Patagonia. Il filo di lana e quello spinato – La storia di un popolo che non si lascia sconfiggere
Patrizia Larese scrive su COMUNE INFO
Da venticinque anni la famiglia Benetton è il più grande latifondista straniero della Patagonia e dell’Argentina. Ha comprato un territorio immenso, quasi alla fine del mondo, per soli cinquanta milioni di dollari. Non è mai riuscita a comprare, però, la gente che lo abita da secoli. I Mapuche hanno resistito ai conquistadores spagnoli all’esercito argentino deciso ad impadronirsi del “deserto” e oggi resistono al colonialismo di imprese multinazionali insaziabili e decise a impossessarsi della terra e dell’acqua con qualsiasi mezzo, dalla repressione di uno stato compiacente alla manovra “culturale” che tende a considerare gli indigeno gente da museo. Quello dei Mapuche, però, è un popolo che non si lascia imbrogliare né piegare, come dimostra la leggendaria resistenza diventata vittoriosa due anni fa della famiglia di Rosa Nahuelquir e Atilio Curiñanco e quella opposta ancora nei primi giorni di luglio di quest’anno a uno sgombero inaspettato e di inaudita violenza. Un reportage racconta gli ultimi mesi di una lotta che dura da 130 anni
REPORTAGE — Arrivo verso le 20 al terminal dei pullman di Puerto Madryn, sono in anticipo per il bus che, dopo una notte di viaggio, mi porterà ad Esquel, ai piedi della Cordigliera delle Ande, nel cuore della Patagonia argentina, terra aspra, dura, affascinante e misteriosa. In queste zone è in atto da anni un conflitto legale tra la comunità Mapuche, una delle comunità native del Sud America, e la multinazionale Benetton per il recupero delle terre ancestrali. La multinazionale Benetton da più di venticinque anni possiede il 10% del territorio della Patagonia argentina, un’estensione paragonabile alla nostra Umbria.
Nel 2002 la famiglia mapuche Curiñanco-Nahuelquir intentò una causa legale contro i Benetton per “recuperare” 535 ettari a Santa Rosa di Leleque, località che si trova a circa 100km da Esquel e, dopo anni di sgomberi forzati, lotte legali, durante le quali è intervenuto a difesa dei nativi Pérez Esquivel, premio Nobel per la Pace 1980, la famiglia è riuscita a ritornare a vivere nelle terre degli antenati, rivendicando un diritto riconosciuto ai popoli nativi.
L’agenzia “El Bolson” il 12 novembre 2014 pubblicò il verdetto della sentenza: “…l’Istituto Nazionale degli Affari Indigeni (INAI) consegnerà i documenti ufficiali del rilevamento territoriale dove si riconoscono i diritti della comunità Santa Rosa/Leleque. Secondo la notizia di ieri, l’INAI – nell’ambito della legge di rilevamento territoriale- “ ha riconosciuto la comunità Mapuche possessore del territorio reclamato da più di dieci anni nei confronti dell’azienda multinazionale Benetton”.
Rosa Nahuelquir e Atilio Curiñanco affermarono: ”Oggi lo Stato argentino ammette che siamo una comunità pre-esistente, riconoscendo il possesso di questo territorio nell’ambito della legge n° 26.160 applicata in diversi punti del paese. Questi anni di residenza e resistenza sul territorio non sono stati vani”
La storia dei coniugi Curiñanco ha portato all’attenzione della cronaca mondiale la condizione in cui versano i popoli nativi in Centro e Sud America. Le organizzazioni internazionali e locali che si occupano della difesa dei diritti umani, i mezzi di comunicazione, i partiti politici hanno iniziato ad interessarsi delle problematiche che coinvolgono le popolazioni indigene: dai conflitti per il recupero delle terre ancestrali al razzismo, alla richiesta di riconoscimento di uguali diritti.
Da anni è in atto “il risveglio indigeno”, un fenomeno che riguarda il ritorno di molte comunità all’affrancamento della propria identità, alla rivendicazione della propria cultura tradizionale e delle terre avite. Gli indigeni reclamano il proprio diritto come abitanti originari e sollevano il velo delle violenze che hanno subìto.
