Perché ROMA non ha un regolamento comunale che disciplini la collaborazione fra cittadin* e amministrazione? Migliaia di firme per una proposta di delibera di iniziativa popolare
Abbiamo ricevuto e lo proponiamo alla pubblicazione su Il paese delle Donne informazioni e i documenti relativi alla Delibera di iniziativa popolare che è stata depositata in Campidoglio mercoledì 4 aprile 2018 in rappresentanza della “COALIZIONE PER I BENI COMUNI”, una rete informale di oltre 100 realtà romane, che si è costituita con l’obiettivo di raccogliere le firme per una Delibera di iniziativa popolare per l’adozione del regolamento per la gestione condivisa dei beni comuni. La proposta si rifà all’esperienza di Labsus – Laboratorio per la Sussidiarietà.
La proposta, come accennato, è stata depositata mercoledì mattina in Campidoglio ed ora ci sono circa 90 giorni di tempo per raccogliere le 5000 firme necessarie a validarla (scadenza 30 aprile).
Il lavoro di raccolta firme è stato impostato sui Municipi e per ogni Municipio ci saranno una o più associazioni che coordineranno il lavoro di raccolta firme.
Si tratta di un progetto importante per arrivare ad avere anche a Roma un regolamento per la gestione dei Beni Comuni.
I due documeni depositati presso il Segretariato Generale del Comune sono scaricabili da Google Drive cliccando sui seguenti link:
- PROPOSTA DI DELIBERA DI INIZIATIVA POPOLARE
- RELAZIONE ILLUSTRATIVA DELLA PROPOSTA DI DELIBERA DI INIZIATIVA POPOLARE
Foglio raccolta firme (stampare in formato A3) (doc. allegato + link: https://drive.google.com/open?id=1dDtvtNXFDgB3dY_2huOaYbYAFQIviSSN )
Se il progetto e di vostro interesse comunicatelo al più presto al seguente indirizzo:coalizioneperibenicomuni@gmail.com
Per eventuali chiarimenti potete telefonare a Maurizio Colace (348 2237577) o a Katiuscia Eroe (389 5826326)
La presentazione della Coalizione per i Beni Comuni è avvenuta il 12 gennaio 2018 – Perché Roma non ha un regolamento comunale che disciplini la collaborazione fra cittadini e amministrazione? Bologna lo ha adottato a febbraio 2014 da una collaborazione con Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà) e dopo la Dotta altre 135 città italiane hanno seguito questa strada, adattando il modello alla propria realtà proprio come stanno facendo in questi mesi Milano e Palermo, prossime all’approvazione.
Da qui l’idea del terzo settore capitolino di scendere in campo una volta per tutte: contro la determina di agosto e a favore di un regolamento che manca, in barba alla Costituzione che invece impone ai soggetti pubblici di «favorire le autonome iniziative dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale», come riporta l’articolo 118, ultimo comma.
Il motore del Regolamento per la collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura, la rigenerazione e la gestione in forma condivisa dei beni comuni sono i patti di collaborazione, atti amministrativi il cui contenuto è simile a quello di un contratto tra associazioni e Comune, nel quale vengono indicati impegni, soggetti, controlli, mezzi eccetera, in modo tale che tutti possano vedere come i cittadini attivi intendono prendersi cura di un determinato bene comune, come un parco o una scuola. In altre parole: l’amministrazione riconosce l’autonomia civica del cittadino e con esso stipula un patto di fiducia nell’interesse generale della cura della cosa pubblica.
Serviranno 5 mila firme valide entro fine aprile, «ma ne dobbiamo raccogliere 50 mila», ha dichiarato durante l’assemblea del 12 gennaio Gregorio Arena, presidente di Labsus e tra gli ideatori del regolamento che si sta diffondendo in tutta Italia, «perché ci stanno impedendo di prenderci cura della nostra città e serve una risposta simbolica. Dobbiamo uscire da questa idea che il cittadino sostituisce lo Stato che non garantisce i servizi. È vero che noi contrastiamo il degrado occupandoci della cosa pubblica, ma lo facciamo perché ci piace, perché ricostruiamo un senso d’appartenenza e una coesione sociale. Così facciamo integrazione e rinsaldiamo i legami comunitari che stanno sparendo».
Le associazioni non vogliono chiedere l’autorizzazione per prendersi cura di qualcosa che già gli appartiene. «Occupandoci della cosa pubblica diamo anche un segnale ai nostri figli, perché se anche papà pulisce il parco è più importante che se lo pulisce solo l’operatore del Comune. Così nascono le coscienze civiche. Questa non è una giustificazione per quelle città dove i servizi sono inefficienti, ma uno stimolo a migliorare».
Le associazioni che hanno aderito alla Coalizione per i Beni Comuni ci tengono a sottolineare che andranno avanti comunque con la raccolta firme. Perché continuare a far sentire pressione alle istituzioni può essere utile per accorciare i tempi, nel caso in cui la macchina amministrativa si metta davvero in moto.