pio Articolo di Annamaria Simonazzi da inGenere

Pioniera nella salvaguardia delle foreste, Wangari Maathai ha fondato il movimento del green belt. Prima di lei, nessuno in Kenya avrebbe pensato che le donne potessero piantare alberi o diventare guardie forestali

ancora un parco verde è per la perseveranza di Wangari Maathai e delle attiviste che nel 1989 riuscirono a ostacolare e impedire il progetto di cementificazione dell’Uhuru Park. Più tardi, al grido di “no more grabbing” (basta compravendita di terra), le attiviste guidate da Maathai avrebbero impedito la distruzione della foresta di Karura, il bosco urbano di Nairobi, dopo mesi di proteste durante le quali ci furono violente repressioni da parte del governo.

Biologa, ambientalista, attivista per i diritti umani, Wangari Maathai è stata la prima donna dell’africa-centro orientale a ricevere un dottorato – in anatomia veterinaria, all’Università di Nairobi – e la prima africana a ricevere il Nobel per la pace, nel 2004. Attiva contro la deforestazione e lo sfruttamento del suolo, a lei va soprattutto il merito di aver riconosciuto pubblicamente che la siccità e la povertà dei terreni non sono affatto un problema strutturale, ma politico.

Nel 2002, quando il presidente Daniel arap Moi, che l’aveva perseguitata arrestandola, denigrandola in discorsi pubblici e definendola una donna “pericolosa”, viene sconfitto alle elezioni, Wangari Maathai, la “combattente resiliente”, è eletta con il 98 per cento dei voti in parlamento, dove resterà in carica fino al 2007. Intanto sarà invitata come docente esperta in conservazione delle foreste dall’Università di Yale, e dal 2003 lavorerà anche consulente al ministero dell’ambiente, delle risorse naturali e della fauna selvatica in Kenya.

Ma l’impegno di Maathai per la protezione delle foreste inizia molto prima,foreste quando incontra le donne Kikuyu sugli altipiani tra Nairobi e il monte Kenya. Era il 1977 e Maathai aveva trentasette anni. Trovò quelle donne angosciate per non avere più legna da ardere, né abbastanza acqua, né varietà di cibo tali da impedire ai bambini di ammalarsi di malnutrizione, e stanche perché questo significava camminare per chilometri ogni giorno, caricandosi addosso pesi importanti. Da questo incontro – con l’appoggio del Consiglio nazionale delle donne del Kenya di cui Maathai faceva parte, e di cui poi fu presidente – nacque il movimento della cintura verde (green belt movement) basato sulla piantagione di alberi autoctoni, pratica che in seguito fu adottata da migliaia di attiviste per combattere la deforestazione e garantire la conservazione delle riserve d’acqua in Kenya.

Un gesto piccolo, quello del ‘piantare’, che in poco tempo assunse un significato dirompente per gli ecosistemi e per le persone, fino a diventare sinonimo di autodeterminazione. A praticarlo erano proprio le donne delle comunità rurali, che attraverso l’auto-formazione perfezionavano il metodo e mettevano a dimora germogli di varietà endemiche. Così, disobbedivano alla politica governativa delle grandi piantagioni che aveva impoverito i suoli e distrutto le foreste indigene, ma anche a una cultura che le voleva separate tra loro, ed economicamente dipendenti dai loro uomini. Adesso però qualcosa stava cambiando. Le donne avevano ricominciato a trascorrere il tempo insieme e se le piantine sopravvivevano, il movimento, che si era trasformato in una grande e strutturata organizzazione non governativa, prevedeva un compenso economico.

“Pochi anni di colonialismo sono bastati a spazzare via secoli di conoscenze tramandate a voce”, spiega Maathai nel documentario Taking root, del 2008. “La nostra fu la prima comunità a mettere su una tree nursery” racconta Lilian Wanjiru Njehu del Kanyariri Mother’s Union Tree Nursery. “Qui era un campo deserto, non c’era un albero. Nessuno avrebbe pensato che noi avremmo potuto piantarne. Non era un’usanza Kikuyu che una donna potesse piantare alberi”.

Il carisma, la preparazione e la determinazione di Maathai sono stati determinanti per la nascita e la diffusione del movimento sul territorio. Senza di lei, probabilmente la connessione tra salvaguardia delle foreste, land grabbing e conservazione dell’acqua sarebbe rimasta spezzata nella coscienza delle comunità keniote, come quella tra giustizia sociale e salvaguardia della biodiversità.

Stando ai dati diffusi dal movimento, dalla sua nascita sono stati piantati più di 51 milioni di alberi. Oltre 4.000 sono i gruppi nati all’interno del movimento, composti per il 70% da donne. Oltre 500 le reti che questi gruppi hanno attivato in tutto il Kenya. Un modello che è stato ripreso in altre parti dell’Africa e del mondo.

Quello del green belt è stato considerato un esempio di ricostruzione ambientale, nonostante il governo indipendentista di Daniel arap Moi abbia fatto di tutto per ostacolarlo fin dall’inizio del suo insediamento, e nonostante le pressioni per la distruzione delle foreste siano continuate in Kenya.

Adesso, il lavoro delle attiviste va avanti con le scuole, con progetti di ripopolamento delle foreste e di gardening urbano. Solo nel 2014 sono stati piantati 438.129 alberi di specie endemiche, e nel 2015 i corsi di formazione hanno coinvolto oltre 200 donne delle aree rurali.

Con il movimento innescato da Maathai, la salvaguardia degli ecosistemi forestali in Kenya è andata di pari passo con l’emancipazione anche economica delle donne. Molte di quelle che hanno preso parte al green belt hanno fatto della loro attività fonte di reddito e sono diventate guardiane dei boschi ed esperte dei sistemi forestali. “Abbiamo provato a incoraggiarci tra noi, perché se non lo avessimo fatto il nostro paese sarebbe caduto in declino. Per prima cosa abbiamo pregato, poi abbiamo avuto speranza in quello che stavamo facendo. Poi l’abbiamo fatto” racconta nel documentario una di loro, Anastasia Njeri, del Sunshine women’s group Kangari.

Wangari Maathai è scomparsa nel 2011. Uno degli insegnamenti che ha lasciato al mondo è che sono le persone a poter fare la differenza. Il colibrì della favola che amava tanto raccontare è diventato il simbolo di questa eredità. (24/08/2016)

 

Riferimenti

Bruno C., “Donne che abbracciano le foreste”, in Ecostorie. Donne e uomini nella storia dell’ambiente, Genesis. XII/2, Viella, 2013, pp. 245-253

Maathai W., The Green Belt Movement: Sharing the Approach and the Experience, Lantern Books, 2004

Merton L., Dater A., Taking Root. The vision of Wangari Maathai, 2008

The Green Belt Movement Annual Repors