VALGONOIl libro della giornalista Sabrina Scampini in uscita il 31 marzo con Cairo editore tratta proprio questo argomento.

Se pensate che il femminismo abbia ormai fatto il suo tempo e non serva più a nessuno, se credete che tutto sia già stato conquistato, allora perché le donne in Italia continuano a guadagnare complessivamente meno della metà degli uomini? Perché pochissime ricoprono incarichi rilevanti e quasi mai riescono a mantenere la posizione lavorativa dopo la nascita del primo figlio (per non parlare del secondo)?
La classifica mondiale sul gender gap nel mondo del lavoro – vale a dire la differenza tra uomini e donne – parla chiaro: siamo i peggiori tra i Paesi avanzati, eppure è come se non ce ne rendessimo conto. C’è chi pensa che la conquista del diritto al voto, le leggi sul divorzio e sull’aborto bastino per parlare di uguaglianza.
Negli ultimi due anni Sabrina Scampini è diventata due volte mamma: ha scoperto che amiche e colleghe non esageravano quando le raccontavano le giornate tra corse all’asilo, ritardi in ufficio e le faccende quotidiane che non finiscono mai. Ha capito che diventare madri non è solo un’esperienza meravigliosa, ma anche terribilmente complicata se vuoi continuare a lavorare.
Come giornalista si è sempre occupata di violenza contro le donne: dalle vessazioni domestiche al femminicidio, fenomeno allarmante che spesso nasce dall’incapacità degli uomini di accettare la libertà o il rifiuto delle loro compagne. E che in qualche modo riguarda quell’emancipazione femminile non interamente realizzata.
Questo libro parte dai numeri: dalle differenze salariali, alla latitanza nei ruoli manageriali, alle schiere di mamme che abbandonano il lavoro, fino ai dati sconvolgenti delle vittime quotidiane della violenza maschile. E i numeri raccontano una realtà scomoda, che però va guardata negli occhi per compiere il cammino che ancora ci aspetta.

Scheda sull’autrice
Sabrina Scampini (Legnano, 1976) è giornalista, autrice e conduttrice televisiva. Laureata in lingue con specializzazione in Scienze della Comunicazione alla Cattolica di Milano, ha lavorato come editor nelle fiction tv e come giornalista e autrice per diversi programmi televisivi. Tra questi Matrix su Canale5 e Quarto Grado su Rete4, dove ha seguito i grandi casi di cronaca degli ultimi anni, con particolare attenzione ai femminicidi e alla violenza contro le donne.

Mancano 118 anni al giorno in cui uomini e donne raggiungeranno la parità. È un po’ come sapere che nel 2550 si potrà vivere per sempre in un’altra galassia.
STESSO LAVORO, STIPENDIO DIVERSO Meno del 47 per cento delle donne lavora, contro il 65 per cento degli uomini. In Europa il rapporto è 63 e 75. Non ci sono solo meno donne occupate rispetto agli uomini, ma quando lavorano lo fanno molto meno: il part time non è un trattamento di favore, bensì uno strumento di discriminazione. Se consideriamo il guadagno totale, una donna guadagna 0,47 euro per ogni euro guadagnato da un uomo.
NON E’ UN PAESE PER DONNE Il Grande Nemico dell’emancipazione a casa nostra è la cultura dominante: una concezione maschilista della gestione della casa, della famiglia, dei ruoli nella coppia, nel lavoro. La donna forte è una stronza, l’uomo forte è un buon capo. Una donna che sta per diventare madre non può essere competitiva, un uomo che sta per diventare padre sarà più maturo. La parità ormai non basta più, quel che conta è la differenziazione: i molti diritti che mancano devono essere conquistati nel rispetto della propria identità, in modo che essere donna non sia mai più un ostacolo o un limite.
POCHE OPPORTUNITA’ E PAGATE MENO Su 145 Paesi nel mondo, siamo 111esimi nella classifica per quanto riguarda la partecipazione economica. Siamo i peggiori tra i Paesi sviluppati e non è semplice cambiare la situazione: la possibilità per una donna di migliorare la sua posizione lavorativa e conquistare posti di comando raggiunge nella classifica il livello di 3,5 su un minimo di 1 e un massimo di 7.
Per una donna è ancora difficile conquistare ruoli di comando: sono solo il 29 per cento tra i dirigenti mentre gli uomini sono il 71 per cento. La questione non si riferisce solo alla differenza tra i salari degli uni e quelli delle altre: qui si parla di libertà, perché a questo conduce l’indipendenza economica. Una persona è libera se può scegliere di vivere da sola, pagarsi le bollette e provvedere a se stessa e ai propri figli.
La ricchezza persa nel mondo a causa delle differenze di trattamento di genere è stimata 9 mila miliardi di dollari. Si perde il 5 per cento del Pil in Usa, il 34 in Egitto, il 15 in Italia.
SIAMO TUTTE CASALINGHE Il più grande limite all’emancipazione nel nostro Paese è rappresentato dal tempo che le donne dedicano alla cura della casa e della famiglia: svolgono da sole il 75 per cento del lavoro non retribuito: 315 minuti al giorno, mentre gli uomini solo 104.