La storia della conquista da parte degli Europei è disseminata di stragi, deportazioni, stermini delle tribù Mapuche, Tewelche, Seikman, Yamana, Ona e molte altre e purtroppo è tuttora in atto una colonizzazione da parte di multinazionali straniere e ricchi latifondisti.
La storia di queste terre risale alla fine del 1800 quando, durante la Campañia del Desierto (1878-1895), furono sottratte ai popoli nativi. La Campaña del Desierto fu una campagna militare sanguinosa guidata dal generale Julio Argentino Roca (1847-1914) che conquistò i territori a sud della provincia di Buenos Aires, uccidendo e deportando come schiavi le popolazioni che vivevano in pace nelle regioni patagoniche. Roca è celebrato ancora oggi sulle banconote da 100 pesos, nei testi scolastici e con monumenti, a lui sono state dedicate piazze e strade in tutto il Paese.
Per comprendere la complessità della lotta dei popoli indigeni occorre ricordare il trattamento che le tribù native hanno sofferto a partire dalla fine del 1800 e rivedere la storia dell’Argentina. Dopo la Conquista del Deserto, l’Argentina diventò una grande potenza agricola a scapito delle popolazioni indigene. Le terre in questione furono donate dal Presidente Uriburu a proprietari inglesi, come forma di pagamento per le armi che avevano fornito per la Campaña del Desierto. Gli Inglesi, in seguito, trasferirono questi territori alla società ‘The Argentine Southern Land Company Ltd’, conosciuta anche con la sigla TASLCo, fondata nel 1889 e creata per realizzare attività commerciali in Patagonia. La Company aveva sede a Londra ed uffici a Buenos Aires per poter amministrare le proprietà dei latifondisti inglesi nel Paese sudamericano.
La TASLCo ottenne così quasi un milione di ettari nel nord della Patagonia, 10 estancias (fattorie) di quasi 90.000 ettari ciascuna per lo sviluppo della ferrovia che servì per esportare la produzione del bestiame. La Company sfruttò queste terre per quasi un secolo producendo, importando ed esportando bestiame senza pagare dazi o altri tipi di tasse.
Nel 1975, la “Great Western”, società con sede in Lussemburgo, acquista il pacchetto azionario della TASLCo che in quel tempo era passata nelle mani di impresari argentini. In questi passaggi è contenuta una doppia violazione della Costituzione argentina, la quale vieta donazioni per più di 400 mila ettari e, al contempo proibisce la vendita degli stessi terreni a fini di lucro da parte di chi ha precedentemente goduto delle donazioni. Nel 1982, al tempo della Guerra delle Malvinas, gli azionisti durante una riunione decidono di cambiare la ragione sociale in “Compañia de Tierras del Sur Argentino” e integrano la classe dirigente con un 60% di direttori argentini.
Dopo la Guerra delle Malvinas, la legislazione argentina esige la nazionalizzazione delle imprese straniere.
Nel 1991, tramite la “Edizioni Holding International N.V.”, la famiglia di Luciano Benetton acquista il pacchetto azionario della Compañia per soli 50 milioni di dollari diventando il maggior azionista ed il più grande latifondista straniero in Argentina. Un affare perfetto: oggi un ettaro è valutato intorno ai 2 milioni di pesos.
In questa corsa al “land grabbing”(arraffa terra) i popoli nativi subiscono continuamente l’espropriazione dei territori ancestrali, impedimenti e divieti per il libero accesso alle sorgenti di acqua dolce.
La lista dei latifondisti stranieri è molto lunga ma la famiglia Benetton occupa il primo posto con 900.000 ettari, pari a 4.500 volte la superfice di Buenos Aires, seguita dai miliardari Douglas Tompkins (morto nel dicembre 2015) che fece la sua fortuna con il marchio sportivo ‘The North Face’ ed ‘Esprit’, proprietario di circa 500.000 ettari; Ward Lay, il re delle patatine fritte, proprietario dell’omonima compagnia, l’inglese Charles Lewis, magnate della catena Hard Rock Café possiede 8.000 ettari nella zona del Lago Escondido, tra San Carlos de Bariloche ed El Bolsón, ma proibisce agli indigeni l’accesso al lago; Ted Turner, il fondatore del network multimediale CNN, parte della sue terre circa 45.000 ettari si trovano all’interno del Parco Nazionale Nahuel Huapi, dove scorre uno dei fiumi incontaminati della Patagonia. Da quando questi territori sono di sua proprietà, l’accesso al fiume è stato limitato.
