PIETRASANTA (Lucca) – LA FOLLA – mostra di Jørgen Haugen Sørensen dagli anni ’70 ad oggi
La mostra FOLLA a cura di Bruno Corá e Lars Kærulf Møller si apre il 18 giugno e si protrae fino al 6 agosto 2017 al Complesso di Sant’Agostino, Piazza Duomo e alla Galleria Paola Raffo Arte Contemporanea- INAUGURAZIONE 17 GIUGNO ORE 18,30
La città di Pietrasanta per la sua tradizionale mostra estiva, vuole quest’anno celebrare Jørgen Haugen Sørensen, uno dei più importanti scultori danesi viventi.
Dopo Fernando Botero, Igor Mitoraj, Kan Yasuda, Velasco Vitali e Jean Michel Folon solo per citarne alcuni, il Comune di Pietrasanta con la collaborazione della Galleria Paola Raffo Arte Contemporanea presenta la mostra La Folla, curata da Bruno Corá e Lars Kærulf Møller. L’esposizione, dedicata ai lavori più recenti dello scultore in ceramica, bronzo e marmo insieme ad una antologica, è un omaggio alla lunga relazione di Jørgen Haugen Sørensen con Pietrasanta e come ogni anno anima il cuore della città, interessando il Complesso di Sant’Agostino, Piazza del Duomo e gli spazi della Galleria Paola Raffo Arte Contemporanea.
Jørgen Haugen Sørensen ha trascorso la maggior parte della sua vita lavorativa in Italia e agli inizi degli anni ’70 risale il suo primo incontro con Pietrasanta, dove ancora oggi risiede.
Fu una commessa per la Danish School of Media and Journalism, che lo portò nel 1971 nella città della Versilia e questo momento viene celebrato in mostra con l’installazione Portrait of an old agreement, frammenti di sculture in bronzo ricomposti sul pavimento della Sala Putti.
Fulcro della mostra è il bronzo monumentale The Crowd, donato a Pietrasanta dalla New Carlsberg Foundation, che dominerà Piazza Duomo insieme ad un altro bronzo, The Shadow, realizzato grazie al supporto della Danish Arts Foundation.
Di fronte alla Chiesa di Sant’Agostino sarà installata l’imponente scultura alta 1,80 m – While We’re Waiting – scolpita con il marmo della Versilia, mentre all’interno saranno esposti i principali lavori dello scultore. Il chiostro con giardino sarà animato da cinque sculture in granito risalenti agli anni ’80 che dialogheranno con il campanile e i palazzi del centro storico visibili dall’interno del chiostro.
Una nuova serie in gres porcellanato bianco intitolata A Dark Story in White sarà esposta nella Sala Capitolo, per finire il percorso espositivo nella Galleria Paola Raffo Arte Contemporanea con sculture policrome degli anni ’90.
Le opere di Jørgen Haugen Sørensen riflettono, con uno stile crudo e spesso brutale, la sua personale visione della condizione umana, catturano e raccontano i temi fondamentali della vita e della morte, dell’amore e della sofferenza utilizzando la scultura come linguaggio elettivo. Il suo modo di modellare è libero da ogni accademismo e dall’attaccamento ad un linguaggio univoco, ma fluisce e accade seguendo il suo immaginario. Il corpo – umano o animale che sia – o parti di esso, è il suo soggetto privilegiato e lo ritrae nella sua realtà e nudezza, grottesco, mostruoso, riflettendo la verità, a volte crudele, del genere umano, senza giudicare però, anzi comunicando un sentimento di vicinanza e partecipazione, una sensibilità nei confronti dell’epoca in cui tutti viviamo.
“Sappiamo che Jørgen Haugen Sørensen è uno scultore di considerevole spessore. Nell’argilla come nel disegno è un filosofo senza pietà, nessun aspetto di stupidità o brutalità sfugge alla sua acuta attenzione. Jørgen Haugen Sørensen si prende cura di noi a modo suo.”
