Prima le sentenze, poi il cambiamento
Con sentenza di primo grado, Corrado Gabriele è stato condannato per le molestie reiterate inflitte alle figlie minorenni della moglie.
Da circa sette anni di attesa D e F sono state liberate dallo stillicidio di un processo, durato tanto quanto è bastato alla rielezione del loro tormentatore al consiglio regionale della Campania.Per D e F la condanna non varrà a cancellare il danno subito, ma fin da ora sarà piuttosto la conferma che le donne che le hanno seguite in questi anni, dalle avvocate Elena Coccia e Giorgia de Gennaro a quelle dell’UDI fino alle migliaia che da lontano non le hanno mai abbandonate al loro coraggio come unica risorsa, sono cambiate e non hanno più voglia di aspettare.
Lo stupore per “una condanna così pesante” (?), i commenti che segnano moti di sorpresa la notizia, non erano inaspettati.
Le donne che non hanno avuto voglia di aspettare e di arrendersi ai tempi lunghi del cambiamento culturale, hanno squarciato la monotonia di una classe dirigente Istituzionale e non, nominando il loro diritto a non subire violenza sessuata. Qualcosa è cambiato nella relazione tra donne e nella relazione delle donne con se stesse, resta immobile invece l’arroganza di usare il potere per garantirsi l’impunità da parte di uomini piccoli e inutili per il bene comune.
La sentenza di ieri, forse aprirà loro qualche dubbio, certamente conferma che l’attesa non si addice alla dignità femminile. Parlo dell’attesa imposta dai tempi della giustizia, dell’attesa che a volte le donne assumono come costume gradito e “politicamente corretto”.
D ed F non hanno aspettato eppure hanno dovuto aspettare, ma la determinazione continua a vincere.
Corrado Gabriele si è autospeso dalla sua carica: la sentenza prevede, oltre ai quattro anni di detenzione, cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Forse tra ricorsi in appello e magari oltre, ritroveremo questo signore in politica?
Dipende da quelle che sono cambiate e dalla forza che continueranno ad esprimere nel denunciare gli uomini nel potere che con improntitudine e arroganza affermano la cultura ancestrale dello stupro. Senza giustizialismo, chiedere giustizia è semplicemente un diritto.
{ per Udi di Napoli, Stefania Cantatore}
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