LA POVERTA’ ENTRA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI confronto-scontro tra parlamentari. Ma chi è povero deve ancora aspettare.
Il 14 luglio 2016 ,la Camera ha approvato con 221 voti (22 contrari, 63 astenuti) il disegno di legge delega al governo contro la povertà e per il riordino delle prestazioni e servizi sociali. Il provvedimento, collegato alla legge di stabilità 2016, stanzia 600 milioni di euro per l’anno in corso, e 1 miliardo per il 2017 e il 2018: meno di 60 centesimi al giorno a disposizione per 4 milioni e 598 mila «poveri assoluti» e per 8 milioni e 307 mila «poveri relativi».
Il testo passa ora al Senato con una dotazione pari a un decimo del fondo destinato al bonus Irpef degli 80 euro, riservato ai dipendenti tra 8 e 26 mila euro di reddito. La coincidenza tra l’approvazione della delega e la pubblicazione dei dati Istat sulla povertà rende l’idea dell’inadeguatezza delle risorse e ha lasciato uno strascico di perplessità sul valore della proposta. Dubbi che in aula si sono espresse con un accesissimo dibattito. L’importante però che che se ne incominci a parlare cercando di dare soluzione a un problema che non può più essere rimandato.
Pia Locatelli intervenendo alla Camera per la dichiarazione di voto ha detto: Era il 1992, 24 anni fa, quando l’Unione Europea, con la raccomandazione 92/411, invitava gli Stati membri ad adeguarsi ai paesi che avevano già introdotto tra le proprie politiche di welfare misure di garanzia di reddito. In particolare l’Europa invitava gli stati membri “a riconoscere, nell’ambito d’un dispositivo globale e coerente di lotta all’emarginazione sociale, il diritto fondamentale della persona a risorse e a prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana” e sottolineava che “le persone escluse dal mercato del lavoro, o perché non hanno potuto accedervi o perché non hanno potuto reinserirvisi, e che sono prive di mezzi di sostentamento devono poter beneficiare di prestazioni e di risorse sufficienti, adeguate alla loro situazione personale”.
Noi socialisti abbiamo lavorato, nelle diverse situazioni istituzionali e non, affinché quelle raccomandazioni fossero tradotte in realtà, anche con proposte di legge, ultima quella presentata in questa legislatura dal collega Buemi in Senato.
Oggi, con questo provvedimento, andiamo a compiere un passo nella direzione giusta: lo facciamo certo in maniera insufficiente e selettiva, lo facciamo in ritardo, ultimi, insieme alla Grecia, a prevedere questa misura, ma per la prima volta ci andiamo a dotare di uno strumento di contrasto alla povertà assoluta, non più in forma sperimentale o provvisoria.
Nel corso della discussione generale sono state avanzate molte critiche da parte delle opposizioni sull’insufficienza dei fondi, sul fatto che il provvedimento riguardi soltanto le famiglie che si trovano in povertà assoluta, lasciando fuori una larga fetta di cittadini e cittadine che non godono di condizioni per una vita dignitosa. E’ senza dubbio vero e sono certa che nessuno in quest’Aula sarebbe contrario a misure che garantiscano a tutti un buon livello di benessere, ma un conto sono i sogni -e la demagogia-, altro è la realtà. D’altra parte se un reddito minimo di inserimento, declinato in forme molto diverse tra loro, è presente in tutti i Paesi europei, in nessun Paese, invece, né in Europa né nel mondo, esistono esperienze di reddito di cittadinanza, che è un reddito di base elargito dalla comunità a tutti i suoi membri su base individuale, senza prova dei mezzi o richiesta di impegno al lavoro.
Inevitabilmente chi governa, chi legifera deve fare i conti con le risorse disponibili e questa è una proposta realistica, concreta, attuabile da subito, fondata sia su trattamenti economici sia sull’azione della rete dei servizi sociali: una base di partenza che in futuro potrà essere, ci auguriamo sarà incrementata e allargata. La componente socialista voterà a favore del provvedimento.