Gli hanno impedito di aiutare il mondo, aiutare tutti noi e anche l’Egitto. La sua morte ha cambiato la vita a tutti, a noi, ai parenti, agli amici, all’intero paese”.
I genitori non vogliono mostrare le immagini martoriate del figlio, nè intendono farlo almeno finché avranno speranza di verità.
Giulio Regeni non era un terrorista, una spia, un infiltrato, una vittima di una rissa privata, un giovane in vacanza rapito a scopo di riscatto (il suo conto corrente non arrivava a 900,00 euro e il suo stile di vita era sobrio, austero, per non gravare sulle finanze familiari), ma studiava, con uno “sguardo lungo”, anticipatore, e cuore generoso, la società, i sindacati, l’emarginazione, tutti temi di massima attualità.
Richiesti di spiegare come avessero la certezza che il figlio non appartenesse ai Servizi segreti dato che viveva fuori casa da un decennio, i genitori si sono detti certi della trasparenza del legame e della confidenza che avevano con Giulio: “solo chi ha i figli lontani conosce il legame viscerale, come per gli aborigeni” ha detto Paola Regeni, “lui non aveva nulla da nascondere: non era nei Servizi segreti con tutto rispetto per chi fa lavoro d’intelligence”.
Al proposito è stato ricordato che la cerchia amicale di Giulio, in Egitto, ha messo spontaneamente a disposizione i propri dati, anche telefonici, utili a ricostruire i giorni e le ore prima del rapimento.
La ricostruzione delle sue attività diurne e di studio notturno, lo mostra tutto preso dalla sua ricerca che, rientrando in Italia il 27, avrebbe riversato nelle Conclusioni del dottorato.
Al sorriso solare, al viso aperto, allo sguardo limpido di Giulio i genitori non vogliono sovrapporre l’immagine del figlio come è tornato dall’Egitto, come l’hanno rivisto nell’obitorio italiano (al Cairo avevano seguito, frastornati dall’angoscia, il suggerimento di non vederlo).
“Un viso diventato piccolo piccolo” ha detto Paola Regeni, che ho riconosciuto solo dalla punta del naso e su cui ho visto tutto il male del mondo.”
Come riuscire a pensare a ciò che gli è accaduto è stato chiesto ai genitori, e ancora una volta, dopo occhiate d’intensa condivisione, è stata Paola Regeni a spiegare, senza eroicamente cambiare il tono piano e risoluto di voce, che se lo immagina “mentre in tutte le lingue che conosceva, arabo, inglese, francese, italiano, il dialetto, cercava di spiegare agli aguzzini chi era e mentre capiva, avendo tutti gli strumenti intellettuali, culturali e storici per capire, che si stava chiudendo la porta.”
Come fa a sopportare tutto questo, ha chiesto a Paola Regeni una giornalista, anche lei madre: “Ho il blocco del pianto. Sono sempre stata facile alla commozione ma piangerò forse quando saprò la verità sugli otto giorni di torture prolungate, sul rapimento e il ritrovamento in due zone molto controllate; sugli oggetti, vestiti, modalità date finora senza fondamento.” ha risposto la madre di Giulio e a questo punto ha fatto lei una domanda: “L’Egitto è un paese sicuro? Forse dopo questo, ma prima? Il caso di Giulio non è un caso isolato. E accaduto anche a degli Egiziani e ad altri.”
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha dichiarato che le persone torturate, in Egitto, nel primo trimestre 2016, sono 88 di cui 8 decedute sotto tortura.
Non in ultimo, è stato affrontato il tema dell’atteso incontro del 5 aprile tra ispettori di polizia egiziani e italiani e di cosa accadrà se la data slitterà per l’ennesima volta o risulterà un incontro a vuoto.
Alla richiesta dei genitori di Giulio di una risposta forte da parte del nostro Governo, richiesta che rinnovano dal 25 gennaio, il Senatore Manconi ha proposto, in caso d’insuccesso del 5 aprile, “il richiamo, non il ritiro, dell’ambasciatore italiano al Cairo per consultazioni per dare un segnale chiaro e simbolico e dimostrare il concreto interesse dell’Italia verso il caso”. Inoltre, tale richiamo potrebbe essere un segnale di “revisione delle relazioni consolari tra i due paesi” e determinare anche un’iscrizione dell’Egitto nella lista dei paesi ritenuti non sicuri dalla Farnesina con evidenti ripercussioni politico-economiche.
Il 5 aprile è vicino e si vedrà se Egitto ed Italia riusciranno, come ci si augura, ad affrontare compiutamente ciò che la tragica sorte del giovane e brillante ricercatore italiano ha reso emblematico e non oscurabile e il tema del rispetto dei diritti civili diventerà veramente dirimente nelle relazioni estere dell’Italia e della U.E..
La conferenza stampa si è conclusa con l’importante proposta di Manconi ma sono state avanzate, in merito al caso Regeni, anche ulteriori iniziative diplomatiche, come ricorrere a Strasburgo, per ottenere la verità.
A Paola e Claudio Regeni la vicinanza di tanti e tante non può che sostenerli nel proseguire una battaglia che, grazie alla loro statura morale e intellettuale, sta diventando una metafora sui presupposti e sul futuro della nostra civiltà.
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