Peter Poulsen, poeta
La sera del 1 luglio sul palcoscenico del Teatro de La Versiliana di Marina di Pietrasanta il DAP Festival Artistic Project metterà in scena uno spettacolo del Royal Danish Theater con la scenografia dal Maestro Haugen Sørensen, la coreografia di Sebastian Kloborg e la musica del compositore contemporaneo Kim Helweg.
In questa occasione verrà presentato anche il catalogo della mostra, che prende in esame i lavori più recenti dell’artista, raccontando la sua vita a Pietrasanta.
Jørgen Haugen Sørensen: premonizioni della scultura
Pochi, davvero pochi di coloro che si troveranno nella piazza del Duomo di Pietrasanta davanti alle sculture The Shadow, 2016-17, The Crowd, 2017 e poi più avanti, sul sagrato della Chiesa di S. Agostino, di fronte al marmo While We’re Waiting, 2017 sono a conoscenza né tantomeno immaginano lontanamente l’enorme lavoro svolto nella creazione di sculture da Jørgen Haugen Sørensen prima di oggi. Tra gli scultori europei o di altri continenti che, in un certo momento, hanno scelto di vivere e lavorare in Italia – e sono numerosi – Sørensen è tra quelli che da tempo meritavano di ricevere un riconoscimento come quello che la città di Pietrasanta adesso finalmente gli tributa. E c’è più di un motivo per ritenere che l’attenzione riservatagli in questa città della Toscana dovrebbe essere estesa a livello più ampio, quantomeno in tutta Italia, a ragione di quelli che sono stati i suoi teatri d’azione da Milano a Verona e altrove, interagendo artisticamente e culturalmente a partire da ambienti come quelli vivissimi degli anni Sessanta nel capoluogo lombardo. In esso erano attivi Fontana, Manzoni e Castellani, da lui incontrati mentre collaborava ed esponeva con la galleria Il Naviglio di Milano e nel Veneto, dove egli ugualmente, a Padova e poi soprattutto a Verona, ha esposto sin dal ’61 nel Concorso Internazionale del Bronzetto e poi nella Galleria Ferrari (sin dal 1967), anni in cui ebbe rapporti con Ghermandi e Somaini apprendendo da loro utili indicazioni per la propria scultura. Una singolare e appassionata relazione dunque, quella di Sørensen con il nostro paese, se si eccettua, per discutibili ragioni, qualche incidente di percorso che lo ha penalizzato e allontanato ingiustamente da noi all’inizio degli anni ‘caldi’ italiani tra il 1973 e il 1974. Sørensen, infatti, non ha mai nascosto le sue idee politiche, come pure l’antimilitarismo dichiarato, affrontando e subendo pesanti sanzioni.
Il legame con l’Italia, dopo quello con la Danimarca, suo paese natale, non gli ha impedito il nomadismo in Jugoslavia, Turchia, Spagna e Portogallo, sempre spinto dalla ricerca di materiali per lo più lapidei che lo stimolassero nell’azione plastica. Parimenti, l’interesse per la pietra non ha inibito l’altra sua azione col bronzo, né quella con la ceramica o altri materiali che hanno caratterizzato la sua intensa e polimorfa produzione.
Ho già espresso in un testo recentemente alcune mie osservazioni relative a cicli d’opera di Sørensen, realizzati plasmando il grés rifinito a smalto bianco. Mi riferisco al gruppo di opere accomunate dal titolo A Dark Story in White, in cui ho ammirato il suo modo di valorizzare l’argilla esaltandola con i suoi gesti magistralmente espressivi. Con metafore di straordinaria efficacia, rese ancor più vivide da una elaborazione sapiente ed esperta, ma anche nervosamente ed emotivamente partecipe, Sørensen ha modellato – come un Balzac della scultura – una comedie humaine sotto le mentite spoglie di cani in atteggiamenti accidiosi, tra le più drammatiche di quante non ne siano apparse nella storia dell’arte moderna e contemporanea dopo Bacon e Nauman. In quest’esperienza di forte impatto visivo e di valenza intrinsecamente maieutica, Sørensen ha raggiunto risultati che finora si erano riscontrati solo nel repertorio di esiti ottenuti da Fontana con la medesima materia, differendo dal maestro italo-argentino solo per una propria vena espressionista e drammatica presente in crescendo, in questi ultimi, anni nella sua opera. Nel DNA artistico di Sørensen, a ben osservare, tuttavia, una componente di reazione alla condizione patetica, alla sofferenza subita, allo stato di disgregazione o infine a quello di ineluttabile morte, si è sempre manifestato sin da opere come Rappo, liggende hund, 1955 o Salvador Puig’s sidste måltid, 1974 o Selvportraetter (På skra sokke), 1997 o infine Jeg Meuer Jeg Ser, 1998, installazione di sculture di pompeiana eco, oggi tra le opere presenti in Sant’Agostino.
