Quando la violenza sta nella normalità
Quando la violenza sta nella normalità. Storie di quotidiana discriminazione e di straordinaria reazione dal 24 in poi. Siamo vive. In questi giorni ho aspettato di leggere i commenti a caldo, obbligandomi al silenzio-stampa, per evitare di aggiungere gocce di intolleranza o di esultanza al post- 24, cercando piuttosto di fissare indelebilmente nella memoria le immagini dei volti di giovani come me, tante, le canzoni, i colori, gli striscioni carichi –una volta tanto- di verità. All’improvviso poi ho avuto come un flashback, un video documentario visto tempo fa, l’immagine delle donne di Ciudad Juarez in marcia contro il femminicidio che urlavano compatte “Chi le ammazzò? Il Governo Fox!”. La domanda è sorta spontanea: se tanto dà tanto, se noi siamo delle cretine violente, a queste le avranno pestate, zittite, accusate di terrorismo…però non mi risulta sia finita così.
Io il 24 c’ero, alla manifestazione. {{Ci sono andata come donna, senza bandiere, senza vessilli di appartenenza}}. Li avevo fatti, avevo tante cose da dire, ma poi li ho lasciati a casa. Ne sono stata felice, mi ha dato un po’ fastidio vedere qualche bandiera di associazioni ed enti, sembrava voler imporre un’appartenenza a dei corpi liberamente manifestanti, mentre i lenzuoli scritti a mano, con i loro colori e le loro pieghe, sembravano pensieri in movimento, quasi come se fossero vivi in quelle mani di donne, anch’essi svincolati, pur se solo per un giorno, dal loro ruolo “naturale” di arnesi domestici. Non volevo essere intervistata come giurista, non volevo farmi riconoscere, volevo esser parte di quel fiume. Ci sono andata così, “in borghese”, attraversando i vari spezzoni, chiedendo al mio compagno, che mi aveva raggiunto a Roma in anticipo, di starsene a margine, che non era spazio per lui, e non mi è sembrato affatto offeso, ma piuttosto compiaciuto da quel “risorgimento” di voci e corpi femminili, che ha commentato con un sorriso di complicità di chi ha condiviso una lotta ma è pronto a farsi da parte, dicendo solo “Era ora”. Dovrei definirlo un uomo disponibile alla relazione e al confronto ma pro-separatismo femminile? Ci sto ancora pensando.
Mi ha detto però che ha avuto pena per quegli uomini che oltre ad avere imposto la loro presenza nel corteo si sono pure fatti intervistare, quasi volessero affermare al mondo il loro diritto patriarcale a starci, lì, un po’ anche con arroganza, come fatto dal pensionato napoletano intervistato da Repubblica. E ha detto anche che ha avuto pena di quelle pochissime donne che, per affermare il loro sacrosanto diritto a starci da sole, nel corteo, non hanno solo allontanato gli uomini, come era lecito che fosse, ma li hanno proprio cacciati in malo modo, aggredendoli, riversando su di loro, in quanto uomini, l’aggressività subita gli altri 364 giorni dell’anno dai loro simili. Ci sono modi e modi.
Il tempo, il luogo e la forma nella comunicazione contano. {{Il 24 erano i corpi a dover parlare}}, erano i colori, le facce, di chi uscendo dall’anonimato delle mura domestiche, si appropriava collettivamente dello spazio pubblico, riaffermando la propria volontà di essere soggetto, soggetto politico, soggetto di diritti, e non oggetto di controllo.
Non era giorno per proclami, non era giorno di rendiconti, di slogan politici vuoti, di protagonismi da palcoscenico. Era chiaro quello che voleva essere: un giorno di sorellanza nella denuncia contro ogni strumentalizzazione che violenta e mercifica i corpi delle donne, sia essa politica o individuale, economica o psicologica o fisica, comunque frutto del patriarcato, parola che nessuno osa pronunciare, come se fosse un qualcosa di intangibile, una ideologia sovversiva, quando è una realtà che invece proprio sui corpi e sugli spazi di vita delle donne si manifesta. La violenza sulle donne è una violenza simbolica, è una violenza anche istituzionale. E’ la violenza delle bandiere, è la violenza di chi vuole esserci a tutti i costi anche se non invitato, è la violenza di chi, avendo a sua disposizione i mezzi, i poteri e l’autorità per dimostrare in concreto la propria “sorellanza”, la volontà di incidere per contribuire all’avanzamento dei diritti delle donne, non approfitta di questi tempi e spazi per agire, ma si impadronisce di ogni occasione opportuna per autoincensarsi, gratificare il proprio io facendo la madreteresadicalcutta di turno, l’imbanditrice di fumo, la sorella maggiore, salvo poi sparire quando serve, quando è il suo turno al Governo.
