ROMA – alla Casa Internazionele delle donne il 3 ottobre 2018 un incontro per dire No al Ddl Pillon
Il ddl “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità” introduce l’obbligo della mediazione familiare per avviare la separazione, cambia le regole su mantenimento e casa familiare, prevede la divisione rigorosamente paritetica del tempo trascorso dai genitori con i figli: un finto e astratto egualitarismo dietro a
cui si nasconde una visione della famiglia classista e sessista. Sono molte le questioni sollevate dal testo: la limitazione della libertà delle persone, gli ostacoli che pone per l’uscita da situazioni di violenza, l’approccio punitivo verso le madri, la “bigenitorialità” intesa soprattutto come diritto dei padri, la mancanza di attenzione al benessere dei/lle minori…
Per parlare di tutto questo, e di come organizzare un’opposizione forte e sonora a un ddl che ci porta indietro di decenni, ci vediamo il 3 ottobre alla Casa Internazionale delle Donne. Con le relazioni introduttive di: Teresa Manente, Tamar Pitch, Linda Laura Sabbadini e la partecipazione di: D.i.Re., UDI, le avvocate di Befree Sabrina Fiaschetti e Carla Quinto, le associazioni della Casa Internazionale delle Donne e tutte coloro che vorranno esserci.
Articolo di di Teresa Manente (avvocata, responsabile ufficio legale Differenza Donna-ONG) sul blog Femministerie
Attualmente è in esame al Senato il disegno di legge n. 735, discusso congiuntamente ai d.l. 45 e d.l. n. 768, tutti recanti disposizioni in materia di “affido condiviso, mantenimento diretto e diritto alla bigenitorialità”. La visione sottesa a tali iniziative legislative non è nuova, ma si inserisce in una tendenza delle politiche del diritto a ristabilire il controllo pubblico sui rapporti familiari attraverso interventi autoritativi e disciplinari, con una compressione esponenziale dell’autonomia personale dei/delle singoli/e al loro interno, e a ridefinire il regime di genere all’interno della società. Sotto la falsa patina della parità, declinata come interscambiabilità, le figure genitoriali sono infatti plasmate intorno ad una vera e propria segregazione di genere, che respinge di nuovo le donne in una posizione di subordinazione al potere maschile.
Progetti di legge di questo tipo sono stati presentati a più riprese nel nostro Parlamento, così come in altri ordinamenti, ma oggi più che mai costituiscono una minaccia ai diritti e alle libertà fondamentali di tutte e tutti, in quanto tassello di un progetto politico di ridefinizione dei rapporti sociali in chiave illiberale e sessista. L’affidamento inteso come spartizione “paritetica” dei/lle figli/e di fatto appare funzionale a ripristinare una genitorialità intesa come esercizio di potere e controllo maschili sulla dimensione familiare e sulle ex mogli o conviventi, al prezzo di rendere la vita dei/lle figli/e un vero e proprio inferno.
Primario bene giuridico oggetto di autentico interesse del ddl 735 è costituito dall’insieme di redditi e proprietà dei padri che, in spregio non solo dei principi costituzionali e degli obblighi di legge, ma anche di principi etico-morali che dovrebbero informare i rapporti sociali e familiari nelle società democratiche contemporanee, non esitano a lasciare i/le figli/e in condizione di vero e proprio bisogno e ciò, il più delle volte, per vendicarsi delle scelte di libertà delle madri.
In sottofondo si legge con chiarezza l’ulteriore obiettivo del legislatore, ossia mettere a tacere le donne e sabotare le risorse individuali che le donne hanno conquistato, gli strumenti giuridici e la rete sociale costruita negli ultimi trent’anni nel nostro paese per abbattere il muro di silenzio che avvolge la violenza sessista che subiscono le donne nell’ambito delle relazioni intime, quasi sempre insieme ai/lle figli/e costretti ad assistere le violenze subite dalla loro madre da parte del padre. Si segnala al riguardo che il ddl 45 all’articolo 5 intende modificare anche la fattispecie di maltrattamenti punita dall’articolo 572 del codice penale, introducendo per la configurazione del reato il concetto di “sistematicità”, che non tiene conto delle caratteristiche tipiche di una condotta che si consuma nelle relazioni intime, che registrano parentesi di normalità, di pentimenti e promesse di cambiamento da parte del maltrattante. Introdurre il requisito della sistematicità significa non tener conto che sarebbe così punita la violenza domestica solo in situazioni di vere e proprie sevizie, come avveniva fino agli anni Settanta.
