Patto delle donne per l’Europa “L’Europa che verrà” #statigeneralidonne
A partire dalla riflessioni sull’identità e la crisi del progetto politico europeo, vogliamo un’Europa che metta in atto misure concrete e strutturali per risolvere il dramma della disoccupazione femminile e giovanile e rilanci l’occupazione investendo nella difesa e sicurezza del territorio, nell’ambiente e nel paesaggio, nella salute, nell’istruzione/formazione e nella ricerca. Vogliamo un’Europa sociale che contrasti la precarietà del lavoro delle donne,in particolare delle giovani donne e le crescenti povertà, istituendo anche un reddito di base garantito in tutti i paesi membri. Vogliamo un’Europa innovativa che con coraggio ripensi a nuovi programmi di istruzione e di formazione, crei nuovo lavoro, sviluppi l’imprenditorialità delle donne e la leadership. Insieme verso una nuova Europa è la narrazione sull’innovazione, sulla sostenibilità e sulla capacità di rinnovarsi verso un “nuovo inizio”, passo dopo passo, salvaguardando una dimensione locale ma dimostrando una vocazione internazionale.
Disegnare una nuova Europa, partendo da una prospettiva meridionale e con una passione tutta locale, con lo sguardo rivolto a #Matera2019, che si apre al Sud,verso il Mediterraneo. Un viaggio lento percorso con la consapevolezza che puntare sulla cultura è centrale per la collettività e che tutte/i saranno chiamati all’appello, in un grande movimento di energia dove ciascuna/o potrà esprimere il meglio di sé, in quanto l’arte, la cultura e l’espressione creativa sono parte essenziale della vita di tutti i giorni delle persone, per costruire una “comunità resiliente europea” di bambini/e, ragazze/ragazzi, donne e uomini, giovani e anziani, indipendentemente da età, genere, provenienza, status sociale e residenza. Costruire insieme un percorso ampio e suggestivo di sviluppo sociale e urbano delle città, in cui si dà valore alle “economie locali” e alle filiere economico/produttive dove “la cultura diventa la dimensione strutturante dello sviluppo”. Agire per la parità di genere e realizzare sui territori l’obiettivo 5 dell’Agenda 2030, considerato trasversale e in grado di accelerare il conseguimento anche degli altri obiettivi.
E’ ora di cambiare,siamo in campo per questo. Paritarie,libere, rispettose delle prerogative di ogni donna e ogni uomo nel proprio valore umano, culturale, sociale. Il pieno raggiungimento degli obiettivi dell’Europa che verrà potrà attuarsi attraverso le seguenti misure: – considerare le Città il luogo dove realizzare il cambiamento e valorizzare i Beni Comuni; – rafforzare i fondi esistenti dedicati agli obiettivi sociali; – rifinanziare l’Iniziativa per l’Occupazione Giovanile (YEI) ed Erasmus Plus dopo il 2020; – investire nelle competenze digitali e rafforzare la convalida ed il riconoscimento delle competenze e delle qualifiche; – promuovere una rappresentazione equilibrata di genere nei processi decisionali pubblici e aziendali; – promuovere l’integrazione sociale nel quadro di un approccio globale e lungo termine sulle migrazioni, basato sulla solidarietà; – attuare l'”Agenda urbana per l’UE” (Urban Agenda for the EU), al fine di ridurre la marginalizzazione; – incoraggiare il settore privato a svolgere la sua parte promuovendo l’economia sociale e la finanza etica; – istituire un meccanismo europeo per combattere la disoccupazione, come lo “schema europeo di disoccupazione” (European Unemployment Benefit Scheme), come esempio di strumento anticiclico; – creare strumenti per prevenire gli shock macroeconomici ed i loro effetti sociali e occupazionali; – incoraggiare misure per sostenere la produttività e il suo rapporto con i salari; – accogliere i migranti con solidarietà e con azioni concrete promuovere soluzioni vere nei paesi di provenienza; – metterci in gioco e diventare le protagoniste del cambiamento.
Le nostre riflessioni e il lavoro fin qui svolto. Gli Stati Generali delle Donne sono stati convocati a Roma lo scorso 25 marzo 2017 per riflettere sul sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, momento decisivo del processo costitutivo della Comunità Europea,denominazione che si sostituì a quella di Comunità Economica Europea solo in seguito al Trattato di Maastricht del 1992. I sei paesi firmatari, Italia, Francia, Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo, siglarono due trattati: il primo istituiva la CEE, Comunità Economica Europea, al fine di formare un mercato comune europeo, mentre il secondo costituiva la CEEA, Comunità Europea dell’Energia Atomica con lo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli Stati membri relativi all’energia nucleare e di garantire un utilizzo pacifico della stessa.
