Quando l’orco è analfabeta
Su alcune fonti di stampa è riportato un commento degli inquirenti, con qualche accentuazione giornalistica, a proposito dell’arresto del presunto violentatore della piccola Antonietta, morta per “un rigurgito”.
Il commento avanzato ha un sapore antico: l’orco è analfabeta, colpa del disagio sociale.È il sapore di sempre, tagliare la testa al toro sulle responsabilità collettive e ridurle a qualcosa che è un pò colpa di tutti ed un pò di nessuno.
_ Il conteggio giornalistico del femminicidio e delle violenze sessuate occupa molte pagine dell’informazione dell’ultimo triennio, questo va sottolineato, perché rappresenta la risposta minima al movimento d’opinione femminile intorno al modo di fare giornalismo su quello che fondatamente, in larghissima parte, risulta il reato meno punito e più diffuso.
Quello che si legge e si ascolta, quando non si vede nei plastici di Vespa, è semplicemente quel minimo sforzo di non tacere, non di rado con uso di enfasi verbale sproporzionata alla reale indignazione emotiva e culturale avvertita da chi fa informazione.
_ {{L’atteggiamento di consapevolezza, spesso si ferma al conteggio parziale delle morti e dei reati}}: la complessa altra parte che non riesce a farsi strada nella”
rappresentazione condivisa” è la carne non occasionale di una strage prevista.
Quell’orco è analfabeta, ma {{tutti gli orchi sono analfabeti e privi del codice della reciprocità}}. Se questo non può, come ancora troppi vorrebbero, stemperare le responsabilità personali, rappresenta un segno, che dopo i numeri, dovrebbe cominciare ad informare di se la comunicazione pubblica e la disposizione politica.
_ L’{{analfabetismo relazionale}}, come quello di tipo scolastico, colma l’assenza di propri codici con quelli della “lettura precostituita dal contesto”. È questa la responsabilità collettiva nel femminicidio e nelle violenze sessuate: l’aver precostituito un codice comportamentale dove la morte e il reato sono semplicemente eccessi di attitudini relazionali connaturate all’uomo.
Gli uomini di buona coscienza che sanno d’essere lontani da questo paradigma, devono ancora riconoscere, veramente, in che modo quel paradigma può essere cambiato.
_ Cambiare non può che partire dalla carne degli eventi, che da sola e immediata nel vero senso della parola (senza mediazioni) mostra come la parola autorevole può concorrere alla condanna e al destino imposto alle vittime.
Antonietta è morta per le ripetute violenze che ha subito, la sua morte non è stata la casualità rivelatrice. È morta vomitando il suo dolore: Non ne poteva più, ha vomitato perché il grido che forse tante volte aveva pronunciato era stato insufficiente e difforme da quanto ammissibile. Antonietta è invece stata frantumata, da una parte lo stupro, dall’altra la sua morte tragica.
Va detto qui che {{la parola abuso va semanticamente eliminata}}, perché in se {{significa che potrebbe esistere un “uso corrispondente” ammissibile}}. Uso ed abuso nella realtà esistono sulla carne di donne, bambine, e bambini a sono ugualmente inammissibili. Nella violenza sessuata implicita ha origine l’orrore segretamente condiviso nell’attuale
patto, dove l’uso ammissibile è diffuso e commette strage lenta.
Nel patto c’è quella responsabilità politica che ha nome e si identifica nei poteri attuali agli eventi.
_ {{La campagna mediatica promossa dal Governo}}, senza per altro destinare diversamente risorse, pone l’accento sul coraggio della denuncia, affidandosi alla taumaturgia dell’immagine-parola. Nella realtà, la denuncia ha risonanza ambigua, come ha sperimentato letalmente {{Antonietta}}, essendo il suo grido inammissibile vera denuncia.
_ È questa, la denuncia, propria del sottoposto (cioè di chi in altra condizione avrebbe possibilità di salvaguardarsi e non di chiedere protezione), è azione di reclamo che presuppone fiducia nell’efficacia della risposta, se non nell’obbligatorietà della stessa.
_ Le {{madri di Rignano Flaminio}} lo sanno, perché a loro volta sono imputate di aver loro, non certa stampa, acceso i riflettori sul disagio dei figli. Come a dire che non si può pretendere equilibrio e rispetto dai media, perché loro sono così, o tacciono o esagerano.
_ Lo sapeva bene {{Matilde Sorrentino}} che è morta per essersi
macchiata di denuncia in difesa di suo figlio. Denunciare è importante, ma va detto che resta questo, nell’assenza di un sostegno pubblico e carico delle attuali ambivalenze, un atto unilaterale e di grande solitudine. Il discredito e le punizioni di cui sono vittime in tante, è una prigione dalla quale si esce per merito della solidarietà politica: che non deve e non può essere più soltanto “spontanea”; perchè ad offrirla competentemente possono essere le donne in un ottica di restituzione della libertà, ma spesso sono istituzioni confessionali, finanziate
con denaro pubblico, e che attraverso l’aiuto veicolano le loro imposizioni.
{{L’assunzione della responsabilità politica collettiva}}, di fronte alla morte di Antonietta, consiste nella certezza e nella qualità delle risposte, ma consiste anche nel guardare dentro a tutto ciò che ha resa possibile e indisturbata una tragedia che oggi porta il suo nome . Sono le scuole materne che non rispondono alle esigenze del lavoro delle donne, sono le mura familiari impenetrabili al diritto.
_ E ci sono in aggiunta i modelli forti che suggeriscono che le donne servono a questo, o che addirittura arrivano a pubblicizzare libri con le passerine ignoranti (sic) dell’assessore provinciale alla Cultura di Ravenna Massimo Ricci Maccarini.
La responsabilità politica, in una tale asimmetria culturale, non è un punto d’arrivo, è un’urgenza, l’unica possibilità di cambiare. Bisogna che ognuno agisca magari denunciando che {{l’orco ignorante è colpevole, non meno, ma insieme ai poteri che mettono nel conto la morte e il dolore di Antonietta}}.
Al suo addio non c’è rimedio, c’è da impedire che succeda ancora.
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