Nell’insieme, in definitiva, l’iniziativa del legislatore prende le mosse da una serie di menzogne e articola un arsenale di raggiri che, lungi dal riportare pace nelle relazioni familiari e genitoriali, le renderanno ancora più diseguali, imbrigliando i bambini e le bambine in dinamiche di potere deleterie per il loro sano sviluppo e per la loro crescita quali uomini e donne liberi e capaci di rinnovate relazioni.
L’impatto nefasto delle disposizioni proposte sarà prevalentemente a danno delle donne e dei figli/e.
Dalla nostra esperienza emerge che sono le donne a prendere l’iniziativa di interrompere la relazione sentimentale assumendo la decisione di separarsi e/o regolamentare l’affidamento dei figli e ciò vale ancora di più nei casi di violenza domestica: prima ancora di ricorrere alla giustizia penale, le donne optano per la separazione o l’interruzione della convivenza more uxorio e chiedono la regolamentazione dell’affidamento, intraprendendo il percorso penale per lo più quando le violenze continuano anche dopo la richiesta di separazione giungendo a mettere a rischio il benessere e finanche la vita dei figli stessi. Si consideri che le donne e i figli vengono uccise per mano dei mariti/compagni/padri proprio in pendenza della separazione o in occasione delle visite genitoriali.
L’iter così come ipotizzato dal legislatore è sottratto al pieno vaglio della giurisdizione, dal momento che all’autorità giudiziaria rimane la verifica formale della divisione paritetica del tempo di vita dei figli, senza riguardo alle loro esigenze e alla qualità della loro esistenza. Il generico riferimento all’interesse del minore è infatti svuotato dalla coincidenza per legge di tale interesse con una spartizione a metà tra padre e madre.
L’imposizione della mediazione familiare, rappresentata come volontaria, e poi invece statuita come condizione di procedibilità per istaurare il procedimento di separazione, divorzio o regolamentazione dell’affidamento, costituisce una contraddizione logico-giuridica insanabile e un condizionamento autoritario delle scelte individuali in violazione delle garanzie costituzionali in tema di libertà personale e uguaglianza, anche nelle relazioni familiari. Ciò rappresenta una violazione della Costituzione, nonché una grave violazione degli obblighi internazionali in materia di prevenzione della violenza di genere e domestica: la Convenzione di Istanbul, infatti, vieta qualsivoglia forma di mediazione nei casi di violenza.
Accanto ai mediatori sono previsti anche i coordinatori genitoriali, tutte figure a pagamento che si interpongono tra l’autorità giudiziaria e i genitori nella organizzazione della vita familiare, nell’ottica di una disciplina al dettaglio di tutto ciò che riguarda la vita presente e futura dei figli, anche comprimendo le potenzialità di sviluppo e realizzazione in libertà della personalità dei figli, che i genitori dovrebbero limitarsi a guidare, sostenere e incoraggiare.
Una genitorialità burocratizzata, concepita e gestita da figure “esperte”, che si insinuano nella vita delle persone, e restauratrice di quell’’ordine del padre consono al pensiero dominante.
La violenza è destinata a rimanere occultata dalla infinita serie di trappole di cui è disseminato l’impianto normativo del ddl 735, al quale danno man forte gli altri ddl in esame: ogni tentativo di prendere parola da parte delle donne per difendere sé e i figli da un partner e padre maltrattante è inibito dal rischio di censure fondate su falsificazioni e pregiudizi sessisti che sempre di più marchiano le donne che osano ribellarsi al comportamento paterno e che vengono accusate come calunniatrici, madri “malevole” e alienanti della figura paterna. Si propone, infatti, la codificazione dell’alienazione parentale, segnalata come truffa dalla comunità scientifica e dagli organismi internazionali di tutela dei diritti umani (cfr. CEDAW Committee, Concluding observation on Italy, 2011, 2017), nonché l’ipotesi di sospensione e decadenza della responsabilità genitoriale in caso di accuse di un genitore contro l’altro non accertate giudizialmente (si veda il ddl 45).