Oltre a creare uno spazio economico comune basato sulle note quattro libertà,libera circolazione di persone, servizi, merci e capitali, il Trattato si poneva un obiettivo più politico, quello di “porre le fondamenta di un’unione sempre più stretta fra i popoli europei”. Gli Stati Generali delle Donne hanno in questi anni maturato una ampia riflessione sul tema dell’“Europa che verrà” superando l’aspetto celebrativo e si sono interrogati sullo stato attuale delle istituzioni comunitarie, cercando di capire se sarà possibile e come rilanciare il grande progetto europeo attraverso una analisi approfondita delle criticità e la costruzione di un laboratorio per esaminare le prospettive di rilancio, dal punto di vista delle donne. Gli Stati Generali delle donne hanno partecipato ai 60 anni dell’Europa con un laboratorio sperimentale che a partire dall’esperienza italiana è diventata una buona pratica per le colleghe europee attraverso incontri preparatori con la partecipazione del Comitato Scientifico degli Stati Generali delle Donne, esperti/e, parlamentari europei.
Un incontro pubblico si è svolto a Milano, presso la sede del Parlamento europeo il 18 marzo 2019. Il lavoro di analisi svolto finora dagli Stati Generali, attraverso un incontro con migliaia di donne su tutto il territorio nazionale e attraverso la Conferenza Mondiale delle Donne organizzata durante l’Expo nel settembre 2015 ha messo in evidenza come la disuguaglianza economica e sociale stia raggiungendo livelli preoccupanti e come la sfida del futuro debba concentrarsi sulla riduzione del divario fra ricchi e poveri. Una sfida che rimette in discussione l’intero sistema occidentale di accumulo della ricchezza e anche del comportamento di alcune imprese, preoccupate di incrementare esclusivamente i propri profitti senza riconoscere obblighi verso tutti gli stakeholders, siano essi soggetti interni che esterni ad esse, come la comunità locale. Abbiamo ripercorso in questi anni l’operato e la vita di Adriano Olivetti, e da Expo 2015 ci siamo dirette nelle giornate del 24 e 25 gennaio scorso a Matera, capitale europea della cultura.
L’Europa sta vivendo una crisi complessa, che è sia finanziaria che economica ma anche di legittimità democratica delle sue istituzioni. È attraversata da nazionalismi, ondate migratorie, terrorismo. Non sembrano esserci facili soluzioni. Il progetto politico per un’Europa unita che possa andare al di là del mercato unico e dell’unione monetaria è arrivato a un punto di non ritorno? Vogliamo un’Europa che metta in atto misure concrete per risolvere il dramma della disoccupazione femminile e giovanile e rilanci l’occupazione investendo nella difesa e sicurezza del territorio, nella salvaguardia ambientale,nelle azioni di contrasto contro i cambiamenti climatici, nella salute, nell’istruzione/formazione e nella ricerca, in politiche sociali di integrazione e che si misurino concretamente con la violenza maschile di genere. Vogliamo un’Europa che contrasti la precarietà del lavoro delle donne,in particolare delle giovani donne e le crescenti povertà, istituendo anche un reddito di base garantito in tutti i paesi membri. Insieme verso l’Europa che verrà Insieme verso l’Europa che verrà è la narrazione sull’innovazione, sulla sostenibilità e sulla capacità di rinnovarsi verso un “nuovo inizio”, passo dopo passo, salvaguardando una dimensione locale ma dimostrando una vocazione internazionale.
Disegnare una nuova Europa, partendo da una prospettiva meridionale e con una passione tutta locale, con lo sguardo rivolto a #Matera2019, che si apre al Sud,verso il Mediterraneo. Un viaggio lento percorso con la consapevolezza che puntare sulla cultura è centrale per la collettività e che tutte/i saranno chiamati all’appello, in un grande movimento di energia dove ciascuna/o potrà esprimere il meglio di sé, in quanto l’arte, la cultura e l’espressione creativa sono parte essenziale della vita di tutti i giorni delle persone, per costruire una “comunità resiliente europea” di bambini/e, ragazze/ragazzi, donne e uomini, giovani e anziani, indipendentemente da età, genere, provenienza, status sociale e residenza.