LA MATERNITA’: UN LIMITE ALL’EMANCIPAZIONE Una donna può continuare a essere competitiva nel lavoro anche dopo aver avuto un figlio senza vestire i panni di Wonder Woman, ma non in Italia. In tutti i Paesi in cui questo avviene ci sono leggi che riguardano il ruolo del padre nella gestione dei figli. Perché quando un bambino sta male è sempre la madre a stare a casa dal lavoro? Per quale motivo quando nasce un bambino la madri hanno diritto a 5 mesi retribuiti e i padri solo 2 giorni?
Se il 30 per cento delle donne occupate lascia il lavoro dopo la gravidanza, vuol dire che non si tratta di pochi casi isolati, ma di un fenomeno preoccupante. Tra le donne che hanno un figlio, solo il 58 per cento lavora contro il 73 per cento della Danimarca. Con 3 figli, in Svezia lavora il 76 per cento delle madri, in Italia il 35.
LE MADRI DEL MOBBING Negli ultimi 2 anni i casi sono aumentati del 30 per cento. In questo periodo sono state licenziate o costrette a dimettersi 800 mila donne e almeno 350 mila sono state discriminate per via della maternità.
POVERE PENSIONATE Le ripercussioni non sono solo sul presente, ma anche sul futuro perché un salario inferiore significa una previdenza più bassa e dal momento che le donne vivono mediamente più degli uomini, questo genera una povertà diffusa in tarda età.
Il reddito da pensione di un ultra 65enne maschio supera quello femminile del 40 per cento. La pensione della maggioranza delle donne (più del 50 per cento) non raggiunge i 1000 euro e più del 15 per cento ne prende meno di 500.

LA POLITICA NON è ROS(E)A Da quando le donne hanno ottenuto il diritto al voto nel 1946, solo 23 donne hanno ricoperto incarichi istituzionali importanti. Questa legislatura ha la presenza femminile in Parlamento più alta mai raggiunta: il 30 per cento e il 50 per cento di donne ministre. Un grande successo? Niente affatto. Se analizziamo la composizione del parlamento, la percentuale scende dal 30 al 16 per cento per i ruoli più importanti.
Gli uomini continuano ad avere il 79 per cento degli incarichi istituzionali. Chi sta peggio sono i comuni: solo il 13 per cento è amministrato da donne e c’è una sola donna sindaco di capoluogo di regione.

EMANCIPAZIONE E FEMMINICIDIO Emancipazione femminile e femminicidio sono dunque due concetti opposti, ma legati tra loro. Se la prima comporta una maggiore consapevolezza di sé, autonomia e libertà, ecco che diventa una delle maggiori “questioni” che riguardano il secondo. Una donna forte, che non ha bisogno di un uomo accanto per sopravvivere emotivamente ed economicamente, può fare paura e destabilizzare un certo tipo d’uomo. Se una donna diventa improvvisamente indipendente, inizia a rivendicare spazi mai avuti e ad avere “pretese” di libertà. Questo può far scattare reazioni incontrollabili nella mente dell’uomo “controllore” e “possessore”.
In Europa hanno subito una violenza il 33 per cento delle donne adulte; Nel nostro Paese quasi 7 milioni di donne hanno subito nel corso della propria ita una violenza fisica o sessuale.
LE INTERVISTE

Quattro donne italiane raccontano il loro percorso e parlano di emancipazione e opportunità.
Bianca Berlinguer: “Perché nella famiglia si deve dare per scontato che si debba sempre sacrificare la donna?”.
Samantha Cristoforetti: “Durante le esercitazioni ho detto che avrei accettato di mettere le scarpe rosa se lo avesse fatto il mio comandante. Me ne hanno subito date altre blu”.
Gina Nieri: Devo dire che non credo ai soffitti di cristallo: ormai ognuna di noi mette a disposizione della propria carriera tutto quello che mette un uomo”.
Roberta Pinotti: “Mi chiamavano solo quando si parlava di scuola, istruzione, pari opportunità. Questo è uno dei limiti culturali più grandi: credere che non possiamo affrontare certe questioni”