A ciò è sotteso il pregiudizio che le donne siano solite denunciare falsamente maltrattamenti e altre forme di violenze nelle relazioni intime, falso mito smentito dai dati del Ministero di Giustizia, del Ministero dell’Interno e delle Procure (si veda la relazione della Commissione di inchiesta sul femminicidio, 2018).
Altra falsa rappresentazione è che le donne strumentalizzino i figli per lucrare economicamente a svantaggio dei padri, deprivati sistematicamente (secondo la narrazione mediatica che sostiene i ddl in esame) del legame affettivo con i figli in ragione di una disapplicazione dell’attuale regime di affidamento condiviso e del comportamento diffusamente manipolativo delle madri.
Qui si rinviene il nodo ideologico del progetto di riforma. Innanzitutto, va chiarito che attualmente l’affido condiviso è applicato nell’ 89% dei casi, mentre l’affidamento esclusivo rappresenta solo l’8,9% dei casi. Per lo più un assegno di mantenimento è disposto a carico del padre a favore dei figli per un importo medio mensile che va dai 150 euro ad un massimo di 600 euro circa a fronte, in questo caso, di redditi personali altissimi. Di contro, le condanne per violazione degli obblighi di mantenimento sono il doppio di quelle per maltrattamenti (Istat, 2016).
Oltre ad alimentare l’incapacità di ridefinire il proprio ruolo genitoriale a seguito della separazione, le disposizioni delineate andranno ad aggravare proprio i rapporti di forza e di potere a svantaggio delle donne, ancora titolari di minori risorse economico-patrimoniali, tenuto conto dell’attuale struttura del mercato del lavoro. Si prevede infatti il mantenimento diretto dei figli, senza tener conto del principio costituzionale di solidarietà e del valore redistributivo dell’obbligo di contribuzione al mantenimento dei figli in proporzione alle disponibilità economiche individuali.
Al genitore che seguirà i/le figli/e nella casa familiare (ancora una volta le donne, dal momento che nel 60% dei casi l’abitazione è loro assegnata), sarà imposto il pagamento di un canone di locazione all’altro genitore, che avrà tra le mani come strumento di ricatto quanto previsto dall’articolo 11 comma 2 n. 5): si prevede infatti l’indisponibilità di spazi adeguati per il figlio minore come presupposto per limitare la permanenza paritaria dei/lle figli/e presso il più povero della coppia genitoriale, di fatto presso le donne.
Il paradosso è che tale circostanza è assimilata alla violenza, all’abuso sessuale e alla trascuratezza: il legislatore mette così sullo stesso piano la condizione di povertà, precarietà o indisponibilità economico-patrimoniale con la responsabilità penale per comportamenti maltrattanti e gravemente omissivi nei confronti dei figli.
L’impatto dell’impianto normativo all’esame del Senato sarà ancor più grave per le donne straniere, già esposte nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale, di separazione e affidamento a gravi discriminazioni, con capacità difensiva fortemente compromessa dall’assenza di interpreti e mediatori culturali sia durante l’iter giudiziario sia nel corso degli interventi di servizi sociali, case famiglia e consulenti tecnici.
Anche a livello procedurale, l’iter così come ristrutturato, che prevede ripetuti invii in mediazione familiare, di fatto obbligatoria, e quindi particolarmente onerosa anche sotto il profilo economico appare farraginoso, sbilanciato, riproduce i rapporti di forza e di potere ponendo ostacoli di ordine economico e sociale che il legislatore dovrebbe intervenire ad arginare.
Il grande assente nei disegni di legge in discussione è il benessere psicofisico dei/delle figlie, questo sì diritto fondamentale costituzionalmente pieno a fronte del vuoto giuridico del cosiddetto “superiore interesse del minore”: i bambini e le bambine sono infatti destinate a rimanere imbrigliati in logiche di dominio, controllo e prevaricazione che impediranno a loro e alle madri una dimensione esistenziale libera e dignitosa.
Organizzato dalla Casa Internazionale delle Donne di Roma, con la collaborazione del blog Femministerie