Henry Kissinger, l’ex-segretario di Stato, rimase stregato dalle incantevoli distese patagoniche che acquistò a prezzi favorevoli. Ed ancora gli attori Christopher Lambert , Silvester Stallone, Jeremy Irons, Tommy Lee Jones, Bruce Willis, John Travolta. Altri divi di Hollywood: Richard Gere, Robert Duvall, Matt Damon che hanno acquistato terre nelle province nord di Tucuman, Salta e Jujuy. Alcuni Paperoni nazionali, dal noto presentatore tv Marcelo Tinelli all’uomo più amato dopo Maradona, il calciatore Gabriel Batistuta, detto Batigol, posseggono immensi territori in questa regione leggendaria alla fine del mondo diventata un paradiso per miliardari. Grandi gruppi vinicoli francesi, spagnoli e italiani si sono stabiliti a Mendoza, ai piedi della Cordigliera delle Ande, dove la terra ed il clima sono favorevoli per la cultura della vite. Bill Gates, uno degli uomini più ricchi del mondo, è proprietario di miniere di oro e argento.
Da alcuni anni anche la Cina ha iniziato a espandere la sua presenza in Sud America investendo non solo nelle miniere e nel petrolio ma anche nei prodotti agroalimentari soprattutto colture di soia diventando uno dei più grandi investitori in Argentina. Ha fatto molto discutere il caso dei 200 mila ettari di terra nella regione di Río Negro acquistati dall’impresa cinese di alimenti Beida Yuang per coltivare soia, grano e colza.
In un articolo di BBC Mundo del 2011 si legge che da un’indagine eseguita dalla FAO (Food and Agriculture Foundation), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della povertà nel mondo, e da più di 40 associazioni raggruppate nella Coalizione Internazionale delle Terre (CIT Coalición Internacional de Tierras), si evince la grande preoccupazione per il fenomeno di land grabbing che coinvolge non solo l’Argentina ma ben 17 Paesi dal Centro al Sud America. Un responsabile tecnico della Commissione delle Relazioni Politiche della Società Rurale Argentina ha confermato in un’intervista sempre a BBC Mundo che non esistono dati precisi sulle terre vendute o in vendita a stranieri.
Il referente della comunità mapuche di Esquel, Martiniano, mi racconta che l’anno scorso è stato costruito un piccolo presidio (Lof) per il recupero delle terre ancestrali mapuche. Mi propone di andare a incontrare i ragazzi che vivono al Lof, impegnati nella lotta per la “recuperación de la tierra”, così amano definirla i Mapuche, per riappropriarsi di 150 ettari che si trovano nell’estancia di Leleque, all’interno della proprietà Benetton.
Mi reco al Lof in compagnia di Chele e Daniela, una coppia di coniugi di origini mapuche-tewelche che fanno parte della Rete di Appoggio al Lof (“Red de apoyo a las Lof en resistencia Departamento Cushamen”). Il presidio mapuche si trova a circa 100 chilometri da Esquel nel Dipartimento di Cushamen. Resto impressionata dal fatto che da Esquel al Lof la strada è delimitata da ambo i lati dai recinti delle proprietà Benetton e durante il percorso attraverso ben dieci corsi d’acqua, di proprietà della multinazionale italiana.
La “recuperación” di questa parte dei territori ancestrali mapuche è iniziata il 13 marzo 2015, per recuperare territori che si trovano vicino al fiume Chubut. La comunità non può accedere alla fonte d’acqua dal momento che i Benetton non lo permettono, adducendo come pretesto il fatto che non esistono documenti che attestino l’autenticità della proprietà alla comunità mapuche.
Il Lof si trova all’incrocio della Ruta 40 con la Ruta provinciale per El Maitén. Sul recinto che corre all’infinito ci sono degli striscioni che annunciano “Recuperación Mapuche, Fuori i Latifondisti, i Petrolieri, i Winka (i Bianchi).”
