In questo incontro dedicato alla nostra relazione con il telefono cellulare, il web e i social media, affrontiamo il tema di come il troppo tempo che trascorriamo online influisca sul nostro benessere psico-fisico. Partendo dalla parola troppo, che ci ha già ci detto tutto, e dal fatto che gli algoritmi delle piattaforme su cui di muoviamo, Facebook, TikTok, Instagram, YouTube, influenzano la nostra esperienza online, come ci tuteliamo in termini di benessere fisico, mentale e sociale, dalle eccessive sollecitazioni che ci vengono inviate e dai contenuti disturbanti che ci somministrano sempre più di frequente?

Tutelare salute e benèssere dalla sovraesposizione a contenuti indesiderati e dalle “proposte” degli algoritmi di social e rete web è una questione fondamentale, perché gli algoritmi nascono proprio per profilare le/gli utenti allo scopo di presentare unicamente contenuti che i modelli matematici “ritengono” essere attinenti ai nostri interessi, in certa maniera imparando dalle nostre azioni.

I contenuti dei social che vediamo non ci vengono inviati per farci felici; all’opposto, servono a monetizzarci, ovvero a tenerci quanto più a lungo possibile impegnati su quella tal piattaforma (in gergo tecnico si chiama engagement), a guardare video, leggere post e saltare da un contenuto all’altro in un’esperienza che di fatto non stiamo scegliendo ma che è comunque capace di captare e a volte perfino letteralmente di catturare la nostra attenzione. Si apre proprio qui la questione o, meglio, il problema etico, relativo al fatto che questo modo di progettare il funzionamento delle piattaforme provochi in molte persone compulsioni e dipendenze.

Fruire continuamente e per lunghe ore di video e/o post testuali e/o immagini che non abbiamo scelto, inframezzati da una valanga di pubblicità calibrate sulla base delle nostre “presupposte” preferenze, fa male alla salute fisica e a quella mentale.

Parliamo di disagi più o meno gravi come ansia, preoccupazione, aggressività, nervosismo, depressione, senso di solitudine, crisi di identità, e per non farci mancare nulla, anche una pericolosa insoddisfazione per la propria immagine, un problema che riguarda prevalentemente le ragazze, giovani e giovanissime, ma anche le donne, ed è legato alla sovraesposizione alle immagini e ai messaggi stereotipati, sui corpi delle donne e sulle attitudini femminili, che purtroppo in rete abbondano e girano impunemente.

Ma come riescono a catturare la nostra attenzione, al punto da renderci dipendenti? Le macchine, gli algoritmi, le intelligenze artificiali, ci presentano determinati contenuti dopo aver derivato, anche erroneamente, un nostro “possibile” interesse dall’interpretazione dei nostri tempi di sosta su contenuti simili o dalle ricerche che facciamo online attraverso l’analisi testuale delle parole che digitiamo.

Entriamo qui nel campo dei token degli algoritmi, dove i sistemi informatici scompongono le nostre parole in piccoli pezzi, affinché le IA, le intelligenze artificiali, possano rilevare relazioni semantiche che consentono di “dedurre” i nostri interessi. Ad esempio, se online abbiamo digitato la parola “separatamente” questa potrà essere suddivisa in “separata” e “mente” consentendo alle macchine learning (macchine di apprendimento degli algoritmi) di utilizzare la parcella “mente” nell’ambito di una gestione frammentata.

Ovviamente, nel mondo reale questi frazionamenti non hanno senso, ma per chi lavora con codici matematici e calcoli infiniti o infinitesimali, anche quelle frazioni rappresentano una valida possibilità di aggancio ai nostri interessi, ed ecco che partono gli invii di contenuti di quel sistema di “raccomandazione” dei social, che attraverso dei filtraggi ci inserisce in quelle che vengono chiamate bolle o echo-chamber. In altre parole, aree di presunto interesse delimitate quando non striminzite.

Ne deriva, come avremo già in molte e molti notato, che l’interazione una volta prevista tra persone, oggi si trasforma nell’interazione tra persona e contenuti. Questo grazie agli aggiornamenti che Meta, la società proprietaria di Instagram e Facebook, apporta soprattutto dopo l’arrivo della concorrente TikTok.

I social media, oggi, sono a tutti gli effetti uno strumento di intrattenimento e non importa che giovani e giovanissimi affermino ostinatamente di non guardare mai “la tele”, declassata a inutile tecnologia da dinosauri, perché di fatto ne guardano la sua versione più moderna, tascabile e molto più condizionante, perché sempre a portata di mano attraverso il cellulare.

Così i social di oggi, a vent’anni dal loro prima comparsa, di fatto separano quello che originariamente volevano unire (le persone), creando esperienze online solitarie e separate invece di costruire comunità. Ed è per questo che anche se nelle piattaforme siamo collegati ai nostri “amici”, spesso, spessissimo, non vediamo i loro post.

Se il macrosistema (quello che postano tutti gli utenti del mondo) sovrasta e annulla il microsistema (quello che postiamo noi e i nostri mini-circoli online), ecco che ciò che avevamo scelto di tenere vicino, di fatto sbiadisce in favore della visualizzazione dei contenuti che per gli investitori della rete sono ovviamente più profittevoli.

Come ne usciamo? È necessario interagire attivamente, con intelligenza umana e personale, con i contenuti che incrociamo, imparando a gestire e orientare gli algoritmi variegando le nostre abitudini online, usando like e #hashtag, agendo attivamente con i canali, i siti, i temi e gli argomenti che veramente desideriamo approfondire e, soprattutto, decidendo di trascorrere meno tempo online.  Se non si vivono già situazioni di dipendenza o di panico da disconnessione (per intenderci, timori del tipo “se non posto non esisto”), stati che richiedono interventi di aiuto più professionali, sani momenti di digital detox, ovvero spazi quotidiani di allontanamento dai dispositivi che ci portano online, contribuiscono a ribilanciare le nostre giornate e a restituire all’esperienza in rete la funzione positiva di strumento al servizio delle nostre necessità.

Anche se non ce ne accorgiamo, infatti, a volte abbiamo davvero bisogno di silenzio, di rimanere con i nostri pensieri per riconnetterci con noi stesse/i e con l’ambiente circostante. Allontanarsi dalla costante stimolazione digitale (notifiche, e-mail, messaggi, social media) e schiarire la mente è fondamentale per i nostri equilibri.

Così facendo, si esce dai condizionamenti della sovraesposizione e si proteggono benèssere fisico e psicologico da quella sensazione di appesantimento che l’overdose da iperconnessione incolla alle nostre giornate, e si recupera quella qualità del vivere, dove a fare da base sono le relazioni e una gestione del tempo che ci consenta di conciliare i nostri impegni e di coltivare i nostri interessi più veri e reali.