PROSTITUZIONE E CASE CHIUSE – LA CORTE COSTITUZIONALE SALVA LA LEGGE MERLIN
I giudici della Consulta hanno rigettato come non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sulla legge che dal 1958 vieta reclutamento e favoreggiamento della prostituzione.
Ma vediamo il percorso storico di questi ultimi anni che hanno reso difficile l’esistenza di questa legge. La legge Merlin ha segnato un punto fermo nella battaglia contro una cultura patriarcale che ha sempre visto la donna come subordinata alla volontà e ai piaceri dell’uomo. Una cultura arcaica che continua a riproporsi come nel manifesto redatto dalla sezione di Crotone della Lega dove si elencano i danni provocati dalle donne che non perseguono quelli che sono i loro doveri naturali come lo stare in famiglia nel loro ruolo di casalinghe e madri. “Un messaggio che rievoca tempi medievali e un approccio indubbiamente volgare e sessista”
Come scrive Antonella Marian sull’Avvenire la questione di abrogare o meno la legge Merlin per incostituzionalità è emersa nel 2017 durante il processo d’appello, tra gli altri, a Gianpaolo Tarantini, l’imprenditore pugliese già condannato in primo grado per aver procacciato, tra il 2008 e il 2009, escort per le ‘cene eleganti’ di Silvio Berlusconi.
Otto associazioni impegnate nella difesa delle donne hanno chiesto, senza riuscirci, di poter essere ascoltate nell’udienza del 5 marzo. Tutte schierate contro la possibilità che la prostituzione possa essere considerato un lavoro come un altro, e che del corpo femminile si faccia mercato. «In nome del falso mito della libertà sessuale si vuole assestare un colpo alla dignità delle donne», ha sintetizza l’avvocata Antonella Anselmo, che voleva portare nella seduta della Corte costituzionale la voce della Rete per la parità e di altre sei associazioni, da Unione Donne in Italia (Udi) a Salute Donna. Al suo fianco un’altra avvocata, Maria Teresa Manenti in rappresentanza della onlus Differenza Donna. Per tutte loro non ci sono dubbi: la prostituzione è sempre una forma di oppressione e violenza, «che – sostiene Resistenza femminista – colpisce la nostra libertà, la nostra dignità come cittadine, la nostra salute e ostacola lo sviluppo della parità tra le future generazioni di donne e uomini.
Ma , …“Con molta amarezza abbiamo appreso che la Corte costituzionale ritiene inammissibili le associazioni nell’udienza”, ha commentato in mattinata Elisa Ercoli, presidente di “Differenza Donna”. L’ong, rappresentata dall’avvocato Maria Teresa Manente, aveva chiesto, insieme ad altre associazioni, di poter intervenire nel dibattimento. Ma, dopo una breve camera di consiglio, i giudici hanno deliberato di respingere le richieste, ritenendo di non doverle ammettere…
Ricordiamo che dopo Bari il 7 febbraio 2019 è toccato al senatore Gianfranco Ruta tornare in avanscoperta e depositare il disegno di legge Disposizioni in materia di disciplina dell’esercizio della prostituzione, in cui si elimina il divieto delle «case chiuse», si richiede l’iscrizione (ahi, la schedatura delle donne e la totale estraneità degli uomini…) in un apposito registro e naturalmente il pagamento di una imposta sul reddito. Un tesoretto appetibile, visto che il giro d’affari delle 70-90mila prostitute (metà straniere, 10% minorenni, il 65% in strada) in Italia è stimato in poco meno di 4 miliardi di euro all’anno, con 3 milioni di clienti (dati Codacons). Una battaglia storica della Lega, che ha promosso questa iniziativa più volte nelle ultime legislature.
L’idea di trasformare le prostitute in sex workers è sempre stata molto indigesta a gran parte del movimento delle donne ma anche al mondo cattolico (basti pensare alle battaglie contro l’ipotesi di uno ‘Stato pappone’ dell’Associazione Papa Giovanni XXIII), per ovvie ragioni: il sesso, che appartiene alla sfera più intima e relazionale della persona, non può essere oggetto di compravendita.
C’è un altro punto fondamentale: chi sostiene che eliminare la prostituzione dalla strada stroncherebbe la tratta non ha il senso della realtà. L’esperienza tedesca insegna che è un falso argomento: il 95% delle donne in vendita nei bordelli, legali dal 2002, arriva dall’Europa dell’Est. Volontariamente? Solo poche decine su 400mila sono registrate: le altre continuano a vivere nell’illegalità, nella maggior parte dei casi in condizioni di schiavitù e sempre in balia di ogni perversione maschile.