Ma, ancora prima di soffermarmi su alcune di loro, mi preme compiere alcune considerazioni sulle grandi opere in bronzo offerte alla visione in Piazza Duomo. The Crowd mostra almeno due aspetti ineludibili e di forte suggestione; il primo è il tipo di aggregazione del gruppo antropomorfico che non può fare a meno di richiamarci alla mente Les Bourgeois de Calais, 1889 di Auguste Rodin. Ma con una differenza sostanziale che ne costituisce il pregio. Se, infatti, nel gruppo del maestro francese, tra le altre qualità si evidenzia una quantità di movenze dei singoli soggetti che fornisce all’insieme una stanzialità differita e rispondente alle identità delle personalità, cioè l’insieme non rinuncia a esprimere un’interna individualità, in The Crowd la lavorazione della massa plastica da parte di Sørensen è deliberatamente quasi priva di identificazioni, i corpi addossati tendono a fondersi , la lavorazione della materia non libera nessuno dei soggetti, al contrario rinuncia a distinguerli come pure a fornire loro dettagli somatici o di altro tipo. Il gruppo è la cupa apparizione di una massa umana alienata all’indistinto entro cui solo la materia argillosa febbrilmente plasmata da Sørensen, con gesti ansiosi e nervosi, ma eloquentemente aderenti alla condizione comune a tutti noi, prima della fusione in bronzo risulta vibrante, viva, inquieta, mentre quella comunità di persone sembra solo condividere un opaco destino.
Sørensen sembra ritualizzare modi espressivi che furono di James Ensor o di Francisco Goya quando, in momenti storici drammatici e percepiti con incipienza ineluttabile, non hanno esitato a denunciare l’oscurità dei tempi e l’abbrutimento umano nell’abuso, nella violenza, nell’attitudine al degrado bestiale.
Non meno espliciti, anzi con una valenza didascalica ancora maggiore, The Shadow e While We’re Waiting dichiarano equivalenze inquietanti tra il corpo e la sua ombra o dello scellerato euforico intrattenimento di ognuno con la propria sorte prima della morte; parabola non meno amara e inconfutabile. Di tali aspetti indiziari di temi tanatologici Sørensen ha più volte lasciato intravedere sintomi e tracce in numerose opere precedenti realizzate con argilla ma anche con intere installazioni di sculture in bronzo. A mio avviso, infatti, se opere come Apokalypse, 2010 e That’s Why They Call Them Dogs, 2002, oppure Jeg meuer jeg ser, 1998 sono espliciti esempi di questa produzione, nondimeno un’opera come Portrait of an Old Agreement, dei primi anni Settanta, nella disgregazione delle forme e nella frammentazione del corpo dell’opera rivela un medesimo sentimento senza dichiararlo con l’evidenza emotiva delle opere attuali.
Quella odierna di Sørensen non è un’incipienza di umore saturnino o una fase melanconica della sua creazione, ma una salutare reazione ai nostri tempi, una nuova manifestazione della sua invariata schiettezza giovanile di nominare la realtà per quella che essa è, anche a costo di turbare l’umore di qualcuno o di molti, come esige la tensione etica e poetica di un artista.
Testo di Bruno Corà – Maggio 2017
Apertura Complesso sant’Agostino dal martedì alla domenica dalle 19 alle 24
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