Costruire insieme un percorso ampio e suggestivo di sviluppo sociale e urbano delle città, in cui si dà valore alle “economie locali” e alle filiere economico/produttive dove “la cultura diventa la dimensione strutturante dello sviluppo”. Economie locali incentrate sulla costruzione di piattaforme per lo sviluppo di competenze, sulla valorizzazione evoluta del patrimonio culturale ,dell’ambiente e del paesaggio sull’innovazione sociale applicata ai beni culturali, sul turismo culturale responsabile e esperienziale portando l’arte, la musica, l’artigianato, il rapporto tra arte e scienza, le sfide dell’innovazione ad un pubblico vasto, in spazi rurali o in aree inusuali o in disuso, per coinvolgere la cittadinanza nella cura dei beni comuni, nella ricerca di itinerari sconosciuti, nell’adozione di comportamenti civici attraverso esperienze di mappatura, di esplorazione, di gioco e di competizione. Intendiamo qui coinvolgere tutti i Comuni Italiani, le Regioni italiane ed europee nel progetto di rilancio dell’ideale europeo, in particolare per quanto riguarda i settori della sicurezza, immigrazione, clima e ambiente, agricoltura e turismo,rilancio economico, completamento dell’Unione economica e monetaria. Abbiamo sempre considerato l’Europa un’istituzione lontana che si occupa di temi apparentemente marginali, come le norme commerciali, i contributi all’agricoltura, i rapporti con i consumatori finché non è arrivato l’euro che abbiamo accolto con un misto di curiosità e di orgoglio, per la convinzione di entrare a far parte di una potenza economica che ci avrebbe offerto solo vantaggi.
E tuttavia la partenza non fu delle migliori, considerato che bottegai e supermercati ne approfittarono per imporci un rialzo di prezzi su beni di largo consumo. Ma i tassi di interessi scesero ai minimi storici con sollievo non solo per lo Stato, perennemente indebitato, ma anche per famiglie ed imprese che potevano ottenere credito a buon mercato. Ma ben presto le medie e piccole imprese sentirono il peso della concorrenza tedesca e capirono che senza altri provvedimenti di tipo fiscale, doganale, creditizio, atti a colmare le differenze, le unioni monetarie si trasformano in una ghigliottina al servizio delle imprese più forti per decapitare quelle più deboli. Tant’è che in Italia le importazioni dalla Germania crebbero fino a un più 10%, nel 2006, con danno per le nostre imprese. La crisi mondiale del 2008 e l’attacco speculativo ai governi più indebitati hanno sviluppato una crescente avversione verso l’ Europa. Cosa fare adesso? La risposta di parte della popolazione è l’uscita dall’euro.
Ma non tutti con la stessa motivazione. Alcuni solo per recuperare la possibilità di svalutare e riconquistare, per questa via, il vantaggio competitivo che abbiamo perduto. Naturalmente non si può sottovalutare l’esigenza dell’equilibrio commerciale con l’estero, né le pressioni esercitate dal mondo imprenditoriale per vincere la battaglia della competitività comprimendo salari e diritti. Ma fra chi propone di recuperare competitività svalutando i salari e chi propone di recuperarla svalutando la moneta, c’è una terza via, ben più ambiziosa, che è quella di svalutare la competitività. Non possiamo continuare a concepire l’economia come un campo di battaglia dominato dalle imprese in perenne lotta fra loro e mentre combattono riducono diritti, dignità, sicurezza, salute, ambiente. Esiste infatti una terza via che è quella di “convincere ai principi della sostenibilità” e condurre l’attività delle imprese al rispetto di regole fondamentali di tipo salariale, previdenziale, occupazionale, ambientale.
La sfida è cambiare anima all’Europa,”traghettarla” dalla visione mercantilista a quella sociale. Spingerla a farsi promotrice dei diritti attraverso misure che frenano l’aggressività delle imprese più forti e che creano uniformità salariale, fiscale, previdenziale con una logica della cooperazione, della programmazione, della sostenibilità. E più che mirare alla conquista dei mercati esteri dobbiamo puntare al rafforzamento dei mercati interni perché nella logica della sostenibilità le merci devono viaggiare il meno possibile. Uno spazio nuovo dunque dove dare valore alle piccole economie locali che devono produrre in via prioritaria per la gente del luogo. Per la piena occupazione serve un piano programmatico europeo che definisca una nuova Europa a vocazione sociale attraverso misure fiscali, doganali, creditizie per rendere il contesto europeo più omogeneo da un punto di vista salariale, normativo, contributivo. E mentre alcuni studiosi sostengono l’uscita dall’euro in nome della competitività, altri rivendicano il ritorno alla lira per recuperare quella sovranità monetaria che ci potrebbe permettere di risolvere il problema del debito pubblico in alternativa all’austerità. Se disponessimo di una Banca Centrale al servizio della collettività, invece che al servizio del sistema bancario, potremmo attivare varie misure per liberarci del debito pubblico.