Con Chele e Daniela mi metto in attesa e, dopo alcuni minuti, arriva un giovane incappucciato che, nascosto, sta di vedetta in una specie di garitta, nel caso in cui si presentino visite inaspettate e soprattutto indesiderate. Ci accoglie con un “Mari, mari”, il tipico saluto in lingua mapudungún (la lingua mapuche) e, dopo aver abbracciato Chele e Daniela, mi stringe vigorosamente la mano. Passa un po’ di tempo ed arriva un altro ragazzo anche lui a volto coperto che ci fa strada addentrandosi nel terreno ricoperto di arbusti bassi, duri e spinosi, tipici delle distese patagoniche. Giunti in mezzo alla pampa ci troviamo di fronte ad una abitazione, un po’ più di una baracca, costruita sulla nuda terra con tronchi e lamiere di latta, la loro dimora.
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Ci sistemiamo fuori sotto un pergolato, ricavato con un grande telo a difesa del sole implacabile di questa terra, mentre sul focolare sta cuocendo in un grosso pentolone una zuppa di verdura che emana un profumo intenso ed appetitoso. Ci sediamo su panche e pezzi di legno, o su piccoli barili, nel gruppo anche una bimba di otto-nove anni, membro orgoglioso del gruppo.
Come prima cosa i giovani mapuche si scusano di presentarsi a volto coperto, non possono neppure dirmi i loro nomi perché costretti a nascondersi per una persecuzione politica, sono stati giudicati terroristi da tre procuratori ed un giudice. Mi spiegano che si sono insediati qui per difendere il loro territorio, la terra dei loro avi da cui traggono la loro energia e la loro cultura. Vivere qui in mezzo al nulla è molto duro, non esiste elettricità e nei mesi invernali la temperatura può raggiungere i 20 gradi sotto zero. L’abitazione è dotata soltanto di un enorme focolare ed è arduo difendersi dal vento patagonico che la fa da padrone. Poco lontano scorre il ruscello che consente loro di poter vivere e persistere nella lotta per la loro terra. Mi dicono che anche se la situazione è dura e difficile tuttavia sono felici perché sanno che stanno portando avanti una lotta giusta per se stessi e per il futuro del loro popolo, in nome dei diritti violati di tutte le popolazioni native. Mi ringraziano per essere andata a trovarli da così lontano e si meravigliano che qualcuno conosca la loro storia anche a migliaia di chilometri.
Dopo un excursus su Gramsci, Marx , Cuba e Syriza, per nulla casuale, ma con il preciso intento di comprendere quali siano i miei orientamenti al riguardo, mi spiegano che la soluzione di questo conflitto è una questione politica la cui origine risale a molto lontano, alla fine del XIX secolo fin da quando i loro nonni e bisnonni patirono sulla loro carne le atrocità della Campaña del Desierto. Sono fieri di essere i loro discendenti, non hanno paura di continuare una lotta che il loro popolo porta avanti da più di 130 anni perché sanno che agiscono in nome della loro tradizione e della cultura del loro popolo da sempre legato alla terre ancestrali della Madre Terra (la Pacha Mama).
Uno dei giovani incappucciati mi spiega che la riforma della Costituzione include l’articolo 75 dove al punto 17 si riconosce la pre-esistenza etnica delle popolazioni native ed il rispetto della tradizione delle terre che i Mapuche e i popoli indigeni occupavano precedentemente.
La Costituzione però non viene rispettata ed essi non hanno altra scelta che far sentire la loro voce con la recuperación. La Terra, più precisamente il territorio, è la base dello sviluppo della loro cultura, è la continuità storica della loro gente e della conoscenza è il bene più grande da cui ricevono non solo sostentamento ma forza ed energia per la vita perché la Terra è tutto per i Mapuche (Mapu=Terra e Che=Uomo): il Popolo della Terra.
Affermano che non possono permettersi il lusso di aspettare altri 20 anni di trattative burocratiche per trovare una soluzione per la loro gente ridotta in miseria ed alla fame con conseguente deterioramento della qualità della vita. Coloro che non riescono a sopravvivere in campagna, perché impiegati nei grandi latifondi con miseri salari, emigrano in città ma finiscono per andare a vivere nei quartieri più poveri dove la qualità della vita è ancora peggiore, se possibile, che in campagna. Le conseguenze dell’inurbamento indigeno sono evidenti in termini di degrado e abuso di alcool. Questi ragazzi sentono di essere un’etnia che rischia di estinguersi e per questo si battono con forza, per sopravvivere. Rivendicano la rivisitazione dei fatti storici che provocarono la deportazione e la morte dei loro antenati ed il riconoscimento che la Campaña del Desierto fu un enorme massacro, che il generale Roca non sia più celebrato come un eroe ma che passi alla storia come un atroce etnocida.