Nel libro ‘Stupro a pagamento’ (2017, Round Robin Editrice): in ogni scambio sessuale, pure consenziente, il denaro nasconde rapporti di potere, subordinazione e degrado del femminile. Non esiste vera libertà nel farsi usare e nel ridurre il proprio corpo a merce a disposizione di un uomo, che grazie al denaro ritiene di essere in diritto di fare ciò che desidera, compresi atti violenti. «Nella prostituzione non viene comprato il sesso, ma l’abuso sessuale », scrive Moran, che ha introdotto il termine di ‘sopravvissuta alla prostituzione’ contrapposto a quello di sex worker.
Non è solo il mondo cattolico, dunque, a fare muro contro la possibilità di «normalizzare » la prostituzione. Non si tratta di auspicare uno Stato etico, che decide ciò che è bene e ciò che è male per i cittadini. Guarda caso, proprio nel Paese della liberté, la Francia, la Corte costituzionale (Conseil Constitutionnel) nei giorni scorsi ha ribadito che l’acquisto di atti sessuali è sottoposto a un divieto assoluto, pure se è compiuto tra persone adulte e consenzienti in un luogo privato. L’esercizio della prostituzione, insomma, non può essere considerato alla stregua di una prestazione lavorativa. La sentenza difende la legge dell’aprile 2016, che fa della Francia uno dei quattro Paesi europei, con Svezia, Norvegia e Islanda, in cui si punisce la domanda di sesso a pagamento, cioè i clienti. Il tema, riaffermato di fatto dal Conseil Constitutionnel, è quello della dignità della persona, inalienabile e universale, a carattere oggettivo e non soggettivo, e della parità tra uomo e donna. «Il legislatore ha inteso assicurare la salvaguardia della dignità della persona umana contro ogni forma di asservimento», si legge nella sentenza.
Lo scontro culturale tra antiche prerogative del mondo patriarcale e le posizione di chi ritiene che la dignità e la libertà della donna vadano garantite contro ogni forma di asservimento, sembra che le ultime abbiano avuto la meglio con l’ultima sentenza della Corte costituzionale.
Questo quanto detto dalla presidente della RETE PER LA PARITA’ Rosa Oliva de Conciliis,dopo aver conosciuto la sentenza
“Un’importante vittoria per le donne e per la dignità della persona. Siamo davvero soddisfatte che la Consulta abbia dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale riguardanti il reclutamento e il favoreggiamento puniti dalla legge Merlin”. E’ quanto dichiara Rosa Oliva de Conciliis, presidente dell’Associazione ‘Rete per la Parità’ sulla decisione della Consulta arrivata oggi relativamente alla legge 75 del 1958.
“La legge Merlin – aggiunge – è un baluardo sul piano giuridico e la sentenza della Consulta lo conferma. Dunque non solo non è superata – come hanno sostenuto gli avvocati di chi è stato condannato dal Tribunale di Bari per i reati di favoreggiamento e induzione nei confronti di ben ventisei donne – ma va mantenuta integra. Non si può lucrare sulla prostituzione come avveniva in Italia fino al 1958, prima che entrasse in vigore la legge. La prostituzione è un’attività che la legge Merlin consente sia esercitata senza terze persone che ne traggano vantaggi. Inoltre non è un lavoro. E, comunque, nessuna attività economica in base all’articolo 41 della Costituzione può svolgersi in modo da recare danno alla dignità umana”.
“La Rete per la Parità – conclude Rosa Oliva de Conciliis – insieme alle associazioni DonneinQuota, Coordinamento italiano della Lobby Europea delle Donne/Lef Italia, Salute Donna Napoli, UDI(Unione Donne in Italia)Napoli, Resistenza femminista, Iroko onlus continuerà la battaglia in difesa dei diritti delle donne e della legge Merlin che è sotto attacco. Continueremo anche a seguire con attenzione il processo presso la Corte di Appello di Bari. La linea tentata dagli avvocati difensori degli imputati alla fine si è rivelata un autogoal anche per chi voleva riaprire le cause chiuse e immaginava che eliminando due reati dalla legge Merlin si potesse farlo senza che fosse necessario approvare la legge voluta dalla Lega”.