Quasi 2 milioni di italiani hanno abbandonato il Sud e la metà sono giovani: nel 2019 dimezza la crescita del Mezzogiorno.
In 16 anni via quasi 2 milioni, metà giovani. Parla chiaro il ‘bollettino’ della Svimez sulla ‘fuga’ dal Sud, il cui peso demografico non fa che diminuire: «Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno d’Italia 1 milione e 883 mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800 mila non sono tornati».
Nello studio i responsabili Svimez aggiungono: «Il peso demografico del Sud diminuisce ed è ora pari al 34,2%, anche per una minore incidenza degli stranieri (nel 2017 nel Centro-Nord risiedevano 4.272 mila stranieri rispetto agli 872 mila stranieri nel Mezzogiorno)».
Ma questo non accade per caso: «Ancora oggi a chi vive al Sud mancano (o sono carenti) diritti fondamentali dalla sicurezza all’istruzione». Sottolinea Svimez: «In particolare, si fanno sentire i ‘divari’ nei servizi pubblici rispetto al resto del Paese. È ciò accade anche nel campo sanitario».
L’associazione per lo sviluppo del Sud mette, infatti, l’accento sul fenomeno della «povertà sanitaria». Fenomeno per cui, si spiega, sempre più frequentemente l’insorgere di patologie gravi che costituisce una delle cause più importanti di impoverimento delle famiglie Italiane». Cosa che si verifica, viene rimarcato, «soprattutto al Sud».
Continua la disamina dell’associazione Svimez: «Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila (nel Centro-Nord sono 470 mila)”.
Ormai si può parlare: «di sacche di crescente emarginazione e degrado sociale, che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici nelle aree periferiche». E l’analisi definisce: «preoccupante la crescita del fenomeno dei ‘working poors’», ovvero riferita al: «lavoro a bassa retribuzione, dovuto a complessiva dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time involontario».
Ma l’analisi della situazione non completa, nel 2019: «si rischia un forte rallentamento dell’economia meridionale: la crescita del prodotto sarà pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud”. Nel 2017, spiega il rapporto: «il Mezzogiorno ha proseguito la lenta ripresa, ma in un contesto di grande incertezza. E senza politiche adeguate rischia di frenare con un sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo. Quindi, nel giro di due anni (dal +1,4% dello scorso anno al +0,7% del prossimo).
In particolare, avverte la Svimez: «in assenza di una politica adeguata, anche l’anno prossimo il livello degli investimenti pubblici al Sud dovrebbe essere inferiore di circa 4,5 miliardi se raffrontato al picco più recente (nel 2010)».
Se, invece: «nel 2019 fosse possibile recuperare per intero questo gap, favorendo in misura maggiore gli investimenti infrastrutturali di cui il Sud ha grande bisogno, ciò darebbe luogo a una crescita aggiuntiva di quasi un punto percentuale (+0,8%), rispetto a quella prevista (appena un +0,7%), per cui il differenziale di crescita tra Centro-Nord e Mezzogiorno sarebbe completamente annullato, anzi, sarebbe il Sud a crescere di più, con beneficio per l’intero Paese».
L’associazione non manca poi di rimarcare l’interdipendenza tra le diverse aree territoriali: «Centro-Nord e Mezzogiorno crescono o arretrano insieme».
La Svimez, lancia l’allarme sul: «drammatico dualismo generazionale». E spiega: «il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi dei dati fin qui raccontati quindi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia adulta 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità)». Concludendo, la Svimez sintetizza: «si è profondamente ridefinita la struttura occupazionale, a sfavore dei giovani».
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La SVIMEZ, è una Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, è un ente privato senza fini di lucro istituito il 2 dicembre del 1946. L’ha vondata un gruppo di importanti personalità del mondo industriale e finanziario italiano che decise, durante la Seconda Guerra mondiale, di dare vita a un centro di ricerche e studi specializzato sul Mezzogiorno.
Sono cittadini privati, spesso anche settentrionali: Rodolfo Morandi, Giuseppe Paratore, Francesco Giordani, Giuseppe Cenzato, Donato Menichella e Pasquale Saraceno.
Gli obiettivi
Obiettivo principale dell’Associazione è lo studio dell’economia del Mezzogiorno, per proporre a istituzioni centrali e locali concreti programmi di sviluppo delle Regioni meridionali, arrivando così a realizzare “l’unificazione anche economica dell’Italia”