Riaprire il conflitto all’interno dei partiti, dove la presenza femminile è stata per lo più “inutile” e strumentale
Uscire dalla attuale opacità politica complessiva, dalla pratica inadeguata, anche a sinistra (“ma non c’è una sinistra”, si è detto) richiede allora non solo un forte dissenso dalle pratiche di potere del centrodestra, ma anche di saper riaprire il conflitto all’interno dei partiti, dove la presenza femminile è stata per lo più “inutile” e strumentale. Un confronto serrato e appassionato quello di sabato 10 ottobre alla Casa Internazionale delle Donne, con la presenza attenta e partecipe di più di 400 donne ( e qualche decina di uomini), che da diverse parti d’Italia, hanno voluto rispondere al documento “Sesso e politica nel post-patriarcato”, a firma di Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni, Tamar Pitch, Bianca Pomeranzi, Grazia Zuffa.
Il post-patriarcato – la “nuova configurazione del conflitto tra i sessi”- è stato declinato in vario modo: l’analfabetismo sentimentale maschile e la rimozione del desiderio, la perdita della passione erotica e della stessa sessualità maschile, ridotta a sesso e per di più protetta dal denaro, il silenzio e la complicità degli uomini, mentre il loro corpo è attualmente relegato all’insignificanza simbolica.
_ Del resto, la desessualizzazione dei corpi, sia maschile che femminile, è già nella confusione oggi diffusa, sull’idea di libertà astratta individuale, senza corpo e senza relazioni, o nella rappresentazione di individui che, per non avere corporeità, non possono neanche avere individuazione.
Una libertà “singolare” è quella messa in atto soprattutto dalla destra, che valorizza i gesti, e i vantaggi, delle singole, ma prescinde dalla dimensione collettiva e dalla relazione con l’altro/a.
_ Come ricomporre dunque la dialettica tra la affermazione personale e il rapporto con la elaborazione collettiva, con il tessuto comune da cui trae la forza?
L’attacco al corpo delle donne, gli schiaffi alla loro condizione materiale, che si rinnovano ad ogni finanziaria, vanno letti in un contesto in cui lo scambio tra sesso e potere si combina con lo scontro sui poteri dello stato e lo stravolgimento della legalità.
Uscire dalla attuale opacità politica complessiva, dalla pratica inadeguata, anche a sinistra (“ma non c’è una sinistra”, si è detto) richiede allora non solo un forte dissenso dalle pratiche di potere del centrodestra, ma anche di saper riaprire il conflitto all’interno dei partiti, dove la presenza femminile è stata per lo più “inutile” e strumentale. Si dovrebbe superare la specificità italiana della contrapposizione tra politica di genere e femminismo della differenza, per mettere in atto una sapiente integrazione tra i diversi livelli della politica, con un nuovo uso delle potenzialità della rete e una ripresa di lucidità politica, resa più forte anche grazie alle relazioni con donne e uomini del nord e del sud del mondo .
Il filo rosso che unisce la riflessione di molte, è l’opposizione tra la rappresentazione e la realtà; le donne vere non sono quelle rappresentate dai media. Non solo nella recente conferenza di Praga di donne professioniste e dirigenti, ma anche in Italia (cfr l’ incontro pubblico del 5 ottobre, al Circolo della Stampa di Milano “[Le donne della realtà->4839]”, per iniziativa di un gruppo di giornaliste) sono state in tante a dichiarare che la propria realtà quotidiana, difficile e dolente, concreta e articolata, è del tutto estranea alle immagini dominanti.
La prevalenza delle immagini, si è detto, investe oggi anche (soprattutto?) la politica, perché il sistema della persuasione viene scambiato per la realtà. Proliferano le immagini dell’altro, ma mancano i soggetti reali; la pratica politica dovrebbe piuttosto obbligare a fare i conti con la realtà, far vedere quello che c’è davvero; lo ha dimostrato Rosy Bindi, nella ormai famosa trasmissione televisiva, in cui ha rivendicato la sua autonomia e la sua capacità “di dire la verità”.
Nella definizione di nuove pratiche è mancato però, lo ha segnalato più d’una, il riconoscimento delle diverse pratiche già in atto, e delle culture che vi si esprimono; l’assenza dal dibattito dei nuovi movimenti femministi, come, per altri aspetti, delle migranti, protagoniste a pieno titolo delle vicende sociali e politiche in questo paese, può far rischiare una autoreferenzialità generazionale o culturale.
Ma è solo un rischio, appunto: a dimostrazione che l’impegno continua ci si è lasciate con altri appuntamenti: la {{manifestazione antirazzista del 17 ottobre}}, la {{manifestazione contro la violenza maschile sulle donne del 21 novembre}}, l’{{incontro promosso dall’associazione maschile –plurale il 28 novembre}}, aperto alle donne .
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