PARIGI – A “KANATA” IL SOLE HA SMESSO DI SORGERE – uno spettacolo che illumina la condizione delle popolazioni native del Canada
Il Théâtre du Soleil di Ariane Mnouchkine porta sulla scena il dramma della colonizzazione dei popoli nativi del Canada. Al centro della pièce la tragica condizione vissuta dalle donne indigene nella periferia a est di Vancouver.
In scena a Parigi “Kanata”, per la regia di Robert Lepage, alla Cartoucherie di Vincennes di Parigi. L’ex fabbrica, sede dal 1970 della compagnia del Théâtre du Soleil, ospiterà lo spettacolo fino al 31 marzo 2019. Dopo essere stato al centro dell’accusa di “appropriazione culturale”, lo spettacolo ha debuttato lo scorso 15 dicembre in occasione del Festival d’Automne. L’intento dello spettacolo è quello di denunciare la condizione di emarginazione vissuta da uomini e donne delle popolazioni indigene residenti in Canada, un fenomeno le cui basi sono da rintracciare secondo Lepage, nel passato coloniale del Paese, negli abusi nelle aggressioni nelle violenze sessuali e psicologiche, nelle persecuzioni e nell’opera di conversione religiosa che è stata loro imposta.
“Kanata” è una parola di origine irochese che significa “villaggio”, la stessa che ha dato il nome attuale alla Nazione, e che il regista ha scelto come titolo del suo spettacolo, nella rievocazione di un passato ancestrale, legato alla storia pre-coloniale del Paese. Prima dell’arrivo e dell’insediamento dei coloni europei il territorio canadese era abitato da gruppi di indigeni Le prime popolazioni a stabilirsi sul territorio furono quelle degli Inuit e dei Metis, cui si aggiunsero nel tempo le diverse tribù dei Nativi Americani. L’avanzata degli europei, soprattutto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ha determinato il confinamento di queste prime popolazioni nella zona delle Montagne Rocciose o la loro sottomissione da parte dei Paesi colonizzatori.
Kent Monkman artista di origine Cree, una delle popolazioni indigene canadesi, aveva cercato di descrivere questa pagina di storia della sua terra nelle opere di “Shame and Prejudice”, un’esposizione nata per il 150° anniversario della Confederazione canadese, lontana da qualsiasi intento celebrativo. Le sue opere ricorrono all’interno della pièce teatrale, che attraverso 3 episodi ripercorre gli ultimi due secoli della storia del Paese. Al centro della rappresentazione, la rievocazione di una pagina di cronaca recente, legata agli omicidi e alle sparizioni di donne indigene che hanno avuto luogo nella periferia est di Vancouver, tra la fine degli anni’80 e il 2000.
Il 23 gennaio del 2007 ha avuto inizio il processo al serial killer Robert Pickton accusato dei 49 omicidi e delle numerose sparizioni di donne che hanno avuto luogo in Canada tra la fine degli anni 80 e il 2001. Il suo processo a New Westminster era stato allora seguito dall’intera Nazione. Dichiaratosi inizialmente innocente, la sua colpevolezza venne dimostrata il giorno stesso grazie a una registrazione in cui il killer ammetteva gli omicidi commessi al suo compagno di cella, un agente in incognito cui era stato dato il compito di farlo confessare. Dalle indagini effettuate risultò che il serial killer adescava giovani donne che frequentavano il quartiere a est della periferia est di Vancouver per poi ucciderle e nascondere i loro corpi nei campi di sua proprietà. Nei suoi possedimenti furono rinvenute le tracce del dna di 31 donne di 60 scomparse. Queste sparizioni erano per lo più circoscritte all’area del quartiere di Downtown Eastside, ed emerse che si trattava di donne indigene, cadute nella prostituzione e nella dipendenza dal consumo di droghe pesanti. Già nel 1996 un fotografo, Lincoln Clarkes, aveva cercato di denunciare la realtà che lega donne, tossicodipendenza e prostituzione alla periferia degradata del quartiere a est di Vancouver. Lincoln Clarkes aveva immortalato i loro volti, corpi, gesti, senza sapere allora che il suo atto di fotodenuncia sarebbe risultato determinante nelle successive indagini della polizia. Il riconoscimento da parte delle autorità di alcune donne tra quelle presenti nelle sue fotografie ha consentito alla polizia di creare un nesso tra le loro sparizioni e l’esistenza di un pluriomicida; una ipotesi per anni trascurata, nonostante le ripetute denunce sollevate, a partire dagli anni ’90, alle autorità giudiziarie da parte degli amici e dei parenti più prossimi delle donne scomparse.
Dalla prospettiva del regista i crimini di Pickton rappresentano “il culmine della condizione di emarginazione in cui sono vissute dalle popolazioni indigene canadesi dagli anni ’80 sino ad oggi”. La condizione delle donne native di Vancouver diviene qui emblema di una ferita ancora aperta, tale da sollevare proteste da parte delle stesse comunità native.
La scorsa estate il progetto di Robert Lepage aveva subito una battuta d’arresto, per le accuse a lui rivolte di illegittima appropriazione culturale da parte delle comunità dei Nativi. Il quotidiano canadese “Le Devoir” pubblica in quel periodo una lettera aperta in cui gli esponenti delle comunità autoctone contestano la totale assenza di interpreti nativi nello spettacolo, che si presenta come espressione di un teatro di denuncia, e la scarsezza di elementi provenienti dalla loro comunità. Ad aggravare la situazione, per i contestatori, la composizione dell’ensemble di Ariane Mnouchkine, composta da 26 attori di diverse nazionalità diverse, dalla quale sarebbero stati esclusi esponenti della cultura in riferimento.
Nello stesso momento il giornale “The Globe and mail” riporta: <<La polemica attorno alle 2 rappresentazioni teatrali ha scatenato un dibattito nella società del Quebec sui diritti dei bianchi di raccontare storie dei gruppi minoritari. Lepage e il suo entourage hanno dichiarato di essere vittime di un attacco alla libertà artistica>>
La polemica determina il ritiro dell’interesse dei produttori americani dello spettacolo e dei relativi finanziamenti. A luglio, la cancellazione della prima dello spettacolo dal Festival d’Automne, il cui debutto era fissato per il 15 dicembre 2018: <<Un fatto gravissimo>> aveva allora contestato Marie Collin, direttrice artistica dell’evento <<Come se d’ora in poi, della schiavitù potesse parlare solo un drammaturgo africano>> Il regista era già stato precedentemente al centro di un caso simile per la regia di “Slav”, un concerto blues nato per raccontare la storia della schiavitù della popolazione afroamericana, cancellato dal Festival del Jazz di Montreal per le proteste del Black Lives Matters, con l’accusa di voler trarre profitto dal repertorio storico della cultura nera.
Stessa sorte si temeva per “Kanata”, risollevatosi dalla polemica grazie all’intervento di Ariane Mnouchkine, che si reca a Montrèal per cercare di trovare un accordo con i 30 rappresentanti delle comunità native, e in seguito riesce a trovare nuovi produttori per il progetto, assicurandone il debutto nella data prevista. Nella rappresentazione teatrale sono stati inseriti documenti e testimonianze tratte dagli archivi di Stato, tra i quali la registrazione emersa in tribunale durante il processo del 23 gennaio 2007. La presenza di scene di violenza all’interno dello spettacolo ha contribuito ad accrescere la questione sui diritti, più che di un solo uomo, del teatro stesso nel mettere in scena i drammi di una nazione.