Piazza bella piazza
Oggi le e gli studenti torneranno a riempire le strade e le piazze del nostro malridotto Paese per ribadire, inascoltati dal governo, il loro punto di vista sulla “riforma” dell’università pubblica. Che la manifestazione sia importante lo si capisce dalla foga con cui gli esponenti dei partiti di maggioranza provano ad alimentare paure e a criminalizzare chi vuole manifestare.
_ Tanto che il capo dei senatori pidiellini propone la “prevenzione carceraria” nei confronti di chi si presume possa commettere atti violenti (che qualcuno per favore ricordi al sen. Gasparri che non siamo ancora tornati agli anni ’30!) e che, per alzare la tensione, vengono create inopportune zone rosse.
Mi interessa provare a riflettere sulla natura di questo movimento più che su alcuni episodi di violenza nelle manifestazioni (inutili prima ancora che inopportuni) perché mi pare di intravedere molta “ciccia” sul piano dei contenuti e delle pratiche.
_ Premetto però ciò che scrivo sono semplici riflessioni di una donna “diversamente giovane” interessata a ciò che di buono succede in questo mondo.
Sul piano dei contenuti concordo con chi sostiene che questo non sembra “solo” un movimento di studenti contro la riforma universitaria, ma allude a qualcosa di più e cioè al “desiderio” e al “bisogno” di futuro.
Le giovani e i giovani che manifestano pongono, infatti, un problema che è insieme sociale, culturale e politico: un intera generazione rischia non solo di stare peggio dei propri genitori ma addirittura di non potersi più nemmeno immaginare come cittadine e cittadini , cioè donne e uomini portatrici e portatori di diritti.
_ Forse è persin peggio di quando nel ’77 le e i giovani scrivevano “né passato né futuro il presente ci uccide”, perché oggi il presente le/li nega, le/li rende invisibili ( non si spiega anche così il fatto che il governo nemmeno le/li riceva?).
Ciò che le/i giovani manifestano, dunque, non è solo un’altra idea di università e quindi di cultura e di sapere ma è soprattutto un’altra idea di relazioni sociali e quindi di democrazia e di politica.
Sulle pratiche mi pare di poter dire che questo movimento ha saputo tenere la scena per oltre due anni utilizzando “strumenti” partecipati ed includenti che hanno saputo “agire” il conflitto, se posso dire così, in modo creativo e non violento (le lezioni per strada, l’ “occupazione dei tetti” come desiderio, forse, di rendersi visibili (come è anche per tanti lavoratori nativi o migranti) o di avere almeno “un tetto” dove stare, la consapevolezza dell’importanza della dimensione internazionale, la capacità di fare rete fra studenti , insegnanti e genitori, i “libri” usati come argini, l’attraversamento continuo sulle strisce pedonali di grandi arterie per creare “scompiglio”, la lettera a Napolitano …)
Si ha a che fare dunque con un movimento di donne e uomini giovani e “pensanti”. Non tutti i loro “pensieri” mi piacciono (per esempio quando la violenza degli scontri di Roma non viene stigmatizzata) mi pare però che dentro l’attuale crisi della “politica” che è anche declino di democrazia e di partecipazione, di svuotamento di senso della dimensione “pubblica” e di negazione del “conflitto” inteso come possibilità di “alternativa alla realtà data” queste e questi giovani provano, nel “bene” e nel “male”, non solo a resistere ma ad affermare il diritto di avere diritti , di immaginare un futuro, di poter cambiare l’esistente.
Mi auguro, dunque, che il conflitto che oggi verrà di nuovo manifestato sappia orientarsi in forme non violente. Se così non sarà spero che le polemiche che inevitabilmente seguiranno , anche a “sinistra”, sappiano disconoscere i fatti violenti ma provino contemporaneamente ad interrogarsi sulla natura attuale, sessuata e di classe, del “potere”, sulla qualità delle relazioni sociali ed interpersonali e sulla loro costruzione simbolica (fondata su paure, privilegi, impunità, esclusioni, invidie, rancori).
* IFE Italia
Lascia un commento