I giovani continuano il racconto dicendo che l’intervento dello Stato fino ad ora è stato soltanto repressivo. La polizia è intervenuta con molti militari che hanno sparato a bruciapelo ad altezza uomo pallottole di piombo, con un assedio impressionante. Pensavano che sparassero pallottole di gomma invece hanno le prove, erano pallottole vere ed è stata solo una casualità se fino ad ora non ci sono state vittime.
Il governo teme che possano verificarsi altre forme di protesta in altre parti del Paese, con ripercussioni anche in Cile dove i Mapuche subiscono incarcerazioni e torture solo per rivendicare ciò che è giusto.
Chele e Daniela mi raccontano che durante la notte del 18 agosto dell’anno scorso la popolazione di Esquel, dopo aver compreso che la polizia, con camionette ed in assetto antisommossa, stava per intraprendere un’incursione violenta al Lof di Cushamen, si è mobilitata in massa ed è riuscita ad evitare un vero e proprio massacro.
Un altro ragazzo continua la storia affermando che dopo l’inizio della “recuperación” del 13 marzo 2015 Benetton presentò una denuncia per “usurpazione”. Si aprì un’altra causa giudiziale dove i cinque portavoce della comunità, fra cui tre donne, furono imputati secondo la legge di antiterrorismo. Era la prima volta che la Giustizia Provinciale applicava la Legge Antiterrorismo in Chubut. Mi raccontano che non possono circolare da soli per le vie di Esquel altrimenti rischiano di essere catturati dalla polizia e sottoposti a violenti interrogatori, come già successo ad alcuni di loro. Da Chele e Daniela vengo a sapere che quando i ragazzi hanno qualche problema di salute sono costretti ad evitare le cure mediche ufficiali e l’ospedale, esiste sempre il rischio che possano essere riconosciuti ed arrestati. Così quando si ammalano ricorrono all’assistenza di due medici che, di nascosto e di notte, si recano al Lof per prestare le cure di cui hanno bisogno, mettendo a rischio la propria carriera nel caso in cui venissero scoperti.
Il 27 maggio scorso alle 7.30 del mattino, la polizia ed i GEOP (Groupo Especial de Operaciones Provinciales), le forze speciali di operazioni della provincia, sono intervenute con violenza al Lof di Cushamen per uno sgombero forzato. Secondo la radio comunitaria FM Kalewche l’azione violenta della polizia è stata motivata dall’ordine di cattura internazionale che pende nei confronti di Facundo Jones Huala, uno dei ragazzi mapuche, accusato di terrorismo.
A causa di ciò l’intervento delle forze dell’ordine si è svolto con brutalità con gas lacrimogeni e grosse armi: dall’anno scorso i giovani per la giustizia sono terroristi. Sono state incarcerate sette persone, dopo alcuni giorni sei di esse sono state rilasciate, mentre per Facundo Jones Huala, è stata richiesta l’estradizione in Cile. Se ciò avvenisse la situazione si aggraverebbe enormemente dal momento che la legge antiterrorismo in Cile, quella voluta da Pinochet negli anni ’70 ed ancora in vigore, è ancora più dura e repressiva di quella argentina. “Al Lof sono rimaste due donne con quattro bambini circondate dalla polizia- dice Martiniano, il referente della Comunità – per questo motivo abbiamo bisogno che questi fatti vengano diffusi il più possibile”.
I Mapuche sono un popolo fiero e guerriero. Nel 1641 furono gli unici nativi che costrinsero i soldati della Corona di Spagna alla firma del trattato di Quillin e imposero all’invasore il riconoscimento dell’autonomia territoriale della Nazione Mapuche, la Wall Mapu, a sud del fiume Bìo-Bìo. Leggendo le ultime notizie che giungono da Esquel mi vengono in mente le parole del giovane del Lof che mi disse con forte determinazione quel giorno del novembre scorso: “Abbiamo forza sufficiente per proseguire questa lotta. Siamo convinti che queste terre, usurpate dalla famiglia Benetton, un giorno torneranno ad essere nostre.” (10 luglio 2016)