Per Marina Pivetta. L’anima e il volo
Avevo programmato di andare in questa primavera a Castelluccio per fare una visita a Marina come le avevo promesso per telefono. Purtroppo non c’è stato il tempo. “Non mi potei fermare per la Morte allora Lei si fermò per me” ha scritto in una sua poesia Emily Dickinson.
Desideravo ugualmente tener fede alla promessa e ne avevo parlato con un amico, autore teatrale come me: Rosario. Abbiamo debuttato insieme, molti anni fa, al Teatro dell’Orologio. Gentilissimo e dolcissimo mi ha proposto di accompagnarmi lui, con la macchina, da Roma al piccolo cimitero di Castelluccio. Ora non so come evolverà la situazione sanitaria e quando potremo farlo. Forse in autunno, quando i colori dei castagni risplendono.
Ultimamente, la mattina, inviavo a Marina dei piccoli messaggi. Lei era contenta di riceverli e io di mandarglieli. Poi il cellulare è restato muto ma lei mi aveva detto che doveva fare un controllo all’ospedale di Porretta. Non vedevo l’ora che tornasse per sapere com’era andata. Ero un po’ in pena ma cercavo di essere ottimista. Il silenzio del cellulare era assordante. Poi Stefano ha chiamato e…
Anche adesso è difficile trattenere le lacrime. Non le trattengo le lascio scorrere.
Desidero ricordare qualcosa in più di Marina e dei miei soggiorni a Castelluccio nella sua casa natale.
Quando, diversi anni fa, mi affittò la casa sopra di lei (si sa i bambini hanno bisogno di aria pura e io, madre novellina, pensai che era il posto giusto per una bimbetta in crescita) mi chiese se avevo paura degli scorpioni. Pensai fosse una battuta. Invece gli scorpioni c’erano e tanti!
Durante l’estate venne ospite un’amica francese che non ne aveva paura e li ammazzava con disinvoltura. Gli scorpioni abitavano sotto il pavimento della bellissima terrazza della casa che si apre sulla valle. È stata restaurata e sono scomparsi.
C’era un vecchietta al di là del giardino di Marina che sembrava uscita da una fiaba. Spazzava con la scopa di una volta, quella di saggina. Castelluccio vantava numerosi centenari tra cui lei.
Da me veniva a lavare la biancheria una signora che sbatteva i panni con piglio sicuro sul piano di pietra.
Ricordo anche il papà di Marina: Giovanni. Era pittore e schizzò un ritratto di mia figlia. Lo conservo con cura.
Vennero a trovarmi varie amiche. Loredana, quando arrivò, urlò dal basso della collinetta che conduce alla casa: “Ma dove ti sei andata a cacciare?!” Con questa premessa, inutile dire, le cose non andarono per il verso giusto e si litigò.
Venne poi in visita Lucia che, sapendo la mia scarsa propensione per i fornelli, corse subito a fare la spesa cucinando lei ottimi pranzetti e cenette.
Venne poi a trovarmi un’attrice bolognese: Angela Baviera. Parlammo di un progetto teatrale, “Album”, che si è poi felicemente realizzato. Anche lei, come Marina, adesso non c’è più.
Il sabato, a Porretta Terme che si trova a valle e si raggiunge anche con la corriera, c’era la fiera. A Marina piaceva andare, anche a me piaceva. Io facevo incetta, in un banco, di tovaglie, lenzuola e… “burrazzi”. “Burrazzi, burrazzi!” gridava il venditore. Sono gli strofinacci in dialetto. Sapevo cos’erano perché la mia nonna era emiliana.
I mariti, non a causa di Marina ma mia, si innervosivano perché arrivavo sempre tardi all’appuntamento prefissato. È un classico, diciamo! Era irresistibile per me attardarmi al mercato perché c’era anche il banco dei bottoni e dei merletti dove mi piaceva sostare e frugare. Non a caso ho scritto un testo teatrale per bambini che ha per protagonisti proprio i bottoni.
A Porretta c’era anche un altro luogo che attirava sia Marina che me: un robivecchio. Lì, l’ultima volta, ho trovato un vecchio cavalluccio a dondolo da pochi soldi. Ora è qui, a Roma, nella mia camera. Qualcuno ebbe da ridire su questo acquisto. Marina, no: sorrise. Era indulgente con l’umanità e lo era con invidiabile naturalezza.
È stato un dono della vita averla conosciuta e frequentata. Credo che Marina sia come l’acqua, come il cielo, come le nuvole, le stelle e come l’aria che respiri. Indispensabile al cuore e alla mente.
Che gran regalo della vita, ripeto, è stato conoscerla e frequentarla!
Chissà se per assonanza di nome io mi sia innamorata perdutamente della poetessa russa Marina Cvetaeva (vissuta durante la Rivoluzione) cui ho dedicato uno dei miei primi lavori teatrali e mai più l’ho abbandonata. Lei scriveva: “Dovere dell’anima è il volo”. Un impegno che la nostra Marina ha adempiuto in pieno seppur ben salda sulle proprie gambe.
Il Castello Manservisi è il polo di attrazione di Castelluccio. Marina e Stefano, suo marito, si sono prodigati molto per farlo divenire il polo culturale quale è. Ha qualcosa di bello ma nello stesso tempo di sinistro, ed è questo che lo rende particolarmente affascinante. Potrebbe essere abitato dalle fate ma anche dalle streghe. O forse si tratta di una felice coabitazione delle une con le altre.
Nel Castello Pupi Avati ha girato il film “Una gita scolastica” e ricordo che una volta è venuto Guccini a visitarlo per un suo progetto. Il cantautore, infatti, vive ritirato nell’Appennino tosco-emiliano non lontano da Castelluccio.
Marina, grazie anche alla partecipazione della sorella, ha contribuito ad arricchire il piccolo ma prezioso Museo Laborantes di Castelluccio.
Un anno non sono potuta andare, con la bambina, a casa di Marina e ho affittato un’altra casa. Una notte non dormii e guardai fissamente le montagne dalla finestra. Capii che la solitudine mi pesava troppo. Il mattino dopo mi sono recata all’Ospedale di Porretta per parlare con qualcuno. Scelsi la ginecologa perché era l’unica donna. Lei, ironicamente, mi disse che sarei dovuta andare a Saint Tropez, non tra i monti! I monti, secondo me, non c’entravano anche se di notte possono apparire minacciosi. Un conto era la casa di Marina che irradiava luce e respiro, un conto un’anonima casa spersa tra le montagne.
L’ultima volta che sono stata da Marina a Castelluccio, nell’estate di due anni fa, ho visto attaccata alla parete della cucina una simpatica forma da dolci che rappresentava un curioso personaggio. Non ho fatto in tempo a dire “Che carina!” che lei l’ha staccata dal muro e l’ha messa nelle mie mani.
Mi manca enormemente il fulgore della sua intelligenza e la ricchezza interiore della sua anima. E poi c’è stata tutta l’avventura giornalistica che ci ha viste fianco a fianco a partire da “Quotidiano donna” fino a oggi con “Il Paese delle donne”. Abbiamo anche ideato e realizzato un libro: “Il mio segno la mia parola” in cui sono raccolte tutte le scritte sui muri della storica Casa delle donne in Via del Governo Vecchio, fotografate da Luisa Di Gaetano e Gabriella Mercadini.
Marina sapeva illuminare i cuori. Aveva la capacità speciale di andare oltre i luoghi comuni, ma questo andare oltre non aveva niente di provocatorio, era istintivo e limpido come una fonte cristallina di montagna che sgorga da sé. Infine devo confessare che sarà difficile andare avanti senza di lei. Era un faro che rischiarava la notte di tanti navigatori, compresa me. Marina era sempre un passo avanti: ma senza calcolo, senza fanatismo. Lo era e basta.
Lei era sapientemente saggia e dunque aperta anche alle irregolarità.
Marina aveva perso presto la mamma. Marina era molto pudica e riservata ma qualcosa della sua mamma mi ha raccontato. Ultimamente, non so perché, io vado, con pochi elementi, su questa sua mamma fantasticando…