Non credo che, come qualcuna ha sostenuto, aver allontanato le Ministre (ed ex) sia stato un rifiuto di dialogo con le Istituzioni. Sono altri i tempi, i luoghi ed i modi per dibattiti e collaborazioni istituzionali.
Conosco le statistiche, ahimè, e se fossi stata una di quelle donne che, grazie alla legge sull’affido condiviso fortemente voluta dalla Prestigiacomo, proprio in quelle occasioni è stata menata dal marito, minacciata, quasi uccisa, stuprata, o i suoi figli per vendetta violentati, ma cosa avrei dovuto fare a quella donna quando la vedevo lì, alla manifestazione contro la violenza? Quale rabbia, senso di impotenza, frustrazione e disperazione mi sarebbe venuto voglia di scaricarle contro? E se urlavo “Chi le ammazzò? La Prestigiacomò!” cosa faceva, mi querelava? Non oso immaginare, la satira non vale come esimente, credo.
In fondo siamo essere umani, e non so se sia più violento far allontanare una ministra e i suoi guardaspalle (la violenza maschile la accettiamo, quando è per proteggerci?) gridandole contro la propria rabbia, o fare {{incaute leggi che, in difesa di un astratto principio di bigenitorialità, causano violenza e paura per madri e figli.}} Perché un giudice concede l’affido condiviso anche quando una donna ha subito violenze documentate e denunciate dal marito? Li conosce i dati la Prestigiacomo, su quanti casi di violenze si sono avuti dopo separazioni burrascose in cui è stato comunque concesso affido condiviso?
_ E perché non ha tradotto e diffuso le raccomandazioni della CEDAW al Governo italiano, che già all’epoca sua chiedevano interventi integrati, e denunciavano la situazione marginale in cui erano lasciate le donne migranti?
_ Sarebbero tanti gli interrogativi da sollevare, a partire dall’{{asservimento dei media}}, che riescono a vendere solo i salotti e disdegnano la parola del volgo, tanto più se donna. Forse che alla manifestazione, il sapere di donne dei centri antiviolenza, femministe storiche, donne che sono state oggetto di violenza, reti di donne per le donne, operatrici sociali, collettivi di studentesse, valeva meno di quello delle ministre? Era necessario metterle su un palco a monopolizzare il logos, confondendo spazi di azione e rappresentanza, resistenza e resilienza?
_ {{Forse che questo pure non è esercizio di potere, non è violenza?}} Oscurare in televisione le ragazze salite sul palco con gli striscioni, applaudite da noi della piazza, mentre festosamente riaffermavano l’appartenenza collettiva della manifestazione e degli spazi di parola, non è violenza? E’ così difficile riconoscerla? In effetti è molto più facile definire violento un giustificato incazzo che un atto di autorità e di controllo così istantaneo e “innocuo”, come staccare la spina.
In ogni caso non riesco a tollerare che (ex) Ministre/i della Repubblica, per me che nonostante tutto ancora credo sinceramente nelle Istituzioni, oltre a ricoprire con estrema leggerezza il loro ruolo e scansare ogni forma di responsabilità politica per il non fatto, debbano anche dare a una generazione come la mia, la generazione X, la generazione precaria, quella che sta scontando e sconterà sulla propria pelle le colpe dei padri (cioè anche le loro), sia infamata a suon di cretine e bamboccioni. Fino a quando? Doppiamente delegittimata nel mio agire politico in quanto donna e in quanto giovane, fino a quando dovrò subire la volgarità dell’insulto generalizzato, senza possibilità di critica, da parte di rappresentanti di una classe politica vecchia, incapace di lasciare perfino lo spazio della piazza alla parola delle/dei giovani?
Aldilà della rappresentazione che è stata data del 24, quello che conta è esserci state, {{avere fatto dei nostri corpi uno strumento di controinformazione e resistenza ad ogni forma di violenza}}, di dominio, di oppressione della personalità delle donne, che venga essa dagli uomini, dalle istituzioni maschili, o da quelle donne portatrici insane dei valori patriarcali.
Quella del 24 è stata una reazione straordinaria a forme di discriminazione e censura ordinarie, quotidiane, come quotidiana è la violenza simbolica che passa attraverso la politica, i media, l’economia. Adesso, è necessario incanalare l’energia che quella manifestazione ci ha donato in azioni positive da proporre, che presuppongo una nostra crescita come movimento nei modi e nelle forme di confronto e di decisione, pur valorizzando le differenze che caratterizzano ognuna, ma avendo sempre come obbiettivo primario i contenuti, i risultati.
Avere la forza di denunciare la violenza maschile sulle donne in ogni sua forma, avere la forza di denunciare la complicità dei media e della politica, la pervasività degli stereotipi e dei pregiudizi patriarcali, questo quello che ci consente di andare avanti unite per l’autodeterminazione delle donne, che ci fa dire: attenzione! Siamo vive e vigili, quello che ci accade intorno ci riguarda.
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