“Razzismo. Gli atti, le parole, la propaganda” di Annamaria Rivera
Il 26 giugno ricorre la trentaseiesima giornata internazionale istituita nel 1997 a seguito della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
L’attualità dice quanto sia ancora lunga la strada del rispetto di quel trattato da parte di Governi che continuano a ricorrere a prassi violente, fisiche e psicologiche, a danno di prigionier*, rifugiat* e dissidenti.
Nel secondo dopoguerra, già la Carta delle Nazioni Unite sanciva l’obbligo per gli Stati di affermare e promuovere i diritti umani, ma la boa del millennio è stata girata senza che attivist* di varie associazioni nazionali e internazionali smettano di denunciare violenze che l’instabilità politica e i conflitti in corso intrecciano a vere e proprie persecuzioni, esodi di massa, genocidi.
Annamaria Rivera, già docente di Etnologia e Antropologia sociale all’Università di Bari, scrittrice e attivista per i diritti umani, ha realizzato con Razzismo. Gli atti, le parole, la propaganda (Dedalo, 2020), “un’opera fondamentale per riflettere su quello che sta accadendo oggi attorno a noi”.
È una collezione di brani che analizzano puntualmente “il circolo vizioso che alimenta il razzismo; la dialettica perversa fra il razzismo istituzionale, il ruolo dei media e della propaganda e le forme sempre più diffuse di xenofobia ‘popolare’ che negli ultimi anni sono sfociate in politiche violente che accrescono discriminazione, ineguaglianza ed emarginazione”.
Un capitolo ripercorre le nefande imprese dello squadrone della morte nella provincia italiana: il martirio inflitto a Mohamed Habassi (p. 91); la cronaca ha detto l’orrore delle sevizie, torture, mutilazioni inflitte con meticolosità nella notte non più silenziosa di Basilicagoiano (frazione di Montecharugolo, comune di Parma), dove solo dopo più di un’ora viene dato l’allarme, ed è troppo tardi. Sei uomini, italiani, tutti con un lavoro, contro uno, extracomunitario (tunisino, disoccupato, con un figlio a carico affidato a sua madre, “poco amato dal vicinato”, “in arretrato con la pigione” e che “teneva il volume della sua musica troppo alto”, come si legge in alcuna cronaca locale (p. 96).
L’Italia che trova in Parma la quarta città al mondo per qualità di vita (2014, “The Telegraph”), non è propriamente la Libia, il Messico, le Filippine e altri paesi, specie del continente africano, che la campagna contro la tortura lanciata tre anni fa da Amnesty International denuncia come luoghi di eclatanti violazioni della Convenzione. Tra essi l’Egitto, cui si continua da anni a chiedere verità e giustizia per Giulio Regeni, torturato e ucciso senza un perché.
L’Autrice, nell’esegesi della narrazione giornalistica di vari quotidiani ed emittenti sul caso Habassi e sui tanti altri dei quali è stata data scarsa o nulla rilevanza, denuncia il degrado del “senso comune che trapela – sia pur su scala minore e virtuale – dalla gran mole dei commenti” (p. 96), individuando il vero movente dell’aggressione nell’alterata percezione dell’’Altro, percepito come non-persona.
Ripercorre perciò nascita e sviluppi dell’ideologia naturalista, sviluppatasi nel XVIII secolo, esaminando la continuità tra specismo, sessismo e razzismo:
“L’assegnazione al campo inferiore della natura non solo dei non-umani ma anche del genere femminile e di altre categorie alterizzate si riflette tutt’oggi nei sistemi ideologici, discorsivi e lessicali del sessismo e del razzismo (…) e come sottolineato dalla sociologa femminista Colette Guillaum, nel 1994, nella semantica occidentale dei rapporti di dominio e/o di appropriazione, il ricorso alla metafora dell’animalità è una tendenza costante.” (p. 128)
Tra le ragioni che hanno motivato il libro, l’Autrice elenca “la constatazione di quanto, almeno in Italia, vadano impoverendosi o degradandosi il linguaggio e il lessico, perfino nell’ambito dell’attivismo e del pensiero antirazzisti”; quanto si arbitraria la riduzione a odio o paura del razzismo (cui dedica il capitolo iniziale), che finisce per farne ignorare non solo la dimensione storica e sociale ma anche il carattere peculiare e sistemico.
Un lungo passaggio è dedicato “al risorgere dei nazionalismi e al sovra-nazionalismo armato dell’Unione Europea a difesa delle proprie frontiere” (p. 108); altri riguardano “la semiotica del genocidio, la dimensione dell’ecatombe” e parlano delle rotte della migrazione verso l’Europa; delle Convenzioni infrante dai vari governi UE perché, “parafrasando Hannah Arendt, ogni infamia è consentita pur di ridurre il fardello degli indesiderabili” (p. 114)
Queste pagine sono una lettura non retorica e per nulla facile, ma per questo consigliata e necessaria.
Annamaria Rivera, Razzismo. Gli atti, le parole, la propaganda. ed. Dedalo 2020