Dobbiamo quindi recuperare una sovranità monetaria finalizzata alla piena occupazione e al sostegno dell’economia pubblica, tramite finanziamenti diretti allo Stato. Ma la domanda è se perseguirla in maniera collettiva, come euro zona, o individualmente come Italia che si stacca dall’euro. Crediamo si debba fare di tutto per recuperarla come euro zona riformando la Banca Centrale Europea. Un recupero di sovranità monetaria socialmente orientata, all’interno dell’euro zona, sarebbe innanzitutto un vantaggio di tipo politico. L’Europa va riformata in profondità prima ancora che nella sua impostazione organizzativa, nella sua visione politica. Il suo centro gravitazionale non può più essere il profitto, il mercato, la concorrenza, l’espansione degli affari qualsiasi essi siano. Il centro dell’Europa che verrà deve essere la persona e l’ambiente in modo da promuovere forme di investimento, di produzione, di consumo, di fiscalità, di spesa pubblica, che tutelino l’interesse generale, la pace, la salute, la qualità della vita, il soddisfacimento dei bisogni fondamentali per tutti/e, i beni comuni, i diritti dei lavoratori/ici, l’inclusione sociale e lavorativa, il superamento degli squilibri territoriali, le economie locali, la cooperazione internazionale, la partecipazione, la democrazia,l’uguaglianza.
Occorre un #Patto per le Donne per l’Europa che verrà E’ ora di cambiare,siamo in campo per questo. Paritarie,libere, rispettose delle prerogative di ogni donna e ogni uomo nel proprio valore umano, culturale, sociale. La situazione italiana mette però in evidenza una situazione drammatica per quanto riguarda l’occupazione e il crescere di nuove povertà. Anche la differenza delle retribuzioni tra i sessi ha registrato uno dei maggiori aumenti durante la crisi. Inoltre il mercato del lavoro continua a penalizzare le madri: le donne con un figlio hanno meno probabilità di lavorare di quelle con tre in ben 14 altri paesi europei. L’andamento della povertà assoluta tra le donne durante la crisi è coerente con quello registrato nel resto della popolazione. Nel 2005 viveva in povertà assoluta il 3,5% delle donne, percentuale molto simile a quella di tutti i residenti in Italia (3,3%). Una quota che nel 2009 era salita al 4%, sia per le donne che per l’intera popolazione.
Nel triennio successivo per le donne si arriva fino al 5,8%, per poi superare il 7% nel 2013, livello su cui si attesta anche oggi. Ma questo dato complessivo nasconde ulteriori situazioni di disagio sociale che riguardano in particolare le donne. Continuano a emergere la difficoltà di gestire al meglio il tempo del lavoro e la cura della famiglia e la differenza salariale tra i sessi che,seppure più contenuta rispetto ad altri paesi europei, in Italia ha registrato uno dei maggiori aumenti durante la crisi. Il divario nelle retribuzioni è peggiorato in cinque paesi e l’Italia è tra questi; gli altri sono Portogallo,Lettonia, Bulgaria e Spagna. In Italia è ancora evidente la difficoltà di accedere al mercato del lavoro, soprattutto per le madri. In Danimarca lavora l’81,5% delle donne con tre figli, quasi il doppio delle italiane, che sono il 41,9%.
Da noi ha un lavoro il 56,7% delle donne che hanno un figlio, una percentuale ben più bassa delle lavoratrici con tre figli non solo in Danimarca ma anche in Slovenia (79%), Svezia (78,1%) e altri 11 stati dell’Unione europea. Da questo punto di vista pesa la carenza di politiche per la promozione del lavoro femminile e del diritto alla maternità. In un decennio la quota di bambini residenti in Comuni che offrono il servizio di asilo nido ha quasi raggiunto l’80%, ma quelli effettivamente iscritti non arrivano al 12%, segno che il numero di strutture è insufficiente. Ma anche che persistono altri ostacoli come le rette troppo alte e altre barriere culturali che relegano le donne al lavoro di cura. Link sito istituzionale Stati generali delle Donne dove è possibile accedere ai nostri documenti che indicano il percorso finora svolto http://www.statigeneralidelledonne.com Pagina Facebook https://www.facebook.com/groups/1427604680829903/?fref=ts Canale Youtube https://www.youtube.com/watch?v=j4jj8_unOzk