Perché in Spagna sì e in Italia no?
Questa una riflessione sulla situazione politica ma anche culturale fatta assieme a Nadia Somma
Il vento del cambiamento soffia forte ma non in Italia bensì in Spagna. Se nel Belpaese il ministro dell’Interno Matteo Salvini, in perenne comizio elettorale, si lascia andare a battute sessiste e da spirito di patata “sulle femministe che starebbero meglio col burqa” e il ministro Fontana vuole le donne italiane in funzione sforna figli, a colmare il vuoto delle culle da cui pare essere ossessionato, in Spagna le cose vanno in maniera completamente diversa.
Nella vicina, cattolica e mediterranea Spagna, dove per quattro anni dal 2004 al 2008 si era sognato con il governo Zapatero per poi ripiombare nell’incubo destrista di Rajoy ora si torna a sperare grazie all’esecutivo del socialista Pedro Sanchez, ancora più avanzato di quello zapaterista: undici ministre su diciassette totali. Alle donne vanno i dicasteri di Economia, Lavoro, Esteri, Finanze e Giustizia e Carmen Calvo è vicepremier e ministra dell’Uguaglianza. Un record che il primo ministro socialista Sanchez strappa persino alla Finlandia.
Stiamo parlando della Spagna, la machista e cattolicissima Spagna e dovremmo cominciare a domandarci perchè questo non sta avvenendo in Italia. “Il modo più comune in cui le persone rinunciano al loro potere è pensare che non ne abbiano” sostiene la scrittrice afroamericana Alice Walker, autrice de Il colore viola.
Si scrive persone in generale ma noi pensiamo che la frase riguardi in particolare le donne, e qui in Italia, in questo momento storico, che riguardi parecchio chi tra le donne si dice femminista, spesso sfidando il senso comune malevolo che da circa un ventennio getta discredito su questa definizione.
In Spagna non si tratta solo di sensibilità dei partiti o dell’impegno delle donne nelle formazioni politiche e nelle istituzioni: la penisola iberica è stata scossa profondamente, negli ultimi anni, da tentativi di cancellare diritti importanti (esattamente come sta avvenendo adesso in Italia).
Dalla legge per l’interruzione della gravidanza (https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/31/aborto-contro-legge-spagnola-scendono-in-piazza-primo-febbraio/863656/) alla vergognosa sentenza del tribunale di Pamplona, che ha riportato alla nostra mente lo scempio e l’ingiustizia tutte italiane ritratte nel documentario Processo per stupro https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/04/30/spagna-le-sorelle-lottano-insieme-in-gioco-ce-la-credibilita-delle-donne-violentate/4324897/.
Ma ogni volta che si è provato ad attaccare l’autodeterminazione femminile la reazione delle donne spagnole è stata compatta e puntuale: anche se non sempre i numeri sono sinonimo di qualità nella lotta, le strade spagnole sono state percorse da maree di corpi di donne, (e da molti uomini), che hanno espresso con coraggio e determinazione la loro contrarietà alla pericolosa deriva culturale della minimizzazione delle molestie nei luoghi di lavoro, dell’azzeramento dei diritti riproduttivi, del sessismo e machismo che tirava su la testa.
Le scintille sprigionate dagli appelli Metoo e Time’s up hanno trovato adesione di massa da parte dei movimenti delle donne spagnole, che di certo, come dovunque, avranno differenze e conflitti tra loro ma che sono stati capaci di andare oltre le divisioni e hanno convinto milioni di donne, anche non femministe dichiarate, a manifestare insieme. L’8 marzo scorso in 5 milioni sono scese nelle strade aderendo allo sciopero delle donne con una mobilitazione inedita che ha portato al centro dell’ agende politica spagnola la questione delle disuguaglianze di genere, dalle molestie e i ricatti sul lavoro, al divario sugli stipendi, ai femminicidi, e a tutte le discriminazioni che colpiscono le donne. Il vento spagnolo del cambiamento potrebbe soffiare forte anche in Italia se il femminismo italiano, che ovviamente è diviso da visioni diverse sulle libertà e l’autodeterminazione, (pensiamo per esempio ai forti conflitti su gpa e prostituzione) trovasse unità nell’obiettivo, ora primario, di scongiurare i pericolosi attacchi ai diritti delle donne conquistati nei decenni scorsi, messi in questione anche dai governi precedenti. Il dominio sessista maschile e patriarcale è un gigante dai piedi d’argilla che si regge, in particolare, su un piedistallo: il non riconoscimento, e quindi la rinuncia delle donne alla propria forza.