Vita da Rom in Calabria un film di di Jonas Carpignano Dal 31 agosto 2017 al cinema e in programmazione in 29 sale cinematografiche.
Vi segnaliamo la recensione ucita sul blog di DeA Donne e altri di GHISI GRUTTER del film – A CIAMBRA – di Jonas Carpignano, del 2017. Con Pio Amato, Koudous Sihon, Iolanda Amato, Damiano Amato. Fotografia Tim Curtin. Musica Dan Romer.
A Ciambra è già stato premiato come Miglior Film Europeo al 70esimo Festival di Cannes ed è in concorso per gli European Film Awards 2017 nella selezione «Contemporary World Cinema» del Toronto Film Festival.
Ciambra è una piccola comunità Rom calabrese insediatasi nella via omonima alla periferia di Gioia Tauro, e Jonas Carpignano è il trentatreenne regista che ha scelto di vivere in quella zona e di raccontare le loro condizioni di vita. Il film, di fatto, fornisce l’occasione di uno slice of life anche su varie comunità che vivono in quel contesto, e sulla problematica dei loro rapporti. La storia narrata dal film è quella dell’iniziazione del quattordicenne Pio Amato, che diventerà adulto attraverso una serie di prove. La famiglia Amato è una grande famiglia Rom, una fra tante, che vive in una condizione marginale. I bambini non sanno leggere, non frequentano la scuola, ma «a tre anni sanno già cambiare una gomma da soli e a 11 guidare un camion» come racconta il giovane regista Carpignano, presente all’anteprima dell’Arena Nuovo Sacher (Roma) per introdurre insieme a Nanni Moretti il film. C’è Jolanda, una sorta di mater familias che gestisce tutto e prende le decisioni coinvolgendo il marito, che talvolta è in prigione o agli arresti domiciliari.
Pio, un adolescente che ha fretta di crescere, beve e fuma già come un adulto (ma non fuma anche il fratellino di tre anni?). I suoi modelli di vita sono rappresentati in primis dal nonno, che rimpiange un passato di libertà, dal padre e dal fratello. Uno dei traffici che svolgono i maschi della comunità è il riciclaggio e la trasformazione del rame (rubato) che una volta fuso viene venduto a peso. Per il resto sono furti di diversa entità, dalle auto in sosta alle valigie sui treni. Ma il racket è controllato dagli “italiani” (‘ndrangheta?), che prendono il pizzo e che spesso mettono in rapporto il derubato con i rapinatori per una restituzione sotto compenso. Tutta la vita della famiglia è costellata da illegalità anche nelle cose di ordinaria amministrazione come ad esempio l’aggancio abusivo della luce.
Vivono e lavorano anch’essi nella piana di Gioia Tauro, i braccianti africani (chiamati genericamente “marocchini” dai Rom), provenienti prevalentemente dal Ghana e dalla Nigeria. Sembrerebbe, in generale, che gli africani e i Rom abbiano una specie di convivenza pacifica nel relativo rispetto dei propri ruoli e nel distacco dell’ignorarsi reciprocamente. I neri vivono in una tendopoli vicina all’insediamento della famiglia Amato. La loro vita si svolge in collettività, sono allegri, colorati, rumorosi e ospitali, in palese contrasto con quello che la società malavitosa locale esprime.
Pio stringe amicizia con il personaggio impersonato dal bellissimo Koudous Sihon, al quale ricorre per ogni affare – rivendita di I-pad o di altri oggetti – e per ogni altro problema, in assenza di attenzioni familiari. Alcune scene sono bellissime come quella dell’accoglimento di Pio nella comunità nera quando arriva con il televisore nuovo, in tempo per vedere la partita di calcio del Ghana. Così pure alcuni momenti di grande dolcezza nella crescita del rapporto di amicizia tra Pio e Koudous. Ma quando il fratello Cosimo glielo richiederà come una delle prove della sua acquisita maturità e con le lacrime negli occhi, Pio tradirà l’amico in nome la famiglia.
Carpignano ha voluto girare una sorta di documentario su questa realtà sociale. Ma più che sulla comunità è stato un film con la comunità. Un cinema-verità dove il regista non ha mai imposto un modello sul reale e ha lasciato che, in qualche modo, il film si costruisse da solo riprendendo brani di vita della famiglia Amato.
Così afferma: «Il film è stato adattato alla vita reale, pur mantenendo la struttura drammatica del racconto». Penso che il lavoro svolto da Jonas Carpignano sia meritevole di lodi sia per le intenzioni, sia per lo spirito con cui ha condotto il lavoro. Il suo desiderio è di mostrare una realtà per come viene vissuta dai suoi protagonisti, senza scorciatoie o edulcorazioni, perché il problema è proprio quello di poter imparare ad accettare gli altri. Inoltre, il suo è molto più che un film neorealista con attori della strada, e si legge tra le righe che il giovane regista possiede una buona cultura cinematografica nella confezione del film. È molto probabile che Jonas abbia visto Educazione Siberiana di Gabriele Salvatores del 2013, dove il giovane Kolyma cresce in simbiosi con Gagarin, il suo migliore amico, sotto la supervisione del nonno, capo della comunità siberiana, in un villaggio povero della Transnitria, nella Moldavia Orientale. Oppure il più recente Codice Criminale di Adam Smith del 2017, che mostra la vita della famiglia di Colby e Chad Cutler, che vive in una comunità seminomade nel Regno Unito: di giorno vanno a caccia (bracconaggio) e di notte rubano nelle case, con macchine rubate anch’esse. Tutti bianchi e cattolici di origine irlandese, criminali da generazioni e in continuo conflitto con la polizia. Rimane solo un dubbio su tutta l’operazione del regista: non potrebbe il film essere strumentalizzato per fomentare un pregiudizio con la generalizzazione sulla vita dei Rom ai limiti del legale?
Martin Scorsese ha deciso di finanziare il film con i fondi dedicati ai filmmaker emergenti, dopo aver visto il libro (prevalentemente di foto) elaborato dallo stesso regista. Jonas Carpignano è un giovane italo-americano cresciuto a New York che ha già ottenuto vari premi con Mediterranea del 2015 come, ad esempio, il Telia Film Award a Stoccolma nel 2015 per la Migliore Opera Prima e per il miglior attore a Koudous Seihon.