Pubblichiamo il testo di una petizione per chiedere il ripristino del corso di Storia delle donne e un impegno di lungo termine nell’attivazione di programmi di gender studies, dottorati, master o attività analoghe all’interno delle facoltà dell’Università di Torino.Il [collettivo AlterEva->http://www.altereva.org ], con il patrocinio del Cirsde, ha organizzato un seminario
interdisciplinare di studi di genere.
_ Questa iniziativa è una forma di protesta nei confronti
dell’Università di Torino e degli enti locali governativi piemontesi.

“Negli scorsi anni, pur nel vuoto di corsi istituzionalizzati di studi di genere che caratterizza
l’Ateneo torinese, è stato attivato un corso di storia delle donne e di genere finanziato grazie a
un progetto della Commissione Pari Opportunità della Regione Piemonte, che ha coinvolto anche le
sedi di Vercelli e Alessandria dell’Università del Piemonte Orientale. Il progetto il cui costo era di
circa 6.000 euro per ogni corso attivato si è interrotto con l’insediamento della nuova Commissione
Pari Opportunità.
Si tratta di una cifra ridicola all’interno dell’economia di un ateneo, di cui l’Università di
Torino avrebbe dovuto farsi carico in nome di una cultura trasversale e libera: evidentemente
è una scelta di tipo politico.

Se il pensiero delle donne non trova spazio nemmeno nel mondo universitario, che dovrebbe
essere sede dell’eccellenza della conoscenza, come possiamo pretendere che questo paese sia equo,
come possiamo pretendere che le parole femminicidio, identità di genere, pensiero della
differenza, diritto diseguale vengano comprese e acquisiscano un significato diffusamente
condiviso?

L’offerta didattica non può essere condizionata dalle tendenze oscurantiste di un paese che su
tutti i fronti è sessista: non dare riconoscimento istituzionale significa minare la credibilità
scientifica; non narrare significa non esistere.

Un seminario autorganizzato di studi di genere vuole essere da una parte un atto di denuncia nei
confronti delle istituzioni del territorio piemontese dall’altra la messa in discussione di un sistema di
pensiero e di potere che opera secondo modelli di dominio culturale.

Nella “Repubblica delle banane”, infatti, i gender studies sono considerati “chiacchiere da
donne”, privati di valore scientifico, specchio di un potere provincialista e retrogrado che
controlla del forme del sapere.

Il nostro paese è ormai uno dei pochissimi a non riconoscere, nel concreto, legittimità didattica e
culturale dei gender studies.
_ Le facoltà universitarie italiane che offrono corsi, specializzazioni,
master sono ancora poche e i fondi estremamente ridotti. I gender studies offrono un approccio di
analisi alternativo, multidisciplinare e culturale.
_ Nel resto del mondo hanno il pieno rispetto del
mondo accademico e delle istituzioni, appassionano le nuove generazioni, riescono a modificare i
programmi politici, ispirano nuovi modelli di welfare (T.S. Dahl), sono alla base di campagne che
cambiano il corso della storia: come il riconoscimento giuridico delle molestie sul lavoro (C.
Mckinnon), le teorie filosofico-giuridiche sulle azioni positive (I. M. Young) che ispirano le misure
di diritto diseguale o le battaglie dell’eco-femminismo e beni comuni (Vandana Shiva) etc.

L’Italia si fa paese ignorante perché strumentalmente indotto ad ignorare. Riprodurre la cultura
sessista di un paese è utile ad un sistema di controllo che si manifesta attraverso categorie
demagogiche, funzionale a quelle relazioni di potere tra uomini e donne, in cui alle donne è
riservato il ruolo di oggetto e non quello di soggetto.

È evidente dunque che il mondo accademico e istituzionale non è solo conservatore, ma
chiaramente machista.
_ Ogni atto rivolto a sminuire, ridicolizzare, delegittimare questi temi è un atto di sopraffazione
simbolica che riversa le sue ripercussioni sull’intera società.
_ La violenza contro le donne che imperversa nel nostro paese si alimenta di una cultura sessista
radicata nel linguaggio, nei luoghi in cui si produce e si trasmette il sapere.

Rifiutiamo che gli spazi in cui ci formiamo e il paese in cui tutte viviamo si strutturino in una
sorta di guerra contro le donne e, per questo, un seminario auto-organizzato di studi di genere
come atto protesta.

Questa iniziativa ha visto la partecipazione di 98 iscritti/e a cui si sono uniti di volta in volta
diversi interessati/e. Questa è la prova che il corpo studentesco, ma più in generale la cittadinanza,
chiede strumenti conoscitivi e pretende libertà di pensiero.

Pretendiamo che Università di Torino e tutto il mondo accademico prendano una posizione
concreta e si facciano portatori della diffusione di una cultura trasversale, libera e inclusiva.

Chiediamo il ripristino del corso di Storia delle donne o di un programma analogo concordato
con gli organismi competenti (CIRSDE) e un impegno di lungo termine nell’attivazione di
programmi di gender studies, dottorati, master o attività analoghe all’interno delle facoltà
dell’UniTo.

– [Per adesioni ->mailto:altereva.torino@gmail.com]