Pressione demografica e squilibri economici influenzano le migrazioni
L’intenzione di trasferirsi all’estero è più diffusa in alcune aree (Paesi subsahariani, America Latina, Europa non Ue) dove la popolazione è in aumento e le condizioni di vita non sono soddisfacenti. Ma anche un terzo dei residenti italiani vorrebbe emigrare. L’analisi del Dossier IdoS e Confronti.
Un decimo degli abitanti del mondo vorrebbe emigrare. Stiamo parlando di 710 milioni di persone (dati Gallup). La voglia di trasferirsi è particolarmente diffusa in alcune aree del pianeta: un terzo dei Paesi subsahariani, un quarto di quelli dell’America Latina, un quinto di quelli dell’Europa non comunitaria. E l’Italia? Paese di destinazione di un numero consistente di potenziali migranti (15 milioni di persone) dopo Usa, Germania, Canada e Gran Bretagna, il nostro è anche un Paese di emigrazione: vorrebbe farlo un terzo dei residenti (10 punti in più rispetto alle percentuali riscontrate in media negli altri Paesi europei). Nel 2015 sono stati 244 milioni i migranti nel mondo (sono 255 milioni nel 2017 secondo le stime Idos) e, secondo le statistiche dell’Onu, si arriverà a 469 milioni nel 2050.
Quali sono i fattori che influiscono su questa pressione migratoria? La crescita demografica e gli squilibri economici. È quanto emerge dal Dossier Statistico Immigrazione 2017 realizzato da Idos e Confronti in collaborazione con Unar (Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali) presentato oggi a Roma. La popolazione mondiale aumenterà di 70 milioni di persone all’anno per arrivare a 9,8 miliardi nel 2050: l’Africa è il continente in cui la popolazione aumenterà di più (passando da 1,2 a 2,5 miliardi) e la crescita è prevista anche in altri Paesi di emigrazione. In Europa invece è prevista una sostanziale stabilità (previsioni Onu). A questa pressione demografica si aggiungono le ragioni economiche strutturali: nel 2016 il Pil mondiale è aumentato del 3,6% e se la ricchezza prodotta (pari a 117 mila miliardi di dollari americani) venisse ripartita equamente attribuirebbe a ciascun abitante della Terra poco meno di 16 mila dollari (15.758). Purtroppo non è così. Attualmente sono molti i Paesi al di sotto di questo livello: in Africa il reddito medio non arriva a 5 mila dollari l’anno (così come in Moldavia), mentre l’Italia si colloca nel gruppo dei Paesi più ricchi con un Pil pro capite di quasi 39 mila dollari.
La migrazione può svolgere una funzione di riequilibrio? “Le migrazioni da sole non sono una soluzione, e si rendono indispensabili politiche di sviluppo più efficaci nel Nord e nel Sud del mondo, tuttavia non ne va sottovalutato l’impatto – si legge nel Dossier – Non solo le politiche attuali sono insoddisfacenti ma lo è ancora di più la concettualizzazione di questi temi: in Europa si tende a equiparare la figura dell’immigrato a quella del richiedente asilo e rifugiato e di presentare questa realtà con l’immagine degli sbarchi, non tenendo conto che gli immigrati, una volta inseriti, possono diventare una risorsa per il Paese di accoglienza. Le migrazioni sono già di per se stesse una re-impostazione dal basso di un nuovo governo del mondo in considerazione della loro diffusione globalizzata, delle persone coinvolte, delle risorse sottostanti e delle prospettive che ne possono derivare”. Ne sono un esempio le rimesse verso i Paesi di origine ma anche le politiche di integrazione. Pur incidendo per meno dell’1% sulla ricchezza dei Paesi nei quali i migranti lavorano, costituiscono una massa finanziaria rilevante: nel 2016 dagli Stati Uniti sono stati inviati 429 miliardi di dollari nei Paesi in via di sviluppo, “molto più di quanto i Paesi ricchi mettano a disposizione come aiuto pubblico allo sviluppo”. A cosa servono queste risorse? “A sostenere gli 800 milioni di familiari rimasti nei Paesi di origine, pari a un settimo della popolazione mondiale: un apporto importante per i singoli e per molti Paesi – si legge nel Dossier – Nell’impiego di queste risorse si può andare oltre la sussistenza dei familiari e la costruzione di case di abitazione, perfezionando le strategie di intervento nei ‘ritorni assistiti’ e occupandosi maggiormente dei ‘ritorni finanziari e di investimento’, non necessariamente legati al rimpatrio degli immigrati”. Gli effetti positivi valgono anche per i Paesi di accoglienza: in Germania, ad esempio, tra il 2008 e il 2015 il sistema di welfare ha visto aumentare del 53% i propri contribuenti (+1,7 milioni) grazie all’arrivo di immigrati giovani e in salute “che contribuiscono in misura notevole al sostegno finanziario del sistema pensionistico e sanitario, sul quale gravano in misura ridotta”. Lo stesso vale per altri Paesi europei, compreso il nostro: “I Paesi trasformatori e dediti al commercio come l’Italia trovano un supporto negli immigrati e nella vastissima rete che attraverso di essi si instaura con i Paesi di origine, per rafforzare la loro immagine, anch’essa un valido sostegno all’export, per promuovere la lingua e la cultura e attrarre i flussi turistici”.
La situazione italiana. A fine 2016 erano poco più di 5 milioni (5.047.028) i cittadini di origine straniera residenti in Italia (di cui oltre la metà europei) con un aumento di 20.875 persone rispetto al 2015. Eppure tra sbarchi, flussi in arrivo e cancellazioni anagrafiche, i movimenti migratori hanno interessato quasi 1 milione di persone. “L’esiguo aumento è stato anche determinato dal gran numero di acquisizioni della cittadinanza italiana”. Sono poco meno di 200 le nazionalità degli stranieri residenti in Italia, i cittadini comunitari sono il 30,5%, mentre 1,1 milioni provengono da altri Paesi europei. Africani e asiatici si attestano entrambi a un milione di presenze. L’Italia è anche un Paese di emigrazione: gli italiani all’estero sono 5.383.199 (+150 mila rispetto al 2015, secondo i dati delle anagrafi consolari) e rappresentano il 13,7% dei quasi 37 milioni di stranieri residenti nell’Unione europea. “In futuro si prevede un aumento della presenza immigrata come effetto congiunto della pressione migratoria dall’estero e dalle esigenze demografiche interne”. Secondo le previsioni demografiche dell’Istat, riportate dal Dossier, da oggi 2065 la dinamica naturale sarà negativa per 11,5 milioni e quella migratoria sarà positiva per 12 milioni, la popolazione si assesterà a 61,3 milioni di residenti con un’incidenza di over 65 pari al 33%, una riduzione di minori e di popolazione in età lavorativa e un aumento dei cittadini immigrati (14,1 milioni per un’incidenza del 23%) e degli italiani di origine straniera (7,6 milioni) che, insieme, rappresenteranno un terzo dei